Sanità, le colpe della politica dietro il licenziamento lampo del commissario Schael

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Faccelo sapere quiThomas Schael era stato nominato Commissario della Città della Salute di Torino a marzo 2025, con un mandato di cinque anni. È stato esautorato a fine agosto, dopo neppure sei mesi. L’assessore regionale alla Sanità Federico Riboldi ha giustificato la svolta lamentando l’«assenza della serenità necessaria per portare [...] il cambiamento auspicato» e rimarcando i «problemi evidenti» che avevano portato alla prematura rottura di un rapporto che lui stesso aveva voluto con forza. Una scelta ferma e decisa, quella del giovane assessore di Fratelli d’Italia, tanto da essersi imposta nonostante le perplessità dell’Università, partner della Regione nella gestione dell’azienda sanitaria più grande d’Europa: 9.500 dipendenti tra gli ospedali Molinette, Sant’Anna, Regina Margherita e CTO.
Autoritario nei modi («Sono Thomas Schael e nessuno mi ha mai detto di no» è una frase che chi ha lavorato con lui confida di essersi sentito ripetere spesso), poco incline al dialogo, del tutto indifferente alle pressioni di politica e sindacati: Schael – manager di nascita e formazione tedesca – nei suoi pochi mesi al vertice della Città della Salute è stato (anche) questo. “Anche”, perché sarebbe ingeneroso ignorare il suo impegno in quella che aveva voluto definire un’«operazione risanamento e legalità», ribadita con forza anche negli ultimi, burrascosi, faccia a faccia con Riboldi.
Quello che più sorprende, in questa ingloriosa pagina della politica piemontese, è lo stupore quasi scandalizzato con cui – nei brevi e turbolenti mesi del suo mandato – sono state accolte le azioni del Commissario. Da quelle fastidiose ma formali, come il divieto per i medici di scendere al bar aziendale con il camice, a quelle più pesanti sul piano politico e giudiziario: il giro di vite sulle visite dei medici dipendenti nelle cliniche private, il rifiuto di firmare il bilancio del 2024, la vertenza al Tribunale del Lavoro conclusa con una condanna dell’azienda per condotta antisindacale.
Uno stupore a dir poco fuori luogo. Che Thomas Schael fosse un personaggio tutt’altro che malleabile era più che risaputo nel mondo della Sanità nazionale: la sua stessa storia lo dipingeva come un manager rigido, da sempre fermo sulle proprie posizioni e capace di tenere il punto fino alla fine. Spesso anche dopo la fine. «Schael non era uno sconosciuto in Piemonte – dirà a giochi fatti Maurizio Dell’Acqua, ex direttore sanitario delle Molinette – nel bene e nel male, tutti sapevano chi fosse». La carriera dell’ormai ex Commissario, infatti, è un romanzo dai capitoli molto simili e con lo stesso finale: la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro. L’unica cosa che cambia è il luogo dove si svolge: Bolzano, Catanzaro, Chieti e, infine, Torino.
«Tutti sapevano», dice Dell’Acqua a la Repubblica, facendo irritare non poco l’assessore Riboldi. Eppure, quando Schael ha cominciato a essere sé stesso anche a Torino, gli equilibri con la politica sono saltati. Come era sempre successo, da almeno dieci anni: «Lascio le cose in uno stato migliore di come le ho trovate e si ricordano sempre dove sono passato, nel bene e nel male», aveva dichiarato in un’intervista rilasciata a La Stampa prima dell’ultima rottura. «Mai rimasto disoccupato: c’è sempre qualcuno che mi cerca».
Alto Adige, i bilanci in attivo
«Nel bene e nel male»: la sintesi del lungo viaggio di Schael nel labirinto della Sanità italiana potrebbe essere questa. A partire da Bolzano, dove il manager si è insediato nel giugno del 2015, con il ruolo di direttore generale della ASL provinciale. Anche qui si sarebbe dovuto fermare cinque anni; anche qui ha salutato in anticipo, tra polemiche, ricorsi e cascami giudiziari. In Alto Adige l’addio è arrivato dopo un triennio, a luglio 2018, nonostante una sequela di bilanci in attivo (12,6 milioni nel 2017, 19,5 nel biennio precedente) e un gran bel piazzamento nelle graduatorie del rapporto CREA sulle performance sanitarie stilate dal Consorzio per la Ricerca Economica Applicata in Sanità: nel 2018, la Provincia autonomia di Bolzano è seconda per efficienza in Italia, superata solo dalla vicina Trento (il Piemonte, per avere un termine di paragone, finisce soltanto dodicesimo).
