Le discoteche, da templi del divertimento a ruderi dimenticati

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Faccelo sapere quiDagli anni Sessanta al primo decennio degli anni Duemila, «le discoteche, eredi delle antiche balere, erano il luogo in cui potevamo essere ciò che desideravamo, almeno per poche ore», diceva Max Pezzali presentando Discoteche abbandonate, un brano nostalgico dedicato proprio ai templi della notte ormai in disuso. «Al centro c’era la pista: palcoscenico e ring, spazio comune in cui tutte le differenze si annullavano. Oggi, gran parte di quel mondo non esiste più: di lui restano rovine erose dal tempo e l’eco di voci, risate, pianti, sogni e speranze».
Nella sola provincia di Cuneo se ne contano più di venti, a testimonianza di un’epoca finita. Tra i casi più emblematici ci sono il Galaxy Pagoda di Caraglio – poi diventato Divina e infine Arena – e il Cesar Palace di Magliano Alpi, già noto come Hyppodrome. Il primo, quando è stato inaugurato deteneva il primato di discoteca più grande d’Europa. Il secondo è un’altra struttura colossale di 84 mila metri cubi. Oggi sono entrambi ridotti a scheletri urbani, invasi dalla vegetazione e dal degrado. A Cuneo città c’era il Garage 92, a Scarnafigi il Fandango, ma anche lo Studio Mixer e il Betty Boop, sulla strada per Peveragno. E poi la Göba di Niella Tanaro, il Crazy Boy di Centallo, il Popsy di Manta. Spostandosi verso le valli si incontrano i ruderi del Phoenix e del Rouge et Noir a Lurisia, dello Chalet e della Cucaracha a Montegrosso Grana, del Capolinea a Entracque. E ancora più in là, nelle Langhe e nel Roero, si ricordano la Baia Blanca di Levice e Le Macabre di Bra.
Non erano solo luoghi da ballo e disco music. Molti di questi locali hanno ospitato concerti di nomi importanti della musica pop italiana, da Claudio Baglioni ai Pooh, da Edoardo Bennato a Venditti e Vecchioni, dai Nomadi ad Anna Oxa, Enrico Ruggeri, Zucchero. E poi, negli anni più recenti, gli Almamegretta, gli Africa Unite, i Fratelli di Soledad.
Oggi, molte di queste strutture giacciono dimenticate ai margini delle strade provinciali. Ristrutturarle costerebbe più che abbatterle, ma nessuna amministrazione si prende la responsabilità di fare né l’uno né l’altro. In alcuni casi, l’oblio è interrotto da iniziative singole, come quella che ha riguardato Le Macabre, la storica discoteca-grotta fondata nel 1972 da Francesco Busso e Dorina Della Torre e dove diversi artisti hanno mosso i primi passi, dai Subsonica a Vinicio Capossela, da Ezio Bosso a Roy Paci. Dopo aver segnato un’epoca, il locale è stato demolito nel 2013 per fare spazio a un moderno (e discusso) condominio. Oggi al suo posto ci sono una banca, un bar, una gastronomia. A tenerne viva la memoria è un documentario appena uscito, firmato dal regista Luca Busso, figlio dei fondatori e per un po’ di anni gestore del locale.
Sono numerosi i documentaristi che hanno esplorato il mondo delle ex sale da ballo e discoteche. Il torinese Max Chicco, ad esempio, ha raccontato il Dancing Paradiso di Bastia Mondovì, una sala rimasta sorprendentemente intatta. Ma è Remo Schellino, più di altri, ad aver provato a restituire un’intera epoca — gli anni Ottanta — attraverso le immagini di diverse discoteche, dal Cesar Palace al Goba, nel suo recente docufilm Tutto era turbo.

