La crisi dell’Embraco non ha insegnato nulla

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Faccelo sapere quiA sei anni dal fallimento dell’Embraco, la grande fabbrica di compressori alle porte di Chieri è diventata il simbolo amaro della crisi industriale di un intero territorio. Dove una volta c’erano linee di montaggio, tute blu e salari certi, oggi restano solo silenzio e ruggine. «Passo davanti a quel capannone ogni giorno, e ogni giorno mi viene un nodo allo stomaco», dice a L’Unica Roberto, 54 anni, ex operaio. «Lì dentro ho passato vent’anni. Mi sembrava una seconda casa. Poi è finito tutto. Senza spiegazioni, senza rispetto».
La vicenda Embraco è una ferita aperta. Lo stabilimento – che nel 2004 contava oltre mille dipendenti – venne acquisito dalla multinazionale statunitense Whirlpool, poi ceduto a un fondo speculativo e infine chiuso nel 2018 con il licenziamento di 537 lavoratori. «Quando sono entrato io – racconta Roberto – arrivavano i pullman di lavoratori da Torino, sembrava di essere alla Fiat. Chi avrebbe detto che sarebbe finita cosi?».
È notizia di questi giorni che una parte dell’area che era stata rilevata all’asta da SIT, Sviluppo investimenti territorio (una società legata alla Regione Piemonte con il compito di valorizzare immobili dismessi) è stata venduta a un’azienda di logistica per componentistica auto. Ma niente produzione. La vendita riguarda un’area di 18 mila metri quadrati. Il resto del sito – oltre 30 mila metri quadrati – resta abbandonato, in attesa di bonifica.
Le promesse non mantenute
Negli anni della crisi, il governo – e in particolare il ministro dello Sviluppo Economico, che era Carlo Calenda – aveva promesso una reindustrializzazione modello. Ma l’azienda Ventures Production, scelta per il rilancio, si è rivelata un bluff: dopo mesi di ritardi e ammortizzatori, è fallita nel nulla. I vertici di Ventures sono finiti a processo per bancarotta fraudolenta. Il prezzo è ricaduto sulle spalle dei lavoratori. Che per molti, se non per tutti, è stato alto: decine di ex dipendenti non sono più riusciti a trovare un impiego stabile.
«Io adesso faccio qualche lavoretto in nero, quando capita», confida a L’Unica Giuseppe, 60 anni, ex magazziniere. «A questa età, chi ti prende più? Ho mandato centinaia di curriculum. Risposte? Nessuna». «Mi hanno mandato a casa a 59 anni», dice Laura, ex impiegata in amministrazione. «Né pensione né lavoro. Solo mesi interi passati a mandare curriculum senza risposte. Nessuno vuole più una donna della mia età, anche se hai esperienza. Ti guardano come un peso». «Tutte parole, solo parole – aggiunge Maurizio, ex manutentore –. Ci hanno illusi, usati per fare passerelle. Adesso ognuno si arrangia. Qualcuno è finito in depressione, altri si adattano a fare quello che trovano. Io guadagno meno della metà di prima e senza tutele. E ho tre figli». Ad Andrea, 61 anni, è andata ancora peggio: rimasto senza nulla, è finito a dormire per strada, trovando rifugio nella centralissima Galleria San Federico, a Torino. «Pranzo in una mensa per i poveri – ha raccontato a La Stampa –. Ma spesso ci sono code lunghissime e rischi di restare a pancia vuota. Nei fine settimana mangio se riesco» perché molte mense sono chiuse.
Secondo i sindacati, l’ex Embraco avrebbe dovuto essere la prima tappa di un nuovo polo industriale legato alla transizione ecologica. «Lì si poteva fare produzione di componenti per l’elettrico, o tecnologie per la refrigerazione sostenibile. Ma senza una regia pubblica, è rimasto solo il deserto». Ugo Bolognesi della FIOM Torino ha seguito la vicenda fin dall’inizio, è ancora forte l’amarezza quando ricorda quei momenti. «Un’operazione mai trasparente, gestita senza controlli seri. E i lavoratori ne hanno pagato il prezzo», racconta a L’Unica. «Fu un disastro, che rivelò ancora una volta l’incapacità delle classi dirigenti, a partire da quelle politiche al governo, di reagire ai disastri del capitalismo globalizzato. Un territorio di grande storia industriale che è stato disastrato. Centinaia di lavoratrici e lavoratori, famiglie, che si sono ritrovate, dopo decenni di lavoro e sacrifici, nell’incubo di restare senza sostentamento».
