Anche Asti ha la sua Terra dei fuochi

Anche Asti ha la sua Terra dei fuochi
Immagine di una discarica – Foto: Unsplash

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Cromo esavalente, solventi clorulati, percolati, biogas. Paroloni lontani dal linguaggio comune, termini tecnici che hanno tutti lo stesso significato: morte. Sono sostanze subdole, velenose, cancerogene, nascoste in una collina a pochi passi da Asti. Sono lì da più di quarant’anni, figlie del peggior disastro ambientale che la città ricordi, quello della discarica di Valle Manina.

Per comprendere questa storia occorre fare un passo indietro e tornare ai ruggenti anni Ottanta. Nel 1985 Giorgio Galvagno, socialista, viene eletto sindaco di Asti. Nella sua giunta come assessore ai Lavori Pubblici siede Aldo Pia, democristiano. Due nomi che ricorrono spesso negli articoli de L’Unica, perché ad Asti le storie possono cambiare, ma gli attori restano sempre gli stessi. Tanto per capire: oggi – quarant’anni più tardi – Galvagno è il presidente della Banca di Asti, in carica dal 2020: Pia, il suo predecessore, stava lì dal 2004.

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Ma torniamo al passato. Nel 1990, Galvagno viene eletto per la seconda volta, sempre in quota PSI. Pia, sempre per la DC, gli fa da vice. In questo secondo mandato si comincia a parlare dell’ampliamento della discarica di Valle Manina, una delle tante frazioni che fanno parte del Comune di Asti. Lì, da una decina d’anni, sorgeva un deposito di rifiuti di 75 mila metri quadrati, nato per raccogliere l’immondizia di tre comuni. I comuni erano diventati cinque, poi dieci, poi il conto si era allargato a dismisura. Nel 1990, la discarica sta per riempirsi del tutto: lo spazio non basta più, si parla di raddoppio.

Dalla verdura radioattiva ai pulcini vivi

I residenti delle frazioni vicine, Valleandona e Valle Botto, si infuriano. Guidati dal loro parroco don Luigi Berzano – un prete coltissimo che si divideva tra l’altare e gli studi di sociologia – alzano barricate in mezzo alla strada per non fare più passare i camion che arrivano per scaricare lì i loro rifiuti. Tossici e non tossici, non fa differenza: i camion arrivano da tutta Italia perché lo smaltimento rifiuti ad Asti costa un decimo che da altre parti. I giornali dell’epoca, consultati da L’Unica, parlano di 23 lire al quintale contro le 175 lire che si pagano in altre discariche.

Controlli pochi, e si scarica di tutto. Nel maggio 1986, dopo il passaggio della nube radioattiva di Chernobyl, finiscono interrati a Valle Manina tremila quintali di verdura contaminata. «E non sappiamo quale possa essere stato l’effetto sull’ambiente circostante», commenterà qualche anno più tardi la biologa Silvana Benedetti, intervistata da La Stampa. Tra i casi più clamorosi emersi nel corso degli anni, lo smaltimento di un carico di pulcini vivi chiusi in sacchi neri, provenienti da un allevamento. Proprio davanti ai cancelli della discarica, il camion che li trasportava incappò in una manifestazione degli ambientalisti, che denunciarono l’episodio alla magistratura. «La tranquilla naturalezza con cui l’autista si accingeva a disfarsi del carico lascerebbe supporre che tale pratica sia consueta – scrissero gli attivisti nel loro esposto –, cioè che siano già avvenute in passato operazioni di interramento e compattamento di animali vivi». 

La questione diventa un caso nazionale e la Procura di Asti, sulla scorta di quella che in tutta Italia si chiamerà poi Tangentopoli, apre un’inchiesta sulla gestione. Nel mirino c’è il Consorzio Smaltimento Rifiuti retto prima da Giuseppe Berzano, ex capogruppo DC in Comune ed ex assessore provinciale alle Finanze, e poi da Francesco Mogliotti, ingegnere di Rocchetta Tanaro, protagonista della vita politica astigiana fin dal 1975, quando era stato eletto in consiglio nelle fila del PSDI, il Partito Socialista Democratico Italiano che in quegli anni era uno dei pilastri nei governi di pentapartito. Nella sua lunga carriera, Mogliotti era stato anche assessore al Commercio e vicesindaco con delega ai Lavori pubblici. Un altro uomo di potere.

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Gli arresti di “Tangentasti”

Nasce così quella che i giornali chiamarono “Tangentasti”, che nel gennaio del 1994 portò all’arresto di 26 esponenti di primo piano del mondo amministrativo ed economico astigiano tra i quali il sindaco Galvagno e il presidente della Provincia Guglielmo Tovo, democristiano. Molti vecchi giornalisti ricordano ancora la fredda alba di gennaio in cui le forze dell’ordine notificarono gli arresti ad alcuni tra gli uomini più potenti della città.

