La Lanterna non è più il simbolo di Genova

La Lanterna non è più il simbolo di Genova
Foto: Roberto Orlando

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Ma la Lanterna che da quasi novecento anni veglia sulle rotte marittime del golfo è ancora il simbolo di Genova? Oppure il Bigo di Renzo Piano ha ormai compiuto il sorpasso, testa a testa con il borgo di Boccadasse condito di pesto e focaccia?

Viene da chiederselo non soltanto perché, per esempio, l’intelligenza artificiale di Google ha privato la Lanterna del primato assoluto, definendola «uno dei» simboli e non più «il» simbolo del capoluogo ligure, ma anche perché probabilmente lo è sempre meno nella testa dei genovesi. E non solo. Per portare un altro esempio, nel logo della prossima adunata nazionale degli Alpini che si terrà a Genova dall’8 al 10 maggio 2026, la Lanterna appare stilizzata proprio accanto alla inevitabile penna nera simbolo del Corpo, ma alla sua base è raffigurata pure la Biosfera del Porto Antico, pure lei disegnata dalla matita di Renzo Piano.

Non parliamo poi della débâcle sul fronte della finzione cinematografica. Se negli anni Settanta un film del genere “poliziottesco”, come per esempio “Genova a mano armata” di Mario Lanfranchi, con Adolfo Celi e Carmen Russo, non poteva prescindere da un’inquadratura sul faro genovese, oggigiorno la grande fiction – Petra e Blanca, per citare due popolarissime serie tv – preferisce di gran lunga ambientare le scene nei dintorni del Bigo.

La precarietà dell’accordo per la gestione

Ma ancor più significativa delle insidie che minano il dominio della Lanterna come simbolo della città è la vicenda che ormai da anni riguarda la gestione del monumento pluricentenario, dove per gestione non si intendono le attività relative al buon funzionamento del faro, di cui si occupa egregiamente la Marina Militare Italiana, ma quelle che riguardano l’apertura al pubblico, le visite guidate e le iniziative culturali, affidate nel 2017 al Comune di Genova. Il quale ha poi delegato l’incombenza al Museo del Mare (Mu.MA) con un accordo temporaneo di prossima scadenza. Da qualche giorno, il presidente del Museo, su nomina della sindaca Silvia Salis, è Marco Ansaldo. Giornalista, analista geopolitico e consigliere scientifico di Limes, Ansaldo è esperto di Turchia, Medio Oriente e Vaticano ed è stato inviato speciale de La Repubblica per la politica internazionale fino al 2022. Il Mu.MA si occupa della valorizzazione e della promozione del complesso monumentale, che comprende – oltre al faro – la passeggiata, il parco e il museo. La gestione dei servizi (biglietteria, pulizia, apertura e chiusura del complesso monumentale di San Benigno) è affidata invece alla Cooperativa Socioculturale, che ha compiti analoghi allo stesso Museo del Mare, in Darsena, e al vicino Museo dell’Emigrazione, in piazza della Commenda.

Se poi si aggiunge che proprio in questi giorni si assiste all’ennesimo complicato passaggio tra una voce e l’altra del bilancio comunale per prorogare l’accordo (in scadenza il 31 ottobre) sulla gestione del complesso e scongiurarne quindi la chiusura al pubblico, il quadro è tristemente completo: l’amata Lanterna, quando si tratta di tirar fuori le palanche, proprio così amata in realtà non è. Almeno per ora.

Dell’ennesima operazione di salvataggio ha dato conto in Commissione cultura del Consiglio comunale l’assessore Giacomo Montanari, in carica dal 18 giugno scorso con l’insediamento della nuova Giunta guidata dalla sindaca Silvia Salis. L’accordo, ha spiegato l’assessore alla Cultura, sarà prorogato di altri due mesi con una variazione del bilancio comunale per un importo di 43 mila euro. Il Consiglio comunale ha subito approvato la variazione. La precedente amministrazione comunale, guidata – dopo la candidatura del primo cittadino Marco Bucci alla Regione – dal sindaco facente funzioni Pietro Piciocchi, aveva lasciato desolatamente vuota la casellina accanto alla voce “Lanterna”: non c’era un euro.

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Adesso, fino al nuovo anno, il faro di Genova si potrà continuare a visitare per tre giorni alla settimana: venerdì, sabato e domenica dalle 10 alle 18. Insomma, un po’ come la Torre di Pisa, il Palazzo della Signoria a Firenze, la Mole Antonelliana a Torino, il Duomo di Milano. Però diviso due, visto che le altre città come mille altre al mondo, fanno in modo che il loro simbolo sia visitabile almeno sei giorni su sette.

