Banca e Fondazione, grandi manovre sulla pelle dei piccoli azionisti

Banca e Fondazione, grandi manovre sulla pelle dei piccoli azionisti
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Asti si racconta!

Cara lettrice, caro lettore,

ti aspettiamo mercoledì 10 dicembre per il secondo evento dal vivo de L’Unica ad Asti! Sarà una serata speciale per conoscerci di persona e parlare insieme della città che raccontiamo ogni settimana. Il programma prevede letture tratte dalle newsletter, dialogo con l’ospite e momento conviviale finale. Sul palco ci saranno il coordinatore editoriale de L’Unica Guido Tiberga e Carlo Cerrato, direttore della Fondazione Giovanni Goria. Non mancare!

📍 FuoriLuogo Asti (via Enrico Toti 18/20, Asti)
🎟️ Ingresso gratuito – i posti sono limitati!

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Lo scontro tra la Banca di Asti e la sua Fondazione si è riacceso. Il consiglio d’amministrazione della Fondazione di martedì 11 novembre era stato burrascoso. Era stato necessario un rinvio al venerdì successivo ma gli animi non si erano certo placati. Sul tavolo c’era la questione della dismissione dei titoli della Banca di Asti. Il 79 per cento di tutti i beni della Fondazione sono investiti in quelle azioni e rappresentano il 31,8 per cento di tutte le quote azionarie della Banca, facendo dell’ente il maggiore azionista dell’istituto di credito (se si esclude il 34,6 per cento che i documenti ufficiali attribuiscono alla voce “altri azionisti”, nessuno dei quali però supera la quota del 2 per cento).

Quel 79 per cento è troppo: secondo un recente accordo tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze e ACRI, l’associazione che riunisce le Fondazioni e le Casse di Risparmio italiane, la quota sul totale dei beni investiti su un solo soggetto deve scendere al 44 per cento. Fino a qualche settimana fa, prima che le parti raggiungessero un’intesa per inserire nella normativa un addendum per modificare le quote, il tetto massimo consentito era del 33 per cento. Il nuovo protocollo ha fissato anche in tre anni il tempo entro il quale “mettersi in regola”. Le novità, di fatto, hanno cambiato le carte in tavola e l’ipotesi di una rapida vendita delle azioni è tramontata.

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Aumentano i pretendenti

Al pacchetto azionario in eccesso sono interessati colossi bancari del calibro di  BPER (Banca popolare dell’Emilia Romagna), BPM (Banco popolare di Milano) e Unicredit. Un assedio – con i conseguenti timori di portare il dominio della Banca lontano dalla città – di cui L’Unica si è già occupata in passato. Negli ultimi mesi, peraltro, la platea dei pretendenti si è allargata: secondo il quotidiano Milano Finanza, infatti, nella partita è entrata anche Credem (Credito emiliano), i cui vertici punterebbero a una fusione con l’istituto astigiano.

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Non è un mistero che, acquisendo per intero il monte titoli della Fondazione, i grandi istituti di credito acquisirebbero il controllo della Banca. Durante i due consigli della Fondazione in cui c’erano stati diversi scontri si è parlato di quello, alla presenza anche dei rappresentanti di Equita, la società di consulenza milanese incaricata dalla Fondazione di occuparsi del problema e di svolgere le analisi preliminari sui possibili scenari.

La maggioranza dei consiglieri si è schierata per non vendere le azioni a una banca,  ma (eventualmente) a un’altra fondazione. Così Livio Negro, il presidente eletto a fine 2024 e subito impegnato nella procedura di vendita (anche perché il rendimento delle azioni aveva subìto un netto calo), si è ritrovato nell’angolo, con il solo sostegno del consigliere Riccardo Ruscalla.

Una situazione pesante, tanto che la Fondazione, dopo l’uscita della notizia, si è affrettata a diramare un comunicato per buttare acqua sul fuoco: «Non vi è stata alcuna messa in minoranza del presidente Livio Negro, né formale né sostanziale». La nota poi specifica che il Consiglio ha operato «in un processo strutturato e trasparente di confronto interno, finalizzato all’assunzione di decisioni informate e ben ponderate con il contributo di tutti i consiglieri. Tale confronto è ancora in corso e rappresenta un passaggio dovuto in una fase particolarmente delicata per le scelte da assumere a garanzia del territorio e della tutela dell’economia locale».

Più o meno gli stessi toni usati dal sindaco Maurizio Rasero, in un ruolo per lui inedito di pompiere delle polemiche: «Non mi risulta ci sia alcuna spaccatura, è stata presa la decisione di verificare meglio tutte le opportunità – ha detto –. E personalmente rinnovo la mia fiducia al presidente Negro e a tutto il CDA».

I giochi di potere e i soldi dei piccoli azionisti

Su che cosa si sta litigando? Riassumiamo squadre e posizioni: da una parte c’è Negro che, per primo dopo decenni, aveva detto che le azioni della Banca valgono poco e che di conseguenza la Fondazione ha meno soldi da investire sul territorio. Sul fronte opposto ci sono gli altri consiglieri che per salvaguardare l’autonomia della Banca e i posti di lavoro di oltre duemila dipendenti sostengono la linea del precedente presidente, Mario Sacco: rivolgersi alle fondazioni. D’altra parte, se il 31,8 per cento delle azioni è della Fondazione CrAsti il restante è suddiviso tra la Fondazione Biella (12,91 per cento) Fondazione Vercelli (4,20 per cento) Fondazione CRT (6 per cento). L’unica banca nel pacchetto è BPM che ha il 9,99 per cento e sarebbe pronta alla scalata.