Risultati buoni, forse addirittura ottimi. Eppure, la storia di Schael a Bolzano segue gli stessi binari che abbiamo visto a Torino: applausi e speranze al debutto, poi le prime frizioni con i potentati locali, infine la rottura definitiva. Sei mesi dopo il suo arrivo le pagine locali del Corriere della Sera usano per Schael parole che, quasi dieci anni dopo, avrebbero potuto essere ripetute pari pari in Piemonte: «Il direttore dell’ASL inizia ad avere tanti nemici dentro e fuori la Sanità. Finito l’entusiasmo iniziale (il manager germanico con curriculum italiano era parso l’uomo ideale per portare avanti la riforma sanitaria) gli ostacoli cominciano a essere tanti».
Se ai contrasti interni il manager risponde con i provvedimenti disciplinari – che certo non aiutano a creare consenso – il braccio di ferro più estenuante è quello che lo divide dalla politica. Il fulcro delle controversie è il contrasto con la prima generazione di no vax, quella che in epoca pre-Covid si opponeva alle profilassi obbligatorie per i bambini. Una posizione che a Bolzano, sul finire degli anni Dieci, trovava sostenitori anche tra i politici: nel 2017, quando la ministra Beatrice Lorenzin impose delle sanzioni per i genitori che rifiutavano la vaccinazione dei figli, quattordici consiglieri regionali sottoscrissero un documento di protesta. Lo schieramento era trasversale: Forza Italia, autonomisti, Movimento 5 Stelle.
Lo scontro sui vaccini
L’iniziativa si appoggiava su un sentimento anti-vaccinista piuttosto diffuso nella popolazione altoatesina. Una settimana prima dell’iniziativa dei consiglieri, 130 famiglie avevano annunciato di voler «chiedere asilo» all’Austria. Le guidava l’attivista Reinhold Holzer, uno che si definiva «padre interessato e cittadino bene informato». Un tipo spiccio che non risparmia le parole: «I vaccini sono una carneficina chimica ai danni dei nostri figli», aveva dichiarato qualche anno fa. «Di sicuro non avveleneremo i nostri bambini. Asilo non chiede solo chi scappa da una guerra, ma anche chi si vede privato dei diritti umani». A ottobre 2017, alla riapertura delle scuole, i bambini sudtirolesi non in regola con l’obbligo vaccinale erano diventati 500.
Il rapporto di Schael con i no vax era stato durissimo. Il manager li aveva combattuti sui social e anche in tribunale, dove aveva trascinato per “procurato allarme” Holzer dopo che aveva raccontato la fake news di un bambino «ricoverato a causa di gravi danni provocati da un vaccino». Quando Holzer lo diffidò a ritirare la denuncia e gli chiese scuse formali, la replica del manager tedesco fu durissima: «Non ho accettato in passato, non accetto ora e non accetterò mai neppure in futuro qualsiasi tipo di azione volta ad impedirmi di far emergere la verità e di chiarire a tutti i cittadini quali gravi conseguenze possano arrecare alla salute pubblica le informazioni false, infondate e allarmistiche dei cosiddetti no-vax».
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L’intransigenza di Schael – e qualche infortunio verbale, come quando disse che «non ha senso spendere cifre esorbitanti per regalare ai pazienti oncologici una settimana in più, che magari piove» – gli incrinarono molti rapporti. Il casus belli per il licenziamento altoatesino fu il mancato rinnovo di un’assicurazione per i dipendenti, ma tra gli addetti ai lavori la convinzione è che la paradossalmente impopolare battaglia per i vaccini avesse portato agli estremi un rapporto già teso.
La Provincia di Bolzano accusò il dirigente di «colpa grave», poi diffuse un comunicato in cui affermava che «la Giunta e il direttore generale dell’Azienda sanitaria, Thomas Schael, hanno una visione diversa in merito alle modalità di raggiungimento degli obiettivi fissati per l’assistenza sanitaria a livello provinciale». Era stato il sigillo sul licenziamento.
