La guerra di Asti, come ai tempi di guelfi e ghibellini
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La città del Palio è da sempre legata alle sue tradizioni, anche le più deleterie. Tanto che è difficile parlare del presente di Asti senza partire da un passato lontano che risale a oltre settecento anni fa. I parallelismi ci sono tutti e, si sa, la storia insegna a chi vuole imparare.
I coltelli che luccicano nei palazzi del potere astigiano di oggi ricordano da vicino quelli che avevano insanguinato la città nel XIV secolo, quando Asti era un importante libero comune piemontese. Sancita nel 1095, l’autonomia della città era naufragata nel 1312, travolta da secoli di lotte intestine. È la vecchia storia del terzo che gode. Le due fazioni in guerra – i guelfi e i ghibellini di dantesca memoria – avevano finito per dissanguarsi tra loro, così erano arrivati gli Angiò e si erano presi tutto: soldi, potere e libertà.
Oggi potrebbe finire più o meno allo stesso modo, con una sola differenza: gli Angiò del XXI secolo, invece che dalla Francia, arrivano dalla Lombardia e dall’Emilia. Il loro obiettivo, però, è sempre lo stesso: nel Medioevo erano interessati al denaro degli astigiani, adesso puntano al controllo della Banca di Asti, finita nel mirino del Banco di Desio e della BPER, la Banca Popolare dell’Emilia Romagna.
Nuovi guelfi e nuovi ghibellini
Nel Trecento, i gruppi rivali erano due: da una parte i De Castello, ghibellini, fedeli all’imperatore, capitanati dalle famiglie Guttuari e Isnardi; dall’altra i Solaro, guelfi, fedeli al Papa. Tutte famiglie potentissime, e tutte impegnate a gestire le “casane”, le attività di prestito e cambiavalute antenate delle banche di oggi.
Anche oggi il fronte è duplice. Da un lato si collocano Aldo Pia e Mario Sacco, due collezionisti di poltrone vicini a Fratelli d’Italia. Il primo, farmacista, esponente della Democrazia Cristiana quando la “Balena bianca” spadroneggiava in città, oggi è il presidente di Confcommercio, ma in passato lo è stato anche di Federfarma e della Banca di Asti. Il secondo è al vertice di Confcooperative e, fino a pochi mesi fa, del GAL Basso Monferrato, il Gruppo di Azione Locale che raggruppa 103 Comuni e 21 soci privati e si occupa della gestione di finanziamenti regionali ed europei. Non solo: negli ultimi anni Sacco è stato presidente della Fondazione CrAsti, della Camera di Commercio, di Asti Musei e di ASTISS, il polo universitario astigiano. Sull’altro lato c’è un campo extra large guidato dal sindaco Maurizio Rasero, spalleggiato da una formazione che parte dalla Lega e da Forza Italia per arrivare a Noi Moderati, Italia Viva e persino al Partito Democratico. Senza imbarazzi, perché – nel Medioevo come oggi – la vera questione non è la politica, è il potere.
È facile immaginare che sia i Solaro sia i Guttuari tenessero ai loro fiorini e alla possibilità di accumularne ancora, piuttosto che a difendere gli ideali lontani del Papato o dell’Impero. Anche adesso Sacco e Pia non sembrano particolarmente vicini a Meloni, e la coalizione “raseriana” abbraccia un arco troppo ampio per pensare a un comune ideale. La politica non c’entra nulla. C’entra chi comanda. «E qui comando io», aveva detto Pia durante uno dei numerosi episodi di scontro di questi mesi, l’assemblea dei soci di Confcommercio di cui è presidente.
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La rabbia di Ercole
Ma andiamo con ordine. Tutto sembra partire da luglio dello scorso anno, quando alla Fondazione CrAsti bisognava trovare un successore per Sacco, presidente da otto anni e non più eleggibile. Sembra, perché in realtà la “guerra” era partita molto prima, con un terzo soggetto a scatenare la prima battaglia.
Sono più di dieci anni che la famiglia Ercole, proprietaria della Saclà – l’azienda leader in Italia nel settore dei sottaceti – non è troppo amica, per usare un eufemismo, dell’establishment locale. A partire proprio da Pia. La Saclà, pur avendone i mezzi, non ha mai avuto la volontà di investire in città come, ad esempio, ha fatto la Ferrero ad Alba. Tutto nasce da uno scontro feroce tra Pia, all’epoca presidente di Banca di Asti, e il defunto Lorenzo Ercole, patron del colosso alimentare astigiano.
In città molti sanno che i conti correnti dove la Saclà gira il suo fatturato non sono alla Banca di Asti. Perché? Antipatie e lotte di potere – si mormora da decenni – che hanno frenato lo sviluppo cittadino. Questo è l’antefatto. Poi, trascorrono anni in cui Pia presiede la Banca di Asti ed emette azioni che compra in gran numero la Fondazione CrAsti presieduta da Sacco. La Saclà, intanto, fa storia a sé: investe in Emilia Romagna e si costruisce un altro stabilimento nel Comune di Castello di Annone, a una decina di chilometri da Asti.
