Elva, cosa è cambiato nel paesino che ha ricevuto 20 milioni dal PNRR

Elva, cosa è cambiato nel paesino che ha ricevuto 20 milioni dal PNRR
Foto: Micol Maccario

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Quando lo Stato decide di investire 20 milioni di euro in un comune che conta appena settantotto abitanti (solo venti dei quali residenti dodici mesi all’anno), la domanda è inevitabile: come si spendono tutti quei soldi? È la situazione che vive oggi Elva, in valle Maira, uno dei piccoli paesi italiani selezionati nella Linea A del “Piano nazionale borghi”, finanziato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), destinata a sostenere progetti pilota per la rigenerazione culturale, sociale ed economica dei borghi a rischio abbandono. Comuni come Calascio in Abruzzo, Pertica Alta e il borgo di Livemmo in Lombardia, Arvier in Valle d’Aosta o Palù del Fersina in Trentino hanno ricevuto la stessa cifra: venti milioni di euro ciascuno per progetti di rigenerazione e rilancio. Ma è proprio a Elva che la sproporzione tra risorse e capacità amministrativa si fa più evidente.

Il convegno “I fondi PNRR per la montagna: il caso di Elva”, che si è tenuto a Cuneo a fine settembre, ha provato a mettere ordine tra dati, ritardi e cantieri. Dal confronto è emersa una realtà comune a molti borghi: i progetti sono stati pensati dall’alto, con obiettivi e linee di intervento suggerite più dalle esigenze ministeriali che dalle comunità locali. In molti casi, gli amministratori si sono trovati a gestire un flusso di denaro senza precedenti, ma con personale insufficiente e competenze spesso non adeguate alla complessità delle procedure.

Con i 20 milioni a Elva saranno realizzati diversi progetti, di cui alcuni dedicati agli studi universitari in collaborazione con l’Università e il Politecnico di Torino e con l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Inoltre, è prevista la costruzione di un osservatorio astronomico e di alcuni progetti dedicati al turismo, come un rifugio e la valorizzazione della chiesa affrescata dal pittore fiammingo Hans Clemer.

A due anni dallo stanziamento, però, la maggior parte dei lavori è ancora in corso, e solo pochi interventi risultano conclusi: servirà quindi una forte accelerazione per rispettare le scadenze imposte dal PNRR, che prevedono la conclusione di tutti i lavori entro il 31 agosto 2026. Ma il sindaco di Elva, Giulio Rinaudo, raggiunto da L’Unica, ha assicurato che i progetti verranno portati a termine e ha respinto le accuse ricevute dagli organizzatori del convegno cuneese, bollandole come «critiche non costruttive».

Il risultato, come nel caso di Elva, è che alcuni interventi sembrano essere stati ridotti per contenere le spese, mentre altri potrebbero essere stati ampliati proprio per riuscire a impegnare l’intero budget disponibile.

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Il sistema PNRR: troppi soldi, troppo poco tempo

A Elva la difficoltà di spesa si accompagna a una scarsa trasparenza. Il Comune non ha partecipato al convegno e ha inviato solo una nota scritta, in cui si è limitato ad affermare che il progetto originario è stato modificato. Tuttavia, il nuovo piano non risulta pubblicato online, e la mancanza di documenti aggiornati impedisce qualsiasi verifica pubblica.

Anche il dossier di candidatura, che dichiarava un consumo di suolo «limitato in termini spaziali», oggi risulta contraddetto dai fatti. «A borgata Mattalia, dove sorge uno dei principali cantieri, sono visibili nuovi corpi di fabbrica», ha detto a L’Unica Alberto Collidà di Italia Nostra Cuneo, un’associazione che si occupa della salvaguardia dei beni culturali, artistici e naturali. «Altri interventi, come la circonvallazione, non erano menzionati nei documenti iniziali e comportano ulteriore impatto ambientale».

