Gianluca Nicoletti e gli abusi di Cuneo: la crudeltà contro le persone autistiche non è colpa di poche mele marce
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Le immagini registrate dalle telecamere nascoste all’interno della struttura che avrebbe dovuto prendersi cura di giovani adulti autistici sono terribili anche solo da descrivere. Schiaffi, calci, urla, umiliazioni sistematiche: un repertorio di violenze che va oltre una pur ingiustificabile perdita di controllo momentanea, ma si struttura nel tempo e diventa metodo in un contesto abituale. Il caso esploso nei giorni scorsi a Cuneo – con tanto di indagati, misure cautelari e l’indignazione pubblica che si rinnova a ogni scandalo di questo tipo – è il riflesso di un problema strutturale, più che un episodio di cronaca locale: mostra la fragilità di un sistema di cura che, in determinati passaggi, presenta falle profonde. «Il problema non sono le “mele marce” – ha scritto su La Stampa Gianluca Nicoletti, padre di un ragazzo autistico e da anni autore di articoli e saggi sull’argomento –. Quello che è successo a Cuneo starà accadendo con le medesime atrocità in chissà quante altre realtà italiane». Nicoletti ha usato parole durissime: «Centri di raccolta differenziata per cervelli fuori standard», strutture che nei fatti si rivelano «un sistema carcerario cinico, ignorante e incontrollato», «inferno dei disabili reclusi».
Ciao! Una breve pausa nella lettura per raccontarti una bella novità: questa settimana L’Unica ha tenuto il suo primo evento ad Alessandria. È stato un bel punto di partenza, e ora continuiamo: il 10 dicembre saremo ad Asti. Presto ti faremo avere ulteriori dettagli! Ti aspettiamo!
Il caso di Cuneo
L’indagine dei carabinieri è partita nel dicembre del 2024 dalla segnalazione della famiglia di un ospite del centro diurno in zona Borgo Gesso a Cuneo, specializzato nel trattamento dell’autismo, gestito dalla cooperativa sociale “Per mano”. Dopo quasi un anno si è arrivati all’arresto di due persone, la direttrice della struttura Emanuela Bernardis e la coordinatrice Marilena Cescon, oltre a quattro arresti domiciliari e undici divieti di avvicinamento. In tutto ventuno indagati, a carico dei quali sono state eseguite diciotto perquisizioni.
Il centro in questione non è nuovo alle cronache giudiziarie. In passato erano già emersi comportamenti scorretti, cui avevano fatto seguito indagini e alcune condanne capaci già di certificare che qualcosa, in quel modello assistenziale, non funzionava. Eppure la comunità ha continuato a operare, ottenendo nuove convenzioni con l’ASL e accogliendo persone con esigenze assistenziali complesse. È proprio questa continuità a suscitare interrogativi: come è possibile che un luogo già finito sotto la lente dalle autorità, torni a essere accreditato dal servizio pubblico?
«È proprio questo che mi sconvolge», ha detto Nicoletti a L’Unica. «Non ci sono verifiche: o meglio, ci sono soltanto dal punto di vista amministrativo: si controllano le fatture, si guarda come vengono spesi i non pochi soldi pubblici che queste strutture ricevono. Verificano che i conti tornino, ma nessuno si chiede chi sono gli addetti, non si controlla né la loro preparazione, né la loro salute psichica».
Chi lavora quotidianamente con persone autistiche gravi vive uno stress ripetuto, un carico emotivo che pochi conoscono dall’esterno. Burnout non è affatto una parola astratta, è un rischio concreto per gli operatori che, se lasciati soli, diventano progressivamente più fragili, impulsivi e vulnerabili. «Accudire un autistico è pesante – ha spiegato ancora Nicoletti –. Sono persone difficili, spesso reagiscono male. Lo so per esperienza diretta: dopo due o tre mesi rischi di andare fuori di testa. Vedi gli altri che fanno la loro vita e ti chiedi: perché io non posso? Lo dico io da padre, figuriamoci un estraneo che lo fa per lavoro. E magari è pure pagato poco».
Perché non si può parlare di “mele marce”
Nicoletti, giornalista, scrittore, fondatore della “Fondazione Cervelli Ribelli” è da anni una delle voci più autorevoli e lucide nel racconto della quotidianità di chi vive accanto alla disabilità complessa in Italia. Ha scritto tre libri sulla sua esperienza accanto al figlio Tommy: “Una notte ho sognato che parlavi” e “Alla fine qualcosa ci inventeremo”, entrambi pubblicati negli Oscar Mondadori. Nel 2018 è uscito “Io, figlio di mio figlio” dove l’autore affronta per la prima volta il tema dei “cervelli ribelli” e il loro ruolo nella società. Ha raccontato in un film di 90 minuti, “Tommy e gli altri”, il suo viaggio assieme al figlio alla ricerca di famiglie con a carico persone autistiche adulte. Il lungometraggio, interamente autofinanziato e sostenuto attraverso una campagna di crowdfunding, è stato trasmesso sui canali Sky e sulla piattaforma Paramount. Nello stesso anno è stato portato in tour e visto da cinquemila studenti di venti città italiane con un progetto didattico chiamato ancora “Cervelli ribelli”, sostenuto dal Ministero dell’Istruzione e da Sky, in collaborazione con Scuola Channel.