Sarà perché la Lanterna se ne sta su quel che resta del promontorio di San Benigno, sarà perché non ci arriva nemmeno un bus, sarà che il faro è sempre operativo per rischiarare le notti dei naviganti, sarà quel che sarà, ma di fatto è una torre lampeggiante dietro le molte altre quinte urbane che la assediano. Noi genovesi sappiamo che c’è e tanto ci basta.

L’assessore Montanari in commissione si è preso anche l’impegno di trovare soluzioni più stabili: ad esempio, una concessione per un periodo ben più lungo di un paio di mesi e forse persino un bando di gara per assegnare a enti o società private la gestione del complesso. Le modalità sono allo studio degli uffici comunali. Montanari non ha nemmeno escluso che il palcoscenico che si trova nel parco ai piedi del faro possa tornare presto ad accogliere eventi culturali, spettacoli e performance artistiche.

Tutto si deciderà nel corso del 2026 e intanto al Mu.MA restano alla finestra e preferiscono non commentare. Al momento, hanno spiegato a L’Unica, non sono previste iniziative culturali specifiche, ma solo l’apertura al pubblico tre giorni alla settimana.

Oltre dieci anni di incertezze

Fino al luglio scorso, sempre in via del tutto provvisoria (provvisorietà durata peraltro 11 anni), la gestione era affidata alla start up “Pharos light for heritage”, creata da un gruppo di volontari come emanazione operativa della Fondazione Mario e Giorgio Labò, presieduta da Andrea De Caro, architetto letteralmente cresciuto all’ombra della Lanterna, perché suo padre Angelo, fino al 2022, è stato per ventisette anni il “guardiano del faro”.

De Caro non ha il minimo dubbio: «La Lanterna è ancora il simbolo indiscusso di Genova», ha dichiarato a L’Unica. «Basti pensare che, solo per fare qualche esempio, compare tuttora in moltissime pubblicità e che al Festival di Sanremo uno dei premi è la Lanterna d’oro e non mi risulta che ci sia un Bigo d’oro. Il problema è piuttosto che la Lanterna come simbolo non viene promosso, così come non viene supportata nella sua manutenzione e nelle attività promozionali e culturali. Ciò accade nonostante, numeri alla mano, il monumento sia tra musei civici più visitati».

L’ex guardiano del faro Angelo De Caro accanto al gruppo ottico della Lanterna – Foto: Roberto Orlando

Nel 2023, al botteghino sulla passeggiata – che per 800 metri costeggia il porto e conduce ai piedi della Lanterna e al suo parco – sono stati venduti 35.236 biglietti, acquistati nella quasi totalità da visitatori non genovesi. E nel 2024 i dati sono rimasti pressoché stabili. «Il perché è presto detto – ha spiegato De Caro – non soltanto la Lanterna non viene promossa in città come monumento aperto al pubblico, ma in realtà siamo ancora fermi al “cerchio” del 2004». Un “cerchio” stregato più che magico, ossia quel perimetro ideale, nato all’epoca di “Genova capitale europea della cultura”, entro il quale si sviluppa il percorso turistico-culturale della città e che si chiude dalle parti del Museo del Mare, ossia lontano quanto basta dalla Lanterna. Che se ne resta là, isolata e incompresa, a segnare il confine tra il porto vecchio e quello più moderno che si estende verso Ponente.

«Anche i sostenitori privati – ha proseguito De Caro – spesso non colgono il potenziale del complesso monumentale. Eppure, la Lanterna ha ricevuto premi internazionali, come quello di “Faro dell’anno 2024”, assegnato a Parigi da IALA [“International Association of Lighthouse Authorities”, organizzazione che si occupa di standardizzare la segnalazione marittima a livello globale, ndr] ed è inserita in un network internazionale. Ma si sa: i genovesi devono ancora comprendere quale sia la strada giusta attraverso cui valorizzare il proprio patrimonio culturale».

Il ruolo del Comune

Anche il Comune, finora, ha dato sempre l’impressione di non crederci, al di là dei pur numerosi proclami periodici. Che se davvero fossero stati tradotti in atti amministrativi, probabilmente la gestione della Lanterna sarebbe a regime da tempo. Nel frattempo, dal 2014 a oggi, a Palazzo Tursi si sono alternati quattro cicli amministrativi. «È inspiegabile – ha detto De Caro – irrazionale. Non so in quale città potrebbe accadere una cosa del genere nella gestione del proprio monumento simbolo. Qui invece sembra sia sufficiente dire che la Lanterna è aperta quelle poche ore alla settimana. Tutto il resto non conta».

