Tra crisi e nuove sfide, la Chiesa prova a ripartire dai piccoli centri
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Per arrivare alla chiesa di Demonte bisogna lasciare la strada principale e infilarsi nelle vie strette del centro. Qui il rumore dei camion diretti allo stabilimento dell’acqua Sant’Anna si disperde tra le case e diventa un sottofondo lontano. Demonte si trova in valle Stura, a 780 metri di altitudine, ed è un passaggio obbligato per chi da Cuneo vuole raggiungere la Francia passando per il colle della Maddalena. Conta circa 2mila abitanti, oltre a una rete di piccole attività commerciali.
La chiesa si trova nel cuore del paese. Per molto tempo la sua centralità urbanistica ha rispecchiato anche quella sociale: era un punto di riferimento condiviso, l’istituzione che scandiva le tappe fondamentali della vita. In alcuni territori, soprattutto nei centri più piccoli, questo ruolo resiste ancora. «La parrocchia è uno dei luoghi che ha contribuito alla mia crescita: in oratorio ho portato molte delle mie domande e mi sono potuta sperimentare nella relazione con gli altri», ha raccontato a L’Unica Martina (di cui non indichiamo il cognome per tutelare la privacy), cresciuta nella bassa valle Stura e tornata a vivere qui dopo l’università. «Se avessi smesso di frequentare l’oratorio dopo la fine delle scuole medie probabilmente non mi sarei sentita parte del luogo in cui vivo. Mi ha permesso anche di mantenere un legame con il territorio mentre frequentavo l’università fuori sede, un legame che mi ha portata a voler tornare e rimanere qui ora che ho finito gli studi».
Negli ultimi anni, però, quel mondo un tempo centrale nella società ha iniziato a cambiare. Il numero dei seminaristi italiani che arrivano al sacerdozio è diminuito: nel 2013 i nuovi preti erano 436, nel 2023 sono stati 323. Un calo che si è avvertito soprattutto nel Centro e nel Nord Italia, dove non è raro che ci siano più parrocchie che sacerdoti, con effetti diretti anche sulla vita degli stessi preti.
«Io sono in valle Stura dalla fine del 2015. All’epoca avevo soltanto due parrocchie, ma nel tempo se ne sono aggiunte altre. Poi nel settembre 2024 abbiamo rimodulato tutte le nostre presenze e io sono diventato il parroco delle parrocchie del comune di Demonte, che sono Festiona, Perdioni, Demonte e Trinità», ha detto a L’Unica don Fabrizio Della Bella, parlando dal suo ufficio accanto alla Chiesa di san Donato, nel centro storico del paese. «Quando sono arrivato dieci anni fa eravamo sette preti in valle, ora siamo quattro».

Il cambiamento non ha riguardato solo le parrocchie di montagna. «In questi tre anni se mi fossi limitato a fare quello che mi veniva chiesto penso che non avrei più letto un libro né studiato nulla. In teoria io dovrei dire le messe, fare i sacramenti, amministrare le parrocchie, tenere i conti. Ma io così non ci sto». A parlare è don Mariano Bernardi, parroco di Borgo san Dalmazzo dal 2022, dove era già stato curato tra il 1999 e il 2006. «Ho imparato a delegare, in particolare sulla parte amministrativa e sulle questioni relative alla ristrutturazione delle case della parrocchia. Non sono disposto a farmi ingoiare da ciò che si è sempre fatto».
Il cambiamento che sta attraversando la Chiesa non riguarda solo la diminuzione dei sacerdoti: coinvolge in modo più ampio il rapporto delle persone con la religione e con l’istituzione ecclesiastica. E questo, in parte, si riflette anche sul legame che i cittadini hanno con la parrocchia del proprio territorio.
Come ha spiegato Andrea Cavallini, sacerdote della diocesi di Roma, nella newsletter Appunti di Stefano Feltri, «c’è una crisi strutturale-istituzionale: la crisi numerica è sotto gli occhi di tutti, ma la capillare rete delle parrocchie, con la sua forza e le sue pesantezze non è stata davvero ripensata. Man mano che i preti diminuiscono, le caselle restano vuote». A questa fragilità si aggiungono altri problemi, come quello degli abusi commessi da alcuni sacerdoti e, talvolta, «mal gestiti o addirittura coperti».
Nonostante un quadro complesso, ci sono territori in cui le parrocchie stanno provando a ripensarsi, sperimentando nuove attività e cercando modalità diverse per coinvolgere le persone, soprattutto i giovani. Ed è forse questo il laboratorio più interessante, quello dei paesi e delle piccole città.
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I piccoli centri
«Quella che a chi è vissuto in città potrebbe sembrare una gabbia – come le relazioni cortissime, tutti che si conoscono, il fatto che ciò che fai lo sanno tutti – da noi sono la normalità, anzi a volte sono proprio il valore aggiunto del contesto», ha detto don Fabrizio. «La comunità intorno ti accompagna, ti sostiene, piange con te. È di grande aiuto, direi che per me in alcuni casi è stata la salvezza».
Oggi però per molte famiglie – soprattutto quelle più giovani – vivere lontano dalle grandi città è una scelta non scontata. «Se dovessimo guardare le opportunità di lavoro, i servizi per sé e per i figli, niente ti tiene in montagna». Al contempo, i paesi affrontano le stesse sfide delle città: i problemi del lavoro, delle famiglie, degli adolescenti. È il contesto che è diverso. Basti pensare alle distanze: un paese come Demonte, per quanto sia piccolo, è sparso tra centro, case isolate e frazioni. «L’oratorio è qua, ma spesso capita che io vada a prendere i ragazzi quando dobbiamo andare da qualche parte – ha aggiunto don Fabrizio –. La mia macchina è soprannominata “bus” perché vado in giro a chiamarli. I genitori amichevolmente si soprannominano “tassisti”. Qui è tutto un movimento». Questi spostamenti vanno considerati quando si organizza un’attività in parrocchia: invece di un incontro settimanale, può diventare più pratico proporre giornate più lunghe ma meno frequenti.
Cambiare per i giovani
«Ai genitori dei ragazzi del catechismo nelle scorse settimane ho detto che Dio non è più un punto di riferimento. Lo era e lo è ancora per tante persone, ma per la maggior parte no, non è più un punto di riferimento per risolvere le questioni della propria vita», ha detto a L’Unica don Mariano. «Questo comporta un lavoro immenso per ridare credibilità. Il Vangelo ha tanto da dire, ma la forma deve essere diversa da una volta».
Il parroco di Borgo san Dalmazzo parla seduto dietro la scrivania del suo ufficio, dal quale si vede, oltre la vetrata, la chiesa di Gesù lavoratore. In realtà quello è solo uno dei suoi due uffici, l’altro si trova a qualche chilometro, accanto alla chiesa di San Dalmazzo, in pieno centro storico.