Tutte le fondazioni sono legate da accordi: aumentare la loro partecipazione o farne entrare una nuova non sarebbe una novità (ad esempio, con Sacco presidente della Fondazione entrò la Fondazione CRT), in lista adesso ci sarebbe la Fondazione di Cuneo. Così si salverebbero capra e cavoli, Banca ancora libera e indipendente, lavoratori salvati da eventuali passaggi ad altre banche (ma sarebbe tanto male, poi?) e azioni “spalmate” su più enti, legati da un patto di non belligeranza.

Questi i giochi di potere, ma a ben guardare manca qualcosa: quello che tutti dimenticano. La matematica insegna a fare le somme e addizionando tutte le quote attuali delle fondazioni, insieme si arriva al 64,9 per cento di azioni. Dove è finito il resto lo spiega bene l’associazione AstiOltre, un movimento di opinione nato un anno fa che annovera tra i suoi consiglieri Carlo Cerrato, direttore della Fondazione Goria e già caporedattore della sede RAI di Torino.

«Le altre azioni, pari al 35,1 per cento – la quota di maggioranza relativa – sono in mano a oltre 22 mila piccoli azionisti che di fatto non contano nulla, ma sopportano il calo clamoroso del valore delle azioni che hanno comprato (-48 per cento circa) – si legge in una nota –. Va tenuto conto che eventuali trattative per cessioni di quote azionarie dovranno portare benefici tangibili anche per i piccoli azionisti finora pesantemente penalizzati dalle quotazioni delle azioni, nonostante le narrazioni portate avanti negli anni sulla cosiddetta “banca del territorio”».

In sostanza, mentre i “colletti bianchi” giocano al risiko bancario, le famiglie astigiane perdono soldi e non sanno nemmeno il perché. Come ogni anno la Banca di Asti per Natale invia ai suoi soci un opuscolo per spiegare i grandi risultati e invitarli al concerto di Natale (ma solo i più ricchi, infatti la musica la ascolteranno solo i soci con oltre 300 azioni). Ebbene, nelle dodici pagine del pamphlet, che L’Unica ha potuto visionare, tra mirabolanti indici di bilancio, iniziative green e risultati che sfiorano il miracolo, nemmeno una volta è citata la quotazione delle azioni che le 22 mila famiglie astigiane hanno in tasca.

«Qual è oggi il vero valore delle azioni?», si domanda parlando con L’Unica il consigliere comunale della lista Prendiamoci cura di Asti, che di professione è dirigente alla Saclà, Roberto Migliasso. «Quante volte abbiamo discusso dei 16 euro investiti anni fa e di quanto ciascuno di noi ha perso? Quanti sono stati costretti a vendere in fretta, perdendo fino al 50 per cento del capitale?».

Sulla stessa linea la Fondazione Goria. «La Banca di Asti vale la metà di quanto hanno investito gli azionisti, compresa la Fondazione e i cosiddetti 21.500 “piccoli azionisti” che insieme valgono la maggioranza relativa, e distribuisce da anni un dividendo ridicolo. Basti pensare che Fondazione CrAlessandria, con un patrimonio inferiore di 20 milioni rispetto ad Asti eroga 4 volte (8 milioni di euro)», ha detto il presidente Marco Goria, scettico anche sull’etichetta di “banca del territorio” con cui spesso viene definito l’istituto astigiano. «Una banca del territorio è un istituto bancario locale e radicato nella comunità che si impegna a supportare le esigenze specifiche di famiglie e piccole e medie imprese. Negli ultimi vent’anni Banca di Asti è stata tutto questo?»

Dubbi senza risposte

Domande a cui nessuno sa dare risposta e nessuno si azzarda a chiederle, perché il monito è che potrebbero influire sul mercato azionario e far crollare il titolo bancario. Un’eventualità molto improbabile: le azioni della Banca di Asti sono quotate su un mercato ristretto, il Vortel, in cui le oscillazioni sono minime. Per intenderci, venderle e comprarle è praticamente impossibile. Le azioni sono crollate tra il 2014 e il 2020, arrivando a valere poco più di 7 euro l’una dai 16 euro iniziali e questo nel più completo silenzio di tutti. Anche dell’associazione piccoli azionisti, costituita in seno alla Banca e presieduta da Pierfranco Marrandino, che prima di andare in pensione e fare il presidente dell’associazione dirigeva l’ufficio legale della stessa Banca. Un piccolo risparmiatore ha raccontato a L’Unica di essere andato in filiale a chiedere spiegazioni e di essersi sentito rispondere dall’ignaro sportellista: «Sa, con il COVID è crollato un po’ tutto». Benedetta pandemia, scusa buona per tutto.

Per molto tempo anche le assemblee dei soci della Banca non si sono tenute in presenza ma da remoto, con un unico rappresentante dei piccoli azionisti (Marrandino) collegato dal computer di casa sua, ancora per motivi legati al COVID. Anzi, le azioni sono risalite dopo che Livio Negro ha gridato che il re era nudo e i giornali ne hanno parlato, sono arrivate a 8 euro e quest’anno la banca ha dato un dividendo di 10 centesimi ad azione, ma le domande restano. Chi ha deciso l’emissione delle azioni su un mercato ristretto? Chi ha deciso il prezzo di emissione? Perché sono crollate? Chi, in buona sostanza, ha commesso un errore che 22 mila famiglie di risparmiatori astigiani stanno pagando?

Questa puntata di L’Unica Asti termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.

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