Il cambio della guardia
Nel 2020 Pia lascia la presidenza della Banca di Asti e al suo posto sale Giorgio Galvagno, deputato di Forza Italia e due volte sindaco, un politico che detiene il non invidiabile primato di essere stato l’unico primo cittadino astigiano del dopoguerra a essere stato commissariato. Nel 1994 era scoppiato lo scandalo della discarica di Valle Manina, dove una sorta di comitato d’affari locale gestiva lo smaltimento illegale di rifiuti anche tossici a un passo dal Parco paleontologico. L’ex sindaco, finito nell’inchiesta, nel 1996 ha patteggiato 6 mesi e 26 giorni di carcere per inquinamento delle falde acquifere, abuso e omissione di atti ufficio, falso ideologico, delitti colposi contro la salute pubblica.
Nonostante tutto, Galvagno oggi guida la Banca di Asti. Sacco invece, concluso il secondo mandato, non è più ai vertici della Fondazione CrAsti e l’elezione per la sua successione è diventata il primo atto evidente a tutti della guerra in corso. Per la successione, da una parte c’era Pia e dall’altra Livio Negro, imprenditore informatico sostenuto dal sindaco Maurizio Rasero. Vince Negro e pochi mesi dopo la guerra diventa caldissima quando il nuovo presidente dice pubblicamente che le azioni della Banca di Asti (emesse da Pia e comprate da Sacco, ricordate?) hanno dimezzato il loro valore.
Eppure la Fondazione CrAsti ha investito in questi titoli l’80 per cento del suo capitale. «I contributi della Fondazione sul territorio diminuiscono ogni anno», aveva spiegato Negro. In dieci anni, gli iniziali cinque milioni di euro a disposizione sono diventati tre. Pochi contributi sul territorio e un colosso alimentare che investe in Emilia, difficile stupirsi della decadenza della città. Non solo, Negro annuncia l’intenzione di cedere una buona parte delle quote, ed ecco comparire all’orizzonte gli Angiò di oggi: Desio e Popolare dell’Emilia. Se gli astigiani vendono la Banca, loro sono pronti a comprare.
Senza esclusioni di colpi
C’è la guerra, e quando c’è la guerra c’è anche la carestia. Da novembre dello scorso anno a oggi è stato scontro aperto: nessuno si nasconde più. Pia era scaduto da presidente della Confcommercio a gennaio ma a maggio non aveva ancora indetto le elezioni. È stata solo l’infuocata assemblea dei soci del 12 maggio scorso, a cui era presente anche Rasero, a imporgli di indirle entro giugno (ora la data è il 29 giugno).
Anche Sacco ha avuto i suoi problemi: ad aprile si sono svolte le elezioni per la nomina del nuovo consiglio di amministrazione del GAL Basso Monferrato, di cui era presidente dal 1996, e lui era rimasto fuori. Al suo posto era entrata Angela Motta, in rappresentanza della Banca di Asti, ex consigliera regionale del Partito Democratico, referente di Italia Viva e più vicina alla famiglia Ercole di molti altri.
Pia, come presidente di Confcommercio ancora in carica, aveva chiesto di rivedere le nomine. Poi, il 24 maggio l’assemblea di tutti i soci del GAL si è spaccata in due e ha deciso (50 sì, 45 no, 5 astenuti) per il rinvio della decisione. Ma, due giorni dopo, il consiglio di amministrazione ancora in carica con i vecchi componenti ha annullato del tutto il voto ordinando il rifacimento delle elezioni, per cui Sacco potrebbe rientrare. Ora è in corso una raccolta firme tra sindaci per evitarlo.
Mentre in Confcommercio e in GAL si scavano le trincee, si apre un nuovo fronte nella Banca di Asti. Negro ha annunciato che la Fondazione CrAsti, in qualità di maggiore azionista dell’istituto bancario, ha avviato ricerche per nuovi amministratori. A rischiare la poltrona è soprattutto il ceo Carlo Demartini, condannato in primo grado per falso in bilancio e legato ad Aldo Pia.
È guerra e, come in tutte le guerre, ci vanno di mezzo i civili. In questo caso le famiglie astigiane che passeggiano in una città piena di rovine, negozi chiusi e immobili vuoti (ex ospedale, ex caserma, casermone, clinica San Secondo, ex INPS, Banca d’Italia). E molti di loro hanno in tasca le azioni della Banca di Asti, che non posso vendere e che valgono la metà del prezzo a cui le avevano comprate.
Questa puntata di L’Unica Asti termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.
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L’Unica è stata presentata da Guido Tiberga anche durante “Buongiorno regione” di mercoledì 11 giugno. Potete vedere la presentazione a questo link, dal minuto 10.

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