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La crisi si allarga
L’esempio negativo dell’Embraco spaventa, anche perché altre realtà industriali della zona scricchiolano. I primi ad aver paura sono i dipendenti della Petronas. La società maltese – che ha una sede e un centro di ricerca a Villastellone – ha perso la storica fornitura dei lubrificanti Selenia, che Stellantis ha destinato dal 1° gennaio prossimo al gruppo francese Total. La notizia preoccupa per le possibili conseguenze per i 380 lavoratori italiani divisi tra la sede di Villastellone e quella di Napoli.
«Una parte consistente di questi lavoratori è dedicata esclusivamente alla commessa Stellantis. Ci troviamo davanti a una scelta che rischia di mettere ulteriormente sotto pressione l’occupazione diretta e l’indotto in due territori già colpiti da altre crisi industriali», denunciano Vito Benevento, segretario organizzativo della UILM Torino, e Giovanni Rao, della segreteria UILM Campania. «Faremo tutto il possibile per garantire tutele ai lavoratori coinvolti e chiediamo con forza che il tema venga affrontato con serietà anche dalle istituzioni locali».
La prima risposta arriva da Davide Nicco, presidente del Consiglio regionale piemontese ed ex sindaco di Villastellone. «Quella di Stellantis è una scelta ingiustificata che mette a rischio i lavoratori e il territorio», dice a L’Unica, rivolgendo un appello perché il gruppo torni sui suoi passi. «Confidiamo che anche con l’intervento delle istituzioni questa decisione possa essere rivista, per il bene del comparto e di un intero sistema produttivo che non può permettersi ulteriori colpi».
Petronas non è l’unico caso nella zona: la Denso Thermal System, a Poirino, è in riorganizzazione. L’azienda, specializzata nella produzione di sistemi di condizionamento per auto, sta subendo gli effetti della crisi che ha colpito il settore automotive. È stato dichiarato un esubero di 150 lavoratori su 700 e sono stati avviati i contratti di solidarietà.
«La storia dell’Embraco insegna che non si può scaricare il peso della transizione sui lavoratori. Che serve un piano strategico per il lavoro, non solo incentivi alle imprese. E serve adesso», dice a L’Unica il sindaco di Chieri, Alessandro Sicchiero. Nel 2020, per tentare di rianimare l’area ex Embraco, era stata proposta la creazione di un polo dell’idrogeno, un progetto poi naufragato tra pastoie burocratiche e scarso interesse degli investitori. «È mancata una vera volontà politica – accusa la FIOM –. Se ci fosse stata la metà dell’attenzione dedicata agli stabilimenti Stellantis, oggi staremmo parlando di un’altra storia».
Secondo i dati della CGIL Torino comunicati a L’Unica, oggi nel Chierese si contano oltre 1.200 lavoratori coinvolti in crisi aziendali, tra cassa integrazione, contratti a rischio e riduzioni di orario. Una parte significativa sono ex dipendenti dell’Embraco o dell’indotto.
Eppure, in mezzo alla delusione, qualcuno ancora resiste. A inizio giugno, alcuni ex operai hanno organizzato una piccola assemblea all’esterno dello stabilimento. Un modo per rivedersi, fare il punto, non arrendersi. «Lo facciamo per noi, ma anche per i nostri figli», dice Roberto. «Perché nessuno debba più subire quello che abbiamo passato noi». Chieri oggi ha bisogno di un segnale forte. Di un investimento serio, di una visione a lungo termine. «Altrimenti – conclude il sindaco Sicchiero – questo territorio pagherà un prezzo troppo alto. E non possiamo permettercelo».
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