La sensazione è che, nonostante i suoi 77 metri di altezza, i suoi nove secoli di storia e le mille curiosità che contribuiscono a crearne il mito (si racconta, per esempio, che tra i guardiani della lanterna si annoveri pure lo zio di Cristoforo Colombo), il nostro faro sia sempre più un’icona sullo sfondo della città, persino difficile da raggiungere. La Lanterna, paradossalmente, non figura mai nella segnaletica stradale turistica del centro città e il bus di linea più vicino si ferma a sette minuti di cammino. «Ma se Genova vuole puntare anche sul turismo un mezzo pubblico con servizio regolare sette giorni su sette è fondamentale. Hanno provato con la navetta dal Museo del Mare e non la prendeva nessuno. Certo, però era segnalata male e soprattutto era discontinua, occasionale», ha detto ancora De Caro.

De Caro ha anche inviato all’assessore Montanari un mini-dossier sulle potenzialità del complesso monumentale e sul suo rilancio, in attesa della creazione del cosiddetto Parco della Lanterna che dovrebbe essere realizzato a conclusione dei lavori del tunnel subportuale, prevista nel 2030.  

Dal dossier si apprende che il sistema di illuminazione esterna del monumento è lo stesso dell’Empire State Building a New York e che è in corso un’operazione di gemellaggio con la Statua della Libertà. Ma il documento contiene soprattutto una serie di proposte che riguardano la manutenzione, le attività promozionali e quelle didattiche, l’adeguamento di alcune strutture alle necessità dei disabili, le proposte culturali in vista del novecentesimo compleanno, ormai dietro l’angolo: si celebrerà nel 2028.

De Caro, che è anche presidente dell’Associazione Amici della Lanterna appena riconfermato, confida in una svolta: «Noi siamo pronti a proporre nuove iniziative», ha assicurato. Con un obiettivo molto chiaro: cambiare l’approccio culturale verso il faro, sfruttarne le potenzialità così da riaprirlo al pubblico sei giorni alla settimana su sette, come era già accaduto negli anni scorsi, almeno d’estate. Renderlo insomma un simbolo vero, vivo e vitale. «Se la Lanterna – aveva dichiarato lo stesso De Caro al sito Mentelocale nel luglio scorso – non torna a essere la porta sul futuro di questa città, Genova come potrà continuare a definirsi Janua [che in latino significa “porta”, ndr]?».

Gli occhi sono tutti puntati sul Comune e sulla Giunta della sindaca Salis, la quale al momento del suo insediamento ha dovuto subito affrontare – tra le tante altre – l’emergenza Lanterna che già nel giugno scorso aveva rischiato la chiusura, assieme al nuovissimo Museo dell’Emigrazione Italiana. Sempre per mancanza di risorse, sempre perché la Lanterna è laggiù e i genovesi la amano, ma forse troppo nel loro intimo e alla fine si ha sempre la sensazione che ci siano altre priorità.

I simboli cambiano. O no?

E poi, come si diceva in principio, l’assioma “Lanterna cioè Genova” ormai vacilla. «I simboli cambiano – ha detto a L’Unica Donatella Alfonso, presidente della Commissione Cultura del Consiglio comunale – il simbolo di Parigi fino a un certo momento della sua storia è stato la cattedrale di Notre Dame che poi è stata soppiantata dalla Torre Eiffel; a Londra c’erano una volta il Big Ben con il Tower Bridge, mentre ora sempre più spesso si tende a identificare Londra con il London Eye, la ruota panoramica lungo il Tamigi. A Genova sta succedendo la stessa cosa: la Lanterna è il simbolo della città di mare, ma dal 1992 lo è anche il Bigo di Renzo Piano, emblema del porto riconquistato, il porto dove prima i genovesi non potevano entrare». E che tra l’altro si trova proprio lì, a cento metri dai caruggi cari a De André che a differenza della Lanterna è tornato di gran moda.

«Sì, la collocazione della Lanterna al margine orientale del bacino del porto vecchio è un altro problema. Il progetto per il collegamento con una passeggiata a mare c’è, ma è inevitabilmente legato alla risistemazione dell’area di San Benigno a conclusione dei lavori per il tunnel subportuale. Quindi bisognerà aspettare ancora qualche anno», ha detto ancora Alfonso. «Detto che l’intenzione dell’amministrazione è quella di rilanciare il complesso monumentale nei modi e nei tempi che l’assessore Montanari ha spiegato in Commissione Cultura».