Cattedrali nel deserto
Insomma, c’erano una volta le discoteche. Cattedrali del divertimento, spazi di socialità prima dell’era digitale, luoghi dove il sabato sera significava soprattutto esserci. Oggi, molte di quelle stesse strutture giacciono abbandonate, inghiottite dal tempo, dal degrado e dall’incuria. Elsa Mancini e Simone Nanetti, fondatori del progetto fotografico Dusty Dancing, girano l’Italia per documentare ciò che resta di questo mondo perduto. Ma il loro non è solo un viaggio nella nostalgia: è anche una denuncia ambientale.
«Dusty Dancing nasce per raccontare la scomparsa di un fenomeno culturale, ma anche per denunciare lo spreco di suolo che questi edifici rappresentano», spiega Nanetti a L’Unica. Lui e Mancini sono tra i precursori italiani del movimento URBEX (Urban Exploration), l’esplorazione di spazi abbandonati con l’obiettivo di documentarne la memoria prima che scompaia del tutto. Dietro le fotografie pubblicate sul sito del progetto (oggi una selezione di circa 80 discoteche, a fronte di oltre 300 già documentate e quasi un migliaio censite) c’è un lavoro minuzioso di ricerca, sopralluoghi e contatti con i proprietari, spesso riluttanti a mostrare in che stato versano oggi i locali. «Qualcuno ha riconvertito gli spazi, qualcun altro ha avviato progetti mai realizzati. Molti comprano per rivendere, senza alcuna idea reale di recupero. E nel frattempo le strutture restano lì, a marcire».
Nel loro archivio ci sono locali celebri, come l’Ultimo Impero, tempio del clubbing anni Novanta e culla artistica di Gigi D’Agostino. E naturalmente le discoteche cuneesi: come detto, la provincia di Cuneo è disseminata di questi relitti della notte. Ma ci sono anche decine di club minori, ugualmente significativi per chi li ha vissuti. «Erano i social network di allora – racconta Nanetti – ci andavi anche se non ti piaceva ballare, perché c’era la compagnia, c’erano tutti. Era un’esperienza di comunità». Nanetti cita i numeri del SILB, l’associazione di categoria che riunisce la maggior parte dei locali di intrattenimento: alla fine degli anni Novanta c’erano circa 6.000 licenze di locali da ballo, prima della pandemia di COVID-19 si erano ridotte a 2.500. Oggi ce ne sono meno di 1.800.
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Il recupero della Baia Blanca
Ci sono poi esempi di recupero che trasformano la funzione originaria dello spazio, ma ne conservano lo spirito aggregativo. È il caso della Baia Blanca di Levice, in Alta Langa, oggetto di un interessante progetto di riattivazione a opera dell’associazione “Rural Pop-up events APS”. L’associazione nasce da un’idea legata al progetto omonimo “Rural Pop-Up” che punta a mappare e rivitalizzare spazi abbandonati comunali in contesti rurali. La Baia Blanca, storica discoteca che tra gli anni Settanta e Novanta ha richiamato frotte di persone al confine tra il Piemonte e la Liguria, è stata uno dei primi luoghi individuati, e già dal primo sopralluogo è sembrato chiaro che potesse diventare qualcosa di più.
«Quando ho visto quello spazio mi è venuto subito in mente un mercatino, una festa diurna, qualcosa che avesse il sapore dei club berlinesi riadattati a usi alternativi», racconta a L’Unica Giorgia Gamba, presidente dell’associazione. «A Berlino partecipavo a mercati di design organizzati proprio dentro ex discoteche o club ancora attivi ma convertiti d’estate in spazi all’aperto per festival enogastronomici, musica, giochi per bambini. Rivedere la Baia mi ha fatto scattare quel ricordo: un luogo vissuto, con angoli precisi per ballare, chiacchierare, stare insieme».

La spinta però è arrivata anche dall’incontro con il sindaco, Marco Francone. «È stato uno dei primi amministratori ad accoglierci con entusiasmo – continua Giorgia –. È molto legato a quel posto, che vide costruire da ragazzo negli anni Settanta. Ricordo la sua emozione nel riaprirci la porta: l’orgoglio di mostrarci un luogo che altri avrebbero voluto demolire, considerandolo brutto o inutile. Lui invece ha sempre visto, come noi, quella bellezza decadente che merita di essere valorizzata».
Proprio grazie alla collaborazione con il Comune, è stato possibile organizzare una prima giornata di pulizia collettiva per restituire dignità all’ex-discoteca, a cui sono seguiti altri eventi di pulizia. «Senza il loro supporto non avremmo potuto fare nulla. Ci hanno fornito attrezzi, ci hanno aiutato fisicamente e la pro loco ha offerto il pranzo a tutti. Si è creata una bella atmosfera: persone arrivate da paesi vicini o dalle città, giovani e anziani, tutti insieme a lavorare per uno stesso obiettivo. Un vero momento di scambio generazionale e territoriale».
L’appuntamento è per il prossimo 9 agosto. In quella data, la Baia Blanca tornerà a vivere, anche solo per un giorno. Un evento simbolico ma importante: «Le ex discoteche sono spesso percepite come “cattedrali nel deserto”, malinconiche reliquie di un’epoca passata», conclude Gamba. «Ma aprirle di nuovo può significare riscoprire quei luoghi di aggregazione, restituendogli un senso. Anche se in maniera diversa: partecipare a un concerto, mangiare qualcosa insieme, girare tra i banchi dei mercatini. Creare spazi per tutte le età, dove la nostalgia si trasforma in partecipazione. E poi, quando un posto torna a essere vissuto, anche solo per un giorno, cambia la percezione collettiva: non è più un rudere da saccheggiare, ma un luogo con una storia, e magari un futuro».
Questa puntata di L’Unica Cuneo termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.
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