Le sue parole, raccolte da L’Unica dopo l’episodio cuneese, più che uno sfogo, sono una diagnosi che interroga l’intero sistema. «Avete presente quegli esperimenti sociali dove si mettono dieci persone normali a fare le guardie e dieci a fare i detenuti? – ha detto –. Dopo un po’ scatta il sadismo. Succede quando ti ritrovi ad avere il controllo totale su un essere inerme».
Non ci sono giustificazioni per certi comportamenti, ma l’aspetto inquietante è che la violenza non nasce solo dalla cattiveria individuale, quanto dal contesto sbagliato, dai ruoli che producono un’asimmetria sociale, dall’assenza di una supervisione responsabile. Se una persona fragile diventa oggetto esclusivo del potere altrui, il rischio di abuso aumenta drasticamente: ecco perché «parlare di mele marce», secondo Nicoletti, è un errore.
«Quando di fronte a una denuncia si mettono le telecamere – e non vale solo per le persone autistiche, ma anche per i bambini, gli anziani, persone con disturbi mentali – le scene che escono sono terribili. Qui c’era una psicologa che, per tenere a bada gli impulsi sessuali dei ragazzi autistici, li prendeva a calci sui genitali. Di casi del genere se ne contano a decine, anche nelle strutture d’eccellenza o gestite da ecclesiastici».
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Il business
A questo si aggiunge un altro nodo: il costo del lavoro. Le gare d’appalto, spesso, vengono vinte al ribasso. Si cerca di contenere le spese e alla fine si sceglie chi offre servizi meno cari, non chi offre la miglior formazione e le tutele agli operatori. Nicoletti, a L’Unica, lo ha spiegato così: «Queste persone andrebbero pagate bene. Invece si punta risparmiare. Il risultato? I pazienti, nella migliore delle ipotesi, vengono storditi con i farmaci. Tanto nessuno controlla. Fino a quando emergono gli scandali».
«La gestione di persone autistiche – aveva scritto su La Stampa – è un grande e proficuo affare, che diventa uno sporco affare criminoso quando dietro alla facciata di luoghi ameni c’è personale inadeguato, come una generale e diffusa spietatezza per le persone di cui ci si prende carico. Fino a che gli autistici saranno visti come il core business di associazioni il cui fine è prevalentemente il lucro, il loro valore sociale e umano sarà unicamente legato alla retta che lo Stato paga per il loro mantenimento in vita».
La soluzione possibile
Il problema principale è l’assenza di controlli. «Recentemente mio figlio è stato ricoverato in ospedale», ha raccontato ancora Nicoletti. «L’esperienza è stata del tutto positiva: gli infermieri sono preparati e, soprattutto, c’è una rete di controllo che coinvolge il caporeparto, i medici e in generale tutta l’istituzione». Nelle strutture residenziali, invece, spesso questa catena di responsabilità si indebolisce. Da qui la proposta che Nicoletti ha definito «la sola possibile»: ripensare il sistema di accreditamento, legandolo non solo ai requisiti economici, ma alla qualità effettiva del servizio. «Le sovvenzioni pubbliche sono ingenti e allora bisognerebbe estendere il controllo alla preparazione e alla professionalità di chi lavora. Non bastano i controlli amministrativi, i soldi pubblici devono andare a chi guida uno staff preparato che però deve essere controllato periodicamente».
Il caso di Cuneo, così come tutti gli altri che periodicamente si scoprono, può diventare allora un test (doloroso) per capire quanto l’Italia sia pronta a mettere in dubbio il proprio modello di assistenza. Le telecamere non dovrebbero essere l’unico strumento per scoprire ciò che non funziona. Se si continuano a scoprire verità sconvolgenti solo grazie alle intercettazioni, significa che gli ospiti delle strutture di protezione continuano a rischiare abusi.
La conclusione è inevitabilmente amara: «Spesso si organizzano battaglie civili (sacrosante) contro gli allevamenti intensivi di maiali o di galline, chiunque è disposto a sottoscriverle perché è giusto e gratificante avere a cuore il benessere di questi esseri senzienti», ha scritto Nicoletti sul suo portale “Per noi autistici”. «Non ho però mai visto movimenti di lotta coalizzarsi contro i maltrattamenti e le sevizie riservate agli esseri umani, quelli più fragili dei fragili, reclusi e dimenticati dal mondo civile senza aver commesso alcun reato». E mentre si attendono gli sviluppi giudiziari, resta un interrogativo più ampio: quanto si è disposti a investire sul piano economico, culturale e politico per garantire finalmente una dignitosa e reale tutela a queste persone?
Questa puntata di L’Unica Cuneo termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.
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