Sui diritti dei rider è tornato il silenzio, ma nulla è cambiato

Sui diritti dei rider è tornato il silenzio, ma nulla è cambiato
Foto: Pexels

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L’estate è finita e i rider sono usciti di scena. Il dibattito sulle tutele da garantire quando le temperature diventano roventi e il sole picchia forte si è esaurito. In un copione che si ripete, scoppia il caso ma – scavallato il climax dell’attenzione mediatica – cala il silenzio. Pagine e pagine su tutti i media e poco o nulla di fatto per i lavoratori. «Nonostante Torino sia stata investita da ondate di calore oltre la soglia di rischio, non abbiamo visto cambiamenti significativi», è la sintesi per L’Unica di Danilo Bonucci, segretario del NIDIL, la struttura della CGIL dedicata alle Nuove identità di lavoro.

Il racconto di Enrico Francia, funzionario NIDIL e rider dipendente di Just Eat – una delle compagnie di delivery presenti in città – si arricchisce di dettagli degni di una commedia all’italiana: «Il servizio è stato interrotto da Glovo e Deliveroo solo il 4 e il 5 luglio», ha detto a L’Unica. «Erano i due giorni successivi all’approvazione dell’ordinanza della Regione che nel pieno delle polemiche sui “poveri ciclofattorini” a rischio svenimenti e collassi, li ha inseriti nella lista dei lavoratori da fermare nel caso in cui le condizioni ambientali siano ritenute pericolose».

Con la seconda, pesantissima, ondata piombata sul Piemonte a metà agosto (dall’11 al 15 le temperature hanno toccato i 38-40 gradi), il meccanismo di allerta è saltato. Perché? «Ogni mattina, dalle 8 alle 10, un addetto doveva controllare le previsioni meteo per la fascia 12:30-16 pubblicate sul sito della Regione. Se le temperature erano definite “ad alto rischio”, era chiamato a premere il pulsante che bloccava il servizio. In quei giorni non è successo: io stesso ho segnalato l’inadempienza con una mail a Glovo, ma non ho mai ricevuto risposta. Forse erano in ferie», rivela Francia. Così – nonostante l’ordinanza di cui tutti parlavano – a Ferragosto i rider hanno pedalato sull’asfalto incandescente come in tutti gli altri giorni dell’anno. (L’Unica ha contattato l’azienda per avere un commento, ma al momento della pubblicazione non ha ricevuto riscontri).

Testo dell'email inviata da Enrico Francia

Storia diversa, ma altrettanto scoraggiante, da Just Eat, che è anche l’unica piattaforma (a Torino e provincia sono cinque quelle attive) con lavoratori tutti regolati da un contratto di lavoro subordinato. Qui esiste un protocollo secondo il quale l’azienda fornisce acqua e sali minerali nei giorni più caldi. In questo modo, il divieto che l’ordinanza della Regione imponeva, ma solo «ove non sia possibile introdurre misure di riduzione del rischio», è stato limitato ai lavoratori over 65. «Ma i lavoratori di quell’età contrattualizzati da Just Eat sono soltanto due e solo loro sono rimasti a riposo nei giorni più caldi. Due su 220», ha precisato Francia. Un effetto pari a zero.

Se ne riparla (forse) con il freddo

Difficile che il dibattito possa ripartire in autunno, ma i riflettori potrebbero riaccendersi con l’arrivo del freddo. L’ordinanza firmata dal presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio è infatti scaduta a fine agosto. Per la tutela dei rider nel caso di temperature polari, bisognerà dunque tornare al tavolo delle trattative e riprendere i confronti con le organizzazioni sindacali. Di fatto, pertanto, quello di luglio è stato un provvedimento “stagionale”, eventualmente da rinnovare sostituendo calore e radiazioni solari con pioggia, neve, nebbia e freddo intenso.

L’ordinanza di Cirio, peraltro, non includeva alcuna forma di ammortizzazione sociale per tutelare il reddito dei lavoratori fermati per il clima: se fa troppo caldo per lavorare, la Regione ti blocca per tutelare la tua salute. Ma alla fine del mese ti ritrovi uno stipendio ridotto.

Una forma di integrazione salariale, invece, era prevista dalla proposta di legge Griseri-Prisco (che ha preso il nome dal vicedirettore de La Stampa Paolo Griseri, scomparso un anno fa, che alla vita dei rider aveva dedicato un articolo nei giorni dell’alluvione in Emilia – e del sindacalista napoletano Antonio Prisco, morto a 37 anni dopo aver portato in tribunale Deliveroo). Griseri aveva raccontato la vita durissima di chi era costretto a pedalare sotto la pioggia portando sushi e pizze e suggeriva la sospensione delle consegne nel caso di eventi atmosferici estremi.