Il caso Elva, in questo senso, è emblematico delle difficoltà strutturali del piano. L’architettura stessa della Linea A del PNRR – venti milioni per un solo borgo per regione – ha imposto tempi e schemi amministrativi pensati per contesti urbani, non per piccoli comuni di montagna. «La maggior parte delle amministrazioni locali non dispone di personale tecnico qualificato per seguire i progetti, gestire i bandi e rispettare la complessa rendicontazione richiesta», ha spiegato il portavoce di Italia Nostra.

Inoltre, sempre secondo Collidà, la natura stessa degli interventi conferma la prevalenza dell’approccio edilizio: anche dove si parla di musei, hub culturali o infrastrutture turistiche, la voce “costruzioni” è trasversale e dominante. «Lo schema di rendicontazione è infatti concepito per opere di tipo tradizionale, più che per progetti sociali o comunitari. L’effetto è che molti cantieri sembrano rispondere più alle logiche della spesa che a quelle della rinascita territoriale».

Un teleriscaldamento senza utenze?

Tra i progetti finanziati a Elva, uno dei più discussi è quello del teleriscaldamento, destinato a servire borgata Mattalia e le borgate vicine. In teoria, l’impianto dovrebbe fornire calore anche alle strutture che ospiteranno – in modo saltuario – le attività dell’Università e del Politecnico di Torino, partner del dossier di candidatura con cui Elva si è aggiudicata i venti milioni di euro.

Ma proprio qui emergono le principali criticità. «Non si capisce come farà la società energetica a ripagarsi sul lungo termine», ha osservato Collidà. «Le abitazioni nella borgata sono pochissime, e non è affatto scontato che in futuro decidano di collegarsi alla rete». Il rischio, ha aggiunto, è di costruire un’infrastruttura costosa e sovradimensionata rispetto alla reale domanda locale.

Stando alle informazioni emerse durante il convegno, il gestore dovrà fornire calore gratuito alle strutture universitarie, riducendo ulteriormente la base di utenti paganti. Il risultato è un impianto che potrebbe rivelarsi economicamente insostenibile nel medio periodo: un’infrastruttura pensata per un’utenza che, al momento, non esiste. «È l’ennesimo esempio di progetto costruito a tavolino per spendere i fondi, anche dove non c’è una reale richiesta», ha concluso Collidà.

Patrimonio e memoria

Al di là dei numeri, Elva è anche un caso di conflitto culturale. Da anni, il borgo è oggetto di studio del Politecnico di Torino, dove docenti e studenti, coordinati dal professor Giuseppe Regis (da quest’anno in pensione) hanno censito 120 edifici rurali – mulini, forni, segherie – elaborando tesi e progetti di recupero in equilibrio tra tutela e innovazione, esempi di un approccio fondato sulla valorizzazione dell’architettura alpina.

Il piano del PNRR, però, sembra andare in direzione opposta. Il progetto di “Casa Garnero”, a borgata Mattalia, prevede la sostituzione di un rudere con un edificio di nuova costruzione, avulso dal contesto locale. Un altro caso riguarda borgata Rossenchie, dove sopravvive un raro esempio di costruzione a Block-Bau, una tecnica a tronchi sovrapposti quasi scomparsa in Piemonte. Le strutture, sebbene degradate, potrebbero essere recuperate, ma non è chiaro se il progetto finanziato ne preveda la conservazione.

A rendere il quadro più complesso è anche la distanza tra il mondo accademico e quello istituzionale. Il Politecnico di Torino, che per anni ha studiato Elva attraverso corsi e tesi di laurea, non ha partecipato al convegno organizzato da Italia Nostra Cuneo, Legambiente Cuneo, Pro Natura Cuneo, Cuneo Birding e Lipu Cuneo. In una nota, il direttore del dipartimento di Architettura, Paolo Mellano Bonino, ha rivendicato l’autonomia dell’ateneo. Una precisazione formale, ma che gli organizzatori hanno letto come un segnale di disinteresse verso il lavoro svolto da studenti e docenti negli anni di ricerca sul borgo.

