Daniel Boloca, dalle case popolari alla serie A, senza dimenticare le radici

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Faccelo sapere quiAl campetto in cemento del parco Primo Levi, nel quartiere Maddalene di Chieri, l’atmosfera è quella di sempre. Anche se il fondo da un po’ di tempo è diventato blu e la struttura è stata rimodernata. Qui, qualche settimana fa, puntuale e attesissimo, ha fatto il suo ritorno Daniel Boloca, il calciatore partito da Chieri per arrivare alla serie A: l’ultimo di una serie che ha il suo leader in Roberto Rosato, il difensore che al fianco di Gianni Rivera conquistò coppe e scudetti con il grande Milan degli anni Sessanta.
Non che Daniel se ne fosse mai andato davvero. Ma questa volta ha fatto rumore. Con una locandina semplice e colorata, pubblicata sui social, ha annunciato il “Boloca Street”, un torneo di calcio a cinque dedicato ai ragazzi del quartiere. Dieci squadre, partite brevi, niente iscrizione. Soltanto il desiderio di riportare le persone in quel luogo che per lui non è soltanto il posto dove ha tirato i primi calci, ma una pagina fondamentale della sua storia: le Maddalene, il parco Levi e il campetto sono “casa”. «Lì ci sono tutti i miei amici», ha raccontato sul sito Cronache di spogliatoio. «C’è un campetto. Prima era rosso, da basket. Con le crepe nel cemento e la parte centrale dove il colore era più consumato. Le porte erano i triangoli in ferro che sorreggevano i canestri. Fino a tre anni fa, potevi trovarmi lì. A skillare con i miei amici e palleggiare fino a quando il pallone non toccava terra».
Le radici
«È qui che ho imparato a giocare – ha detto a L’Unica e ai cronisti locali accorsi alla festa –. Ma anche a cadere, a rialzarmi, a convivere con le sconfitte e con le botte sulle caviglie. È dove ho scoperto che il calcio può essere una cosa seria, anche quando lo giochi senza arbitro e senza premi». E lo ha spiegato senza alcuna retorica, mentre stringeva mani, firmava magliette, scherzava con vecchi amici. Non uno di quei ritorni “da star”, con occhiali scuri e atteggiamenti distaccati, ma un rientro pieno, semplice, dentro la comunità.
A guardarlo ora, centrocampista impegnato con il Sassuolo nel ritiro in vista del grande ritorno in serie A, mediano geometrico e intelligente, viene da pensare a quanto sia stata lunga e difficile la strada che lo ha portato fin lì. Nato in Italia da genitori romeni, cresciuto con la doppia identità addosso – quella delle origini e quella della città che l’ha visto diventare uomo – Boloca ha fatto un percorso tortuoso, spesso ignorato dal grande pubblico. Per anni è stato “uno dei tanti”, un potenziale talento che era passato dalle giovanili della Juventus, ma poi era finito lontano, tra campionati minori e viaggi in Slovacchia. Per molti era disperso. Lui, semplicemente, stava seguendo il suo percorso, anche se più lungo. Fino a pochi anni fa giocava in Serie D, nelle retrovie del calcio italiano. Poi il passaggio a Frosinone, in B, e l’esplosione: prestazioni solide, gol, leadership. Tanto da meritarsi la chiamata del Sassuolo, arrivata nell’estate del 2023, dove ha preso il posto del francese Maxime Lopez al centro del campo: «Mi chiamo Daniel Boloca, tre anni fa giocavo in Serie D. Oggi sono in Serie A e ho appena segnato il mio primo gol», il suo identikit.
A Chieri, però, Daniel non è il ragazzo che ha segnato un gol a San Siro o che gioca contro la Juventus. È semplicemente “Boloca”. Quello che alla scuola media prendeva in giro i professori in romeno, quello che ha fatto la gavetta nei tornei parrocchiali. Quello che camminava per strada con il pallone che sembrava attaccato al piede, non lo lasciava mai. Quello che ora, a 26 anni, si è messo in testa di restituire qualcosa. E allora il torneo di calcio a 5 non è un dettaglio. È un atto simbolico, ma anche pratico. Perché Daniel non si è limitato a “metterci la faccia”: ha organizzato, chiamato gli amici, portato le magliette, raccolto i palloni, si è fermato fino a tardi per le premiazioni, ha fatto le foto con tutti. Sotto gli occhi un po’ increduli dei ragazzi – molti dei quali non erano nemmeno nati quando lui ha cominciato a giocare – Boloca ha dimostrato che si può arrivare in serie A senza dimenticare da dove si viene.
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L’infanzia in un quartiere difficile
Il quartiere delle Maddalene, a Chieri, ha vissuto anni difficili. Cinquant’anni fa, quando sono state costruite le prime case popolari, l’integrazione non è stata semplice. Negli anni però l’atmosfera è cambiata. Oggi è uno di quei posti dove si vive a metà tra il centro e la periferia, dove la bellezza della collina piemontese incontra i condomini alti e i cortili rumorosi. È un quartiere dove lo sport è spesso l’unico linguaggio condiviso, quello che unisce romeni, marocchini, italiani, albanesi. E Daniel, con la sua doppia cittadinanza e il suo italiano perfetto parlato con una cadenza romena appena accennata, è il volto di quell’integrazione che funziona quando si costruisce nei cortili, non nelle stanze dei convegni.