Parte dalla stessa premessa di Donatella Alfonso anche Luigi Berio, illustratore, designer e autore di film di animazione. Berio, che fa anche parte dell’Associazione Amici della Lanterna, arriva però a una conclusione un po’ diversa: «Genova è forse la sola città al mondo che, per quanto ne sappia, è stata così a lungo iconograficamente legata a un monumento specifico, in questo caso il suo faro», ha detto a L’Unica. «La Lanterna è sempre stata il simbolo inconfondibile della città fin dai portolani del Quattrocento, nelle incisioni e nelle mappe nautiche; poi nelle serigrafie, litografie e stampe sei-settecentesche; nei ritratti e nei dipinti ottocenteschi, negli acquerelli dei pittori viaggiatori; fino alle pubblicità di inizio Novecento, quando la Lanterna compare nei primi marchi aziendali e nei documenti ufficiali».

La vista dal faro – Foto: Roberto Orlando

Una continuità iconografica e di identificazione tra monumento e città in effetti unica. «Soprattutto se si considera – ha concluso Berio – che altre città, come Parigi con la Tour Eiffel o New York con la Statua della Libertà, hanno simboli ben più recenti. Mi riferisco proprio all’iconografia e non alla fama: dò per scontato che la Torre di Pisa sia oggi ben più conosciuta della Lanterna, ma nessuna città ha una storia iconografica così potente come Genova e per un periodo di tempo così lungo. Sì, certo, ora c’è il Bigo, ma se facessimo un sondaggio, quanta gente effettivamente in Italia sa che cos’è?».

Lo snodo della centrale ENEL dismessa

Anche il viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Edoardo Rixi non ha dubbi sulla necessità di salvaguardare la Lanterna come simbolo di Genova. Addirittura, il braccio destro del ministro Matteo Salvini ha lanciato un sondaggio su Facebook sul futuro dell’ex centrale a carbone ENEL nel porto di Genova. La struttura, «attiva dal 1952 e chiusa nell’agosto del 2016, giace immobile da anni, vincolata dalla Soprintendenza, a pochi metri dalla Lanterna – ha scritto Rixi –. Il progetto di trasformarla in museo resta solo un’intenzione, mentre l’imponente struttura continua a oscurare la vista del simbolo della città. La sua demolizione restituirebbe alla Lanterna la piena visibilità dal mare, permettendo a chi arriva a Genova di ammirarla nel suo splendore originario: un’icona della marineria mondiale e della storia della città».

La Lanterna e la centrale ENEL – Foto: Roberto Orlando

«Un nuovo museo o demolizione per la rinascita dell’area?», domanda poi il viceministro sul social network. Le risposte e i commenti sono variegati, fino agli eccessi. C’è chi preferirebbe il museo e chi invece, tanto per restare in argomento “centrali che fumano”, vorrebbe vedere accanto al simbolo sempre più presunto della città un termovalorizzatore per bruciare i rifiuti urbani. «Invece di vedere le potenzialità – ha commentato De Caro con L’Unica – tra cui quella di creare un importante polo museale di respiro europeo, si ragiona come nel dopoguerra, come se fossimo in una situazione di emergenza continua».

Resta poi da chiedersi perché un viceministro dei Trasporti così influente, spesso decisivo nelle scelte strategiche per il porto e non solo, senta la necessità di lanciare un sondaggio sui social per demolire la centrale ENEL dismessa. E infatti, al di là della valorizzazione dell’immagine della Lanterna, c’è dell’altro: «Si libererebbero aree dedicate al porto e alla logistica che sono necessarie in questa fase per un porto che deve evolversi e deve garantire la sicurezza ai lavoratori», ha dichiarato il viceministro a Primocanale. «Genova è stretta tra la città e il mare e nonostante il fatto che prenderemo quasi un milione di metri quadri con la nuova diga e due milioni di metri quadri di acqua per garantire maggiore sicurezza e logistica al sistema portuale genovese, tutti gli spazi che si possono recuperare anche a terra andrebbero recuperati». Secondo il viceministro, nessuno va a Genova «per vedere una centrale a carbone, si viene invece per vedere i palazzi dei Rolli e altri monumenti, tra cui la Lanterna». Inoltre, nel 2026 «dobbiamo fare in modo di ripristinare i luoghi ridando anche una vocazione marittima all’intera città. Mi auguro che prima o poi si capisca che i monumenti in questo Paese non sono le centrali a carbone, che abbiamo qualcosa di meglio, grazie a Dio».

Ma il destino della centrale ENEL dismessa è un’altra storia, e si dovrà raccontare un’altra volta.

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