La proposta di legge, sostenuta dalla vicepresidente del Partito Democratico Chiara Gribaudo, prevedeva l’istituzione di un fondo da 10 milioni di euro in tre anni per consentire un’integrazione per i rider nei giorni di allerta meteo. La norma era stata inserita in un emendamento alla legge di Bilancio che è stato bocciato dalla maggioranza dopo aver ricevuto il parere negativo del governo. Gribaudo ha poi presentato una nuova proposta di legge, non ancora discussa in Parlamento.

I rider, intanto, continuano a lavorare con poche tutele. Spesso con nessuna tutela.

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“Mamma Rider”, la difficile storia di Gilda

Gilda (di cui non indichiamo il cognome per tutelare l’anonimato) per tutti è “Mamma Rider”. Ha una bimba di dieci anni da mantenere, da cinque anni pedala e consegna a Torino. Qualche mese fa ha partecipato a un sit-in dei ciclo-fattorini organizzato dalla CGIL a Palazzo Nuovo, una delle sedi universitarie di Torino. In quell’occasione a lei spettava il compito di parlare dei diritti delle donne rider. «Sono in Italia da dieci anni, pedalare mi piace, le donne sono ancora poche ma stanno aumentando», ha raccontato a L’Unica. «Per me, entrare nel mondo del lavoro è stato difficile: le opportunità di un’occupazione erano pochissime, in ogni caso le paghe erano da fame. Di qui la decisione di provare a guadagnarmi da vivere con la bici».

Ad aiutarla è stata la Cassa di Mutua solidarietà e resistenza rider intitolata al sindacalista Mimmo Rinaldi e promossa da NIDIL, un progetto partito due anni fa per sostenere la ricerca di una casa dignitosa in un contesto in cui lo sfruttamento è la quotidianità, ottenere i documenti necessari, avere un risarcimento quando la bicicletta si rompe o viene rubata.

Sulle donne-rider, Gilda ha le idee chiare: «Il congedo mestruale è un diritto minimo per una donna che fa questo mestiere». Le urgenze fisiologiche invece – un grave disagio per rider stranieri a cui viene vietato l’ingresso in moltissimi ristoranti della città – sono un problema che per fortuna lei non ha. «In questo caso essere donna per me è un vantaggio, non ho mai trovato un ristorante che non mi facesse andare in bagno, cosa che invece capita alla maggioranza dei miei colleghi maschi». Sono passati pochi mesi da quelle parole e la dura vita in strada ha cominciato a causarle problemi di salute: ansia e depressione.

Ora la situazione di Gilda è cambiata, in peggio. «Prima avevo una bicicletta a pedalata assistita, che si è rotta. Così ho preso una bici normale, ma Just Eat continua a calcolare i tempi come se avessi una bike elettrica, che ovviamente consente maggiore velocità. Litigi con i ristoratori, la gestione di mia figlia con il lavoro, credo che le mie crisi dipendano da molte ragioni». La visita del medico del lavoro ha confermato che al momento i sintomi che accusa non sono compatibili con le pedalate organizzate dagli algoritmi: «Per il momento non lavoro. E ovviamente non guadagno».

La sicurezza

Non c’è solo il caldo. O il freddo. O i furti, una tragedia per tutti i rider considerato che Torino si sta confermando una delle città dove le bici rubate alimentano un mercato sempre più florido. Da tempo un grave problema di sicurezza preoccupa chi ha assunto il compito di tutelare i ciclo-lavoratori. «Lo segnaliamo da anni al Comune di Torino, ma nulla si muove», ha aggiunto il segretario del NIDIL Bonucci. «All’ultimo incontro, il 29 luglio, era presente anche l’assessore alla Legalità e sicurezza Marco Porcedda al quale abbiamo rinnovato l’allarme senza avere finora risposte. Tutti si riempiono la bocca citando gli incidenti sul lavoro e poi siamo ancora a questo punto». I numeri dei mezzi irregolari sono impressionanti: secondo le stime l’80 per cento delle bike che si muovono per Torino non è in regola. E il dato è confermato anche da Francia: «Non capisco cosa si aspetti per intervenire».