Alle Maddalene lo sport ha un ruolo importante, non a caso è qui che è stato costruito anche il piccolo palasport che ha accompagnato le fortune del Chieri ’76, il club di volley femminile che dalle categorie più basse è salito fino alla serie A1 e alle coppe europee. Alle Maddalene la famiglia di Daniel si è integrata negli anni, in un contesto equilibrato che non è mai sfociato in disagio sociale. Sembrano insomma lontani i tempi in cui questa zona era conosciuta con il nome di Shanghai, un luogo non lontano dal centro di Chieri eppure distante mille chilometri per tanti altri motivi.
Non è un caso allora che il torneo di Daniel Boloca sia stato pensato per tutti. Nessuna selezione, nessuna élite. Solo squadre miste, bambini, ragazzi, un po’ di musica, qualche sponsor locale e tanto entusiasmo. I genitori hanno portato l’acqua, i bar vicini hanno offerto qualche fetta di focaccia. L’amico chef Franco ha servito paella per tutti. La città ha risposto, in silenzio ma con gratitudine. «C’è chi sogna di giocare a Wembley. Io, oggi, sogno che almeno uno di questi ragazzi tra qualche anno dica: ho iniziato grazie al Boloca Street», ha detto Daniel a fine giornata.
Il legame con la Romania, per Daniel, è più affettivo che sportivo. Forte è il senso di appartenenza a entrambe le culture, ma in campo ha scelto l’azzurro. È stato convocato da Roberto Mancini nel 2022 per uno stage della Nazionale maggiore, e pur non avendo ancora esordito ufficialmente, ha dichiarato di sentirsi profondamente legato all’Italia, dove è nato, cresciuto e diventato calciatore. La Romania l’aveva pure coinvolto, lui aveva risposto a una convocazione con la nazionale under 21 e negli spogliatoi aveva sentito la lingua di famiglia, che capiva ma non sapeva parlare bene, proprio lì aveva capito che la maglia che sentiva più vicina era ormai quella azzurra. A scegliere di indossare la divisa della Romania, invece, è stato il suo fratello minore Gabriele, difensore, che ha già giocato nelle giovanili e con l’under 21. Due fratelli, due percorsi, due scelte legittime, ma con la stessa voglia di onorare le proprie radici.
L’amicizia con il sindaco
Oggi, al Sassuolo appena tornato in serie A, Daniel è uno dei pilastri della squadra. Gioca con ordine, raramente sbaglia una scelta, parla poco ma lavora molto. Gli allenatori lo adorano per la testa, i compagni per la serietà. E mentre in campo costruisce gioco, fuori consolida legami. Ha sviluppato anche un ottimo rapporto con il sindaco di Chieri, Alessandro Sicchiero, con cui ha già collaborato per il rifacimento del campo di basket e calcio. «Ci siamo conosciuti tre anni fa, la prima volta che ha organizzato il torneo mi ha chiamato e mi ha raccontato di questa sua esigenza di restituzione, la gioia di tornare dai ragazzi del quartiere dove era cresciuto. Ho accolto subito con entusiasmo la sua iniziativa, non capita spesso che atleti del suo calibro si ricordino del loro paese, del quartiere», racconta a L’Unica. «L’integrazione delle Maddalene è maturata nel tempo, oggi è un quartiere che non ha più lo stigma che aveva quando sono nate le prime case popolari. Oggi è una delle zone più verdi di Chieri, c’è un bel parco attrezzato, strutture per i ragazzi. Noi come amministrazione ci abbiamo investito e ci investiamo tanto. Daniel rappresenta la rivalsa e la gioia di tornarci che contribuisce a dare un’identità anche agli altri che ci vivono».
Ora Boloca vorrebbe far costruire un altro campo in sintetico, lì a fianco, con una gabbia per il 3 per 3, ideale per far giocare in sicurezza i più piccoli senza che il pallone finisca ogni volta in strada, sotto le auto in transito nel quartiere. «Ci lavoreremo insieme, gliel’ho promesso – dice il sindaco –. Se tutti quelli che hanno avuto una fortuna pensassero a restituire qualcosa alla società saremmo una realtà migliore. Daniel è un bellissimo esempio di cui siamo orgogliosi. Quando torna alle Maddalene è felice, entusiasta. Un ragazzo umile che ce l’ha fatta».
Forse è questo che rende la sua storia così speciale. In un calcio che spesso si racconta solo attraverso cifre, follower e contratti milionari, Boloca rappresenta un’altra via: quella del radicamento. Di un successo che non dimentica le origini, che non cancella le cicatrici, ma anzi le esibisce come medaglie. E così, tra una partita in serie A e una visita alla scuola dove ha studiato, tra un’intervista e una chiacchierata in panetteria, Daniel Boloca continua a essere quello che è sempre stato: un ragazzo di Chieri che ama il calcio, ama la sua città, e crede che con il pallone si possa ancora fare qualcosa di bello.
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