Schael inghiottì il rospo ma non si arrese, con un atteggiamento non dissimile da quello mostrato recentemente a Torino, dove – a benservito annunciato dalla Regione ma non ancora operativo – ha conferito a un advisor esterno un incarico da 2 milioni e mezzo per la revisione dei bilanci. A Bolzano, l’ormai ex direttore generale prima concordò una buonuscita da 184 mila euro, poi si ricandidò alla poltrona appena perduta nell’ultimo giorno consentito dal bando, costringendo la Commissione a rinviare la prima tornata di colloqui. Cinque anni dopo, nel 2023, quando la Giunta altoatesina prorogò contro le regole l’incarico del suo successore Florian Zerzer, Schael portò tutti davanti al TAR di Bolzano, che a novembre 2023 gli diede ragione. Alle selezioni per il nuovo bando, però, lui non si è presentato.
Schael in Calabria: diciotto mesi di liti
Pochi mesi dopo l’addio a Bolzano, Schael venne nominato «sub commissario ad acta per il piano di rientro del debito sanitario» in Calabria. Per il manager fu un ritorno: dal dicembre 2005 al luglio 2007, infatti, era stato direttore della ASL Magna Grecia di Crotone, che aveva lasciato con un bilancio in peggioramento (dai 24,5 milioni di disavanzo ai 51,1 del 2007) e un contenzioso aperto da 440 mila euro con la Regione, arrivato in Cassazione.
A Catanzaro, dove lavorava come vice del generale dei carabinieri Saverio Cotticelli, Schael si è trovato in guerra da subito. L’8 gennaio 2019, giorno dell’insediamento, il governatore Mario Oliverio (PD) non si presentò. Al suo posto c’era l’assessore anziano Franco Rossi: «La disponibilità a risolvere i problemi è un obiettivo che ci accomuna – aveva detto – nell’interesse dei cittadini che hanno diritto a un sistema sanitario efficiente». Cotticelli replicò: «Dobbiamo lavorare insieme. Non contro di voi, ma insieme a voi». Schael concluse: «Ognuno con le proprie responsabilità deve contribuire per migliorare la Sanità calabrese».
La luna di miele durò meno di una settimana. La coppia Cotticelli-Schael era stata nominata da Giulia Grillo, ministra della Salute nel governo gialloverde di Giuseppe Conte. La cosa non andò giù a Oliverio, che il 14 gennaio – sei giorni dopo le belle parole di Rossi – comunicò una raffica di nomine nella Sanità calabrese, tutte decise in autonomia senza neppure una telefonata ai commissari. È solo il primo passo: undici giorni dopo, il 25 gennaio, la Regione Calabria presentò un ricorso al TAR contro la nomina di Schael, ritenuto incompatibile a causa dei 440 mila euro che il vice commissario aveva chiesto come buonuscita per il suo addio (ovviamente anticipato) a Crotone.
Nel giro di pochi mesi, Schael litigò anche con Cotticelli. Tra i due – scrissero i giornali calabresi – «non corre buon sangue». Il commissario e il suo numero due non sono d’accordo su nulla: si dividono sulle priorità da seguire sulle assunzioni (concorsi per Schael, le stabilizzazioni dei precari per il generale), si scontrano sulle nomine dei nuovi vertici degli ospedali e delle ASP, le Aziende sanitarie provinciali.
Il 1° luglio Schael si dimise per non meglio precisate «ragioni personali». I commentatori locali non furono stupiti: «Non sarebbe sorprendente vederlo presto manager da qualche altra parte», aveva scritto La Nuova Calabria, notando «la propensione dell’ingegnere tedesco a essere il primus inter pares, piuttosto che un vice nella realtà in cui si trova ad operare. Non potendolo fare, prima o poi, il coperchio sarebbe saltato». A ottobre, Schael tornò a parlare della Sanità calabrese con un post lapidario su Twitter: «Dopo tre mesi, ospedali al collasso».