La risposta delle istituzioni

Il vicesindaco – nonché responsabile unico di procedimento dei cantieri – Dario Falcone ha respinto le accuse, punto per punto, attraverso le pagine del giornale locale La Guida sull’edizione del 30 ottobre. Per quanto riguarda l’accusa di sostituire la storica Casa Garnero con un edificio di nuova costruzione, Falcone ha spiegato che «il progetto tiene conto delle necessità odierne di efficacia energetica. Casa Garnero aveva un volume importante: lo abbiamo sdoppiato in due edifici più bassi e meno invasivi dal punto di vista visivo, mantenendo invariato il consumo di suolo. Le strutture saranno rivestite in legno e intonacate con colori simili a quelli tradizionali di Elva». Raggiunto al telefono da L’Unica, il sindaco Rinaudo ha aggiunto altri particolari: invece della copertura in zinco-titanio inizialmente scelta come soluzione, in accordo con la Sovrintendenza, si è scelto di usare lose fotovoltaiche. Invece, sulla conservazione dello stile Block-Bau in borgata Rossenchie, è ancora Falcone ad assicurare che «il sistema costruttivo verrà reinstallato al termine dei lavori seguendo la tecnica originaria». Insomma, nessuna perdita di autenticità.

Sulla mancata pubblicazione delle modifiche sul sito, Falcone ha tagliato corto: «Il progetto è ancora in fase di approvazione da parte della Sovrintendenza», perciò verrà pubblicato «non appena completato l’iter autorizzativo». Mentre, a proposito della circonvallazione – lunga circa 400 metri – il sindaco ha precisato a L’Unica che si tratta di «un’opera di pedonalizzazione, realizzata senza l’uso di cemento e che consentirà il passaggio delle auto ai soli residenti», oltre a essere «un progetto già pensato e voluto dalle amministrazioni precedenti ma mai realizzato per mancanza di fondi».

Quanto al teleriscaldamento, «si tratta di una piccola struttura, di nuova fabbricazione, che va in direzione di rendere Elva carbon free», ha detto ancora Rinaudo. «Soddisferà il fabbisogno energetico di ristoranti e alberghi (in tutto tre), del museo, dell’osservatorio astronomico, della sede universitaria di nuova realizzazione e del Comune, insomma di tutti gli edifici più energivori». Secondo il Comune, i prezzi dell’energia prodotta da teleriscaldamento sono inferiori rispetto al Gpl e molti residenti starebbero già firmando i contratti di collegamento, consentendo di ammortizzare ancora di più la spesa sul lungo termine.

Una domanda aperta

Un anno dopo lo stanziamento dei fondi, dunque, Elva resta un cantiere aperto e un caso emblematico. Il borgo si trova infatti a misurarsi con una domanda molto concreta: quanto un contributo da 20 milioni di euro può mettere in difficoltà un comune di settantotto abitanti? Il sindaco non ha dubbi. «Certo che ci mette in difficoltà», ha spiegato a L’Unica. «Ma io voglio cogliere ogni opportunità per far progredire il paese, per renderlo più attrattivo e più abitabile. A chi critica questi 20 milioni dico che non siamo stati noi a scrivere il bando: se qualcuno ha lamentele, le rivolga ai piani alti. Noi siamo stati bravi a intercettare questa occasione. E sul nostro dossier abbiamo ricevuto i complimenti anche dal ministero che ha assegnato i fondi».

Eppure, nonostante sindaco e vicesindaco assicurino di voler salvaguardare Elva nelle sue strutture sociali, territoriali e ambientali, è proprio su questa linea che ricevono le principali critiche da alcune associazioni del territorio. Secondo queste ultime, infatti, a mancare è proprio la dimensione sociale. Le opere si moltiplicano, ma non sempre migliorano la vita di chi quei borghi li abita tutto l’anno. E così, la lezione di Elva potrebbe essere questa: senza ascolto delle comunità, la rigenerazione rischia di restare un esercizio di architettura.

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