Mentre il consiglio comunale si scoglie, e il Ministero dell’Interno manda come commissario straordinario l’ex prefetto di Alessandria Elio Priore, i processi vanno avanti. Galvagno, nel 1996, patteggia 6 mesi e 26 giorni di carcere per inquinamento delle falde acquifere, abuso e omissione di atti ufficio, falso ideologico, delitti colposi contro la salute pubblica e omessa denuncia dei responsabili. I giudici parlano di «smaltimento fuorilegge di rifiuti tossici e nocivi in cambio di tangenti». Una “Terra dei fuochi” piemontese, ben prima che Roberto Saviano ne facesse un libro descrivendo il business dei rifiuti in un’altra regione.

I cittadini-elettori prima si scandalizzano, ma poi dimenticano. Galvagno, nel frattempo entrato in Forza Italia, diventa prima deputato e poi, nel 2007, viene rieletto sindaco. Resterà in carica fino al 2012, quando verrà battuto al ballottaggio da Fabrizio Brignolo del PD. «Per me è stata una vicenda molto dolorosa ma a distanza di tanti anni anche con le popolazioni ci siamo ritrovati. Quei giorni che mi han lasciato un segno addosso sono però anche stati un inizio», aveva detto un anno più tardi ricordando i tempi duri di “Tangentasti”. «Quel che è successo è stato anche causato da un eccesso di giustizialismo e da un clima allora insopportabile ed esasperato. La città da allora non ha più trovato la forza di riprendersi. Eravamo in rapidissima crescita, erano gli anni in cui eravamo tredicesimi in Italia. A distanza di tanti anni lo si è capito, per sapere chi sono i cattivi, bisogna forse guardare a quel grumo di potere che non ha mai amministrato la città formalmente, ma l’ha sempre diretta dietro le quinte».

Chi fossero i “cattivi”, Galvagno non l’ha specificato all’epoca e non lo dice neppure oggi. I fatti raccontano che dall’altra parte della barricata negli anni Novanta non c’erano potentati nascosti, ma un prete, don Luigi Berzano. «In quella collina non ci faremo mai più niente, ma tutta la valle da allora è rinata, i ragazzi degli anni ‘80 che si sono battuti per la chiusura della discarica sono ora diventati adulti e stanno lavorando per il loro territorio», dice a L’Unica don Luigi.

Il veleno resiste

Ma la storia non è ancora finita. Secondo l’ARPA (dati di aprile 2024) in quella collina ci sono ancora alte concentrazione di solventi clorurati, come il tetra-cloro-etilene, che sono stati rilevati ai lati delle discarica, dove sono stati trovati anche cromo esavalente, ferro e manganese in concentrazioni superiori alla soglia di legge. C’è ancora motivo per essere preoccupati? «I valori nelle acque sotterranee sono sempre stati circoscritti alla discarica», spiega Flaviano Fracaro, amministratore delegato di GAIA, Gestione Ambientale Integrata dell’Astigiano, l’azienda che si occupa dello smaltimento dei rifiuti nella provincia. «Il sito è monitorato dal 1993: sono tenuti sotto controllo le acque di falda e la presenza di biogas. Negli ultimi trent’anni il percolato, cioè il liquido inquinante che si forma all’interno dei rifiuti, è diminuito. Anche il biogas, la cui presenza oggi è bassissima».

Questo succede a due passi dal Parco Paleontologico, inaugurato nel 1985, e conosciuto a livello internazionale per i suoi reperti fossili, più di 18 mila sono esposti al Museo Paleontologico di Asti, tra cui anche delfini e balene. E non ci sono solo i fossili che richiamano migliaia di studiosi da tutto il mondo: poco distante dalla collina degli orrori, in quest’area boschiva, in cui tutti conoscono tutti, stanno nascendo maneggi, agriturismi, noccioleti e resort di lusso.

Il più famoso è “Le Cattedrali”, resort a 5 stelle la cui cucina è curata dallo chef Antonino Cannavacciuolo. Il proprietario è uno di quei ragazzi degli anni Ottanta che si era battuto a fianco di don Berzano. Anche il suo nome – come quelli di Pia e Galvagno – ricorre in molti articoli de L’Unica: si tratta di Livio Negro, da luglio presidente della Fondazione CRAsti. Lo scorso novembre Negro aveva sollevato la questione delle azioni della Banca detenute dalla Fondazione. Rendono poco e bisogna venderle, aveva detto.

Ricordate chi è il presidente della Banca? Proprio lui, Giorgio Galvagno, il sindaco che voleva raddoppiare la discarica. Da una parte Negro, l’ex attivista salito ai vertici della Fondazione, dall’altra Galvagno, l’ex primo cittadino che ora guida la Banca. Uno contro l’altro, di nuovo, oggi come negli anni Novanta. Storie diverse, certo, ma sempre con gli stessi attori. Perché ad Asti, da almeno quarant’anni, le cose vanno così.

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Questa puntata di L’Unica Asti termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.

👋🏽 L’Unica è stata presentata da Guido Tiberga, ex caporedattore de La Stampa e oggi coordinatore editoriale de L’Unica, durante “Buongiorno regione” di mercoledì 11 giugno. Potete vedere la presentazione a questo link, dal minuto 10.

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