Luci e ombre in Abruzzo
Nel frattempo, il 9 settembre 2019, il governatore dell’Abruzzo Marco Marsilio (Fratelli d’Italia) lo aveva nominato direttore generale dell’ASL2 Lanciano-Vasto-Chieti. Anche qui, Schael verrà ricordato “nel bene e nel male”: investì 49 milioni in tecnologie, «distribuiti su tutti gli ospedali in base a tutte le necessità»; stabilizzò oltre 600 lavoratori; entrò in rotta di collisione con la politica per alcune decisioni legate alla gestione della pandemia e con i primari che lamentavano «una gestione fallimentare, caratterizzata da scelte imposte dall’alto, senza alcuna condivisione con chi opera quotidianamente sul campo e conosce le reali esigenze sanitarie del territorio»; peggiorò il bilancio dell’azienda che, stando alle affermazioni del Comitato Ristretto dei sindaci – l’organo politico che ha funzioni di controllo sull’attività socio-sanitaria del territorio – era passato dai 13,7 milioni di euro del 2019 ai 67,1 milioni del 2024.
Un copione già visto, dove non mancano le esuberanze verbali – che gli guadagnano la definizione di «manager dal tweet e dall’insulto facile verso chi lo critica», firmata dal PD che ne chiede più volte le dimissioni – e l’ormai rituale ricorso alla magistratura. Il 10 ottobre 2024, L’aria che tira – il programma de La7 condotto da David Parenzo – manda in onda un’inchiesta sulle conseguenze dei tagli alle spese nella Sanità. Nel servizio si parla degli ospedali di Teramo e Lanciano, dai quali emerge un quadro desolante: un paziente racconta di aver dovuto portare da casa le pile per far funzionare un dispositivo indispensabile alla sua terapia; un altro dice di aver fatto lo stesso con i farmaci; un medico, con la voce camuffata per evitare il riconoscimento, sostiene di essere costretto a prescrivere antibiotici meno costosi e meno efficaci. Alla giornalista che chiede «Lei si farebbe mai ricoverare nell’ospedale in cui lavora?», il medico risponde: «Questa è una domanda da 100 milioni di dollari…».
Schael, il giorno dopo, gridò alla «piazza mediatica» e annunciò denunce. Una decisione che gli ha procurato qualche tensione anche con il presidente Marsilio: «Lo avevo sconsigliato di procedere in tal senso – disse il governatore – Gli avevo fatto anche presente che questa azione avrebbe scatenato la reazione di stampa e giornalisti, come è regolarmente avvenuto».
Un finale già scritto
Con queste premesse, era davvero così difficile – per la Regione Piemonte – prevedere che le cose sarebbero finite male anche alla Città della Salute, una realtà che per dimensioni e giochi di potere è un altro mondo rispetto alle ASL di Chieti o Bolzano?
Schael – per citare ancora l’ex direttore sanitario delle Molinette Maurizio Dell’Acqua – è un manager che «avrà il suo carattere ma sa il fatto suo». Probabilmente è anche «autoreferenziale», come hanno detto i sindacati, e forse persino un «adolescente irrisolto», come dice in privato un nome illustre della Sanità torinese. Però è sempre stato così, non è arrivato a Torino nascosto dietro una maschera.
Quello che stupisce non è la fine della storia, che in fondo era già scritta nonostante l’iniziale ottimismo dell’assessore Riboldi, il quale a maggio auspicava una «guida forte» e oggi parla di «arroganza». Ciò che sorprende sono i tempi dell’operazione, troppo rapidi anche per Schael, che a Torino aveva appena preso casa e non si aspettava di essere scaricato così in fretta: «Sinceramente non avrei voluto un allontanamento così precipitoso, mi lascia un vuoto dentro», ha scritto pochi giorni fa il manager nella lettera d’addio: un lungo sfogo in cui spiega di aver avuto «un tempo assolutamente insufficiente» per raggiungere gli obiettivi. L’ormai ex Commissario chiude la lettera con una citazione di Seneca, la stessa usata nel discorso di insediamento: «Il saggio non dice mai tutto quello che pensa, ma sempre ciò che conviene dire». Visti i precedenti, più che un ripetuto sfoggio di erudizione sembra l’annuncio di qualcosa che potrebbe ancora accadere. Forse, il capitolo torinese dell’intricato romanzo professionale di Thomas Schael non è ancora finito.
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