«Vent’anni fa il campanile era un punto di riferimento un po’ per tutti, dagli anziani ai giovani, alle famiglie. Era il luogo in cui andavi a cercare un confronto», ha aggiunto. «Per le persone più anziane, forse per tradizione o per cultura, la parrocchia continua a essere un punto di riferimento non tanto per un confronto culturale, ma per la messa, le catechesi».
I tempi, però, sono cambiati e le parrocchie non sempre sono riuscite a seguirli. È su questo che don Mariano sta cercando di intervenire. «Bisogna capire che il 2025 non è il 2000, ma non è nemmeno il 2020. Essere al passo con i tempi vuol dire studiare cercando di mettere in comunicazione tra loro il Vangelo da una parte e la cultura del tempo dall’altra».
Secondo lui, le esperienze comunitarie come i campeggi sono ancora oggi un momento di aggregazione per molti giovani. Sono invece diminuite le persone che partecipano agli incontri settimanali serali, i cosiddetti “gruppi”. «L’incontrarsi in settimana ai gruppi sta subendo un cambiamento notevole, e questo non succede solo a Borgo ma anche, ad esempio, dove ero prima cioè a Cervasca e Vignolo. Per questo mi sto interrogando e sto chiedendo anche ai giovani cosa potremmo cambiare».
Una delle idee su cui sta lavorando è coinvolgere persone competenti in diversi ambiti, accanto agli animatori, per rendere gli incontri più stimolanti. «Inoltre, vorrei spostare queste attività fuori dalla parrocchia, che in questo momento è un luogo fortemente connotato – ha detto –. L’obiettivo sarebbe partire dai bisogni e dalle domande dei ragazzi e, in base a quelle, andare a incontrare diverse realtà, magari divisi per gruppi, e poi tornare in parrocchia solo una volta ogni tanto per un confronto».
La diminuzione si è avvertita anche a Demonte, ma secondo don Fabrizio ha qualche risvolto positivo. «I giovani ci sono, forse anche perché il territorio fatica ad aggregare quindi i ragazzi vengono volentieri all’oratorio e agli incontri. Quando poi arrivano e trovano qualcosa di bello, decidono di rimanere». Il calo, comunque, c’è stato. «Un po’ influiscono le questioni demografiche, un po’ io questa non la vedo solo come una perdita perché significa che chi va a messa ci va volentieri, è convinto. Non c’è più la gente che chiacchiera in fondo alla chiesa o che sbuffa. C’è stato un generale “liberi tutti” che ha reso tutti più onesti. Quindi, se non voglio andare a messa non ci vado. Siamo meno, ma secondo me si è “alzato il livello”».

Tra vecchie e nuove sfide
Nonostante la crisi e l’allontanamento di una parte dei fedeli, nei piccoli centri la parrocchia continua a rappresentare un riferimento importante. E secondo qualcuno la situazione negli ultimi anni è addirittura cambiata in positivo. «A livello di numeri assoluti non siamo tanti. Ma quando io frequentavo le superiori non ricordo di ragazzi tra i 20 e i 26 anni che rimanessero agganciati nel circuito degli oratori e della parrocchia. Invece adesso ci siamo. Non siamo tanti, ma ci siamo», ha detto ancora Martina, secondo cui sull’esperienza influisce anche il fatto di vivere in un piccolo centro. «Mi permette di sentirmi parte della comunità. Secondo me, vivere in un paese fa sì che la realtà della parrocchia, degli oratori rimanga un’esperienza forte. Ma comunque non penso sia solo questo perché io vivo in bassa valle, quindi è facile potersi muovere e andare a fare esperienze altrove».
Secondo don Fabrizio quello che stiamo vivendo è un momento decisivo. «Che cosa ci aspetta non lo sappiamo. Se stiamo fermi però non andiamo né indietro né avanti. Ci sono tante domande a cui dovremo trovare una risposta, però è un periodo bello fatto di tanto attivismo giovanile. I giovani sono pochi, ma quelli che ci sono hanno delle cose da dire».
Questa puntata di L’Unica Cuneo termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.
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