Passi avanti e immobilismo

Per quanto al rallentatore – molto al rallentatore – nel resto d’Italia qualcosa si muove per garantire qualche diritto a chi batte le strade in bicicletta per consegnare il cibo, forse i più poveri lavoratori del “lavoro povero”. A Firenze, per citare un progetto che non è rimasto a livello di parole, a febbraio ha aperto Casa Rider. Il Comune – retto dalla sindaca del PD Sara Funaro – ha concesso lo spazio. La CGIL lo ha arredato. Poche cose: una scrivania, due divani, un computer, una parete-parcheggio per le biciclette. A Casa Rider i lavoratori possono andare per una pausa fra un turno e l’altro, mangiare qualcosa, socializzare.

A Torino, secondo le stime della CGIL comunicate a L’Unica, i rider sono circa tremila, il 30 per cento extracomunitari, «la stragrande maggioranza incapaci di leggere e scrivere in italiano e inconsapevoli di cosa significhi l’acquisizione di un diritto», ha precisato Francia. Eppure l’amministrazione comunale per ora non ha ritenuto di rispondere all’appello del sindacato per un piccolo progetto presentato già due anni fa che poteva rappresentare un simbolo: una proposta a basso costo da cui si poteva partire.

Come ha raccontato Bonucci, nell’incontro del 29 luglio di quest’anno, a cui erano presenti anche la vicesindaca Michela Favaro che ha la delega sul Lavoro e l’assessora alla Viabilità Chiara Foglietta, «non ci sono stati passi concreti, seppur molte dichiarazioni di volontà di impegno. I lavoratori hanno bisogno di ricaricare il cellulare, prendersi una pausa quando fa molto freddo, o molto caldo, e sappiamo bene quanti ristoranti vietino l’ingresso a chi chiede di usare la toilette». In città, ha proseguito Bonucci, «ci sono luoghi che perdono la loro funzione e restano malinconicamente vuoti. Ad esempio, i vecchi posti di cambio di GTT (il Gruppo trasporti torinesi che gestisce il servizio di trasporto pubblico, ndr). Ce n’è uno in piazza Statuto, un altro in corso XI Febbraio: entrambi in centro. Hanno un bagno interno, gli allacciamenti per luce e acqua. Due pennellate di bianco, qualche piccola ristrutturazione e possono essere riaperti».

In assenza di risposte, in questi anni il sindacato ha fatto da solo ed è nata una rete di sostegno in collaborazione con l’ARCI: Sosta Rider, 27 punti di ristoro nei circoli cittadini.

L’appello al sindaco

Il 20 giugno, i rider targati Glovo sono andati a Palazzo di città per protestare sulle loro condizioni, sventolando la bandiera del sindacato autonomo USB e sostenendo la richiesta di non essere pagati a consegna, ma a ore, per tutto il tempo in cui sono sulla piattaforma. Il sindaco Stefano Lo Russo li ha ricevuti: «È un tema che riguarda tutta la città e richiama valori fondamentali, come la giustizia sociale e il diritto a un lavoro dignitoso», ha detto al termine dell’incontro. «Come Comune possiamo creare spazi di confronto, attraverso tavoli di lavoro e le Commissioni consiliari, per dare voce a chi lavora. Possiamo anche lavorare per sensibilizzare i cittadini, perché conoscano meglio le condizioni di chi consegna ogni giorno cibo e spesa a domicilio».

In quei giorni è partito l’ultimo appello della CGIL. Una lettera aperta indirizzata al primo cittadino e firmata da Bonucci e Elena Palumbo (della segreteria CGIL) ha chiesto all’amministrazione iniziative concrete, sottolineando quello che si sarebbe potuto fare. «In questi anni abbiamo fatto proposte sempre corredate di specifiche, precise indicazioni, suggerimenti e, sottolineiamo, non onerosi per le casse cittadine». Ma i confronti con il Comune «non hanno mai portato a nessuna soluzione propedeutica ad affrontare alcuni dei temi, asserendo a volte problemi “tecnici”, a volte “carenza di risorse”».

«Siamo convinti che il “mondo” del food delivery abbia ancora molta strada davanti per definire, e quindi garantire, diritti e tutele», si legge nella lettera. «C’è però la necessità di un impegno sinergico, di atti concreti e non di proclami determinati da situazioni o avvenimenti estemporanei da parte di tutti i soggetti che possono dare un contributo [...] Il tempo trascorso inutilmente non ha determinato soluzioni ma in alcuni casi deteriorato la situazione del settore, e la condizione di lavoratrici e lavoratori». «Noi come sempre siamo disponibili al confronto per fornire contributi e idee – concludono Bonucci e Palumbo –. Diteci voi in che modo, finalmente».

Questa puntata di L’Unica Torino termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.

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