Sanità, più che agli ospedali si pensa al voto

SARA STRIPPOLI

Sanità, più che agli ospedali si pensa al voto

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Al voto mancano almeno due anni, ma in Piemonte la campagna elettorale è già partita. Una corsa lunga, lunghissima, che avrà nella sanità uno dei principali campi di battaglia, con il mirino puntato su quel che succede ogni giorno nella Città della Salute di Torino: quattro ospedali, oltre novemila dipendenti, uno dei tassi più alti d’Italia per complessità dei casi. Uno scontro che vede spesso scendere in campo la magistratura: l’ultimo capitolo è il rinvio a giudizio di sedici direttori e dirigenti del passato, i vertici dell’azienda che si sono alternati negli ultimi dieci anni. Una questione di bilanci e libera professione, omissioni e scorciatoie, accuse di falso e di truffa, i cui strascichi rischiano di pesare sull’intero sistema sanitario piemontese dopo la decisione del nuovo commissario Thomas Schael di non firmare il bilancio dei suoi precedessori prima di aver passato tutti i conti ai raggi X.

A dominare la scena, come in molti altri settori della vita pubblica, è la sfida interna al centrodestra, con le forze della coalizione impegnate con largo anticipo a spartirsi il consenso. C’è tempo, ma non troppo: per la Regione si voterà solo nel 2029, ma i giochi potrebbero riaprirsi nel 2027 se il presidente Alberto Cirio (Forza Italia), nonostante i giuramenti e le promesse di rispettare il patto con gli elettori, cedesse alla tentazione di volare a Roma. Nel caso, sarebbe più che probabile un triplice election day aperto anche al rinnovo del Consiglio comunale di Torino.

Ovvio che le manovre si intreccino, considerata anche l’alleanza non dichiarata tra Cirio e il sindaco Stefano Lo Russo (Partito Democratico), con il primo piuttosto restio a mettere in campo un candidato (o una candidata) moderati, unica vera chance per il centrodestra di spuntarla nel fortino di Asterix della sinistra piemontese. Tra primo cittadino e governatore – abiti blu sovrapponibili e comunicati stampa congiunti – si è creata un’intesa ai confini del simbiotico che a sinistra molti digeriscono con fatica: non pochi sussurrano che, per il bonaccinano Lo Russo, la vicinanza di vedute con Cirio sia più solida di quella che lo lega al PD di Elly Schlein.

Le mosse della Lega

Mentre Forza Italia, per ora, sembra tenersi fuori dalla partita, impegnandosi piuttosto in una campagna per arruolare qualche leghista insoddisfatto (un nome che circola su tutti è quello dell’ex-consigliere regionale Gianluca Gavazza, non proprio una figura di secondo piano), tra Lega e Fratelli d’Italia lo scontro sulla sanità è già entrato nel vivo.

A muoversi per primo è stato il partito di Salvini, con una manovra congiunta a Montecitorio e a Palazzo Lascaris, sede del Consiglio regionale piemontese. Proprio mentre alcuni big della medicina torinese abbandonavano la libera professione intramoenia – rinunciando al 15 per cento del loro stipendio in cambio della libertà offerta dal privato – la Lega ha proposto di mandare in soffitta la riforma Bindi consentendo ai medici di lavorare part-time nel pubblico per poter operare anche nelle cliniche e negli studi a pagamento. «Questo aiuterebbe a evitare la fuga dal sistema sanitario nazionale e riempire le case della salute con la medicina territoriale», ha spiegato a Roma l’alessandrino Riccardo Molinari, capogruppo alla Camera.

A Torino, intanto, è tornato sul palco del teatrino politico-sanitario l’ex assessore leghista Luigi Icardi, mai troppo amato da Cirio sia per la gestione piuttosto lacunosa della pandemia, sia perché agli ospedali sembrava preferire l’agricoltura e l’attivismo elettorale nel bacino cuneese. Pochi giorni dopo l’uscita di Molinari, Icardi ha presentato in Regione un disegno di legge modellato sul progetto nazionale del capogruppo, irritando non poco l’assessore meloniano Federico Riboldi.

Der Kommissar

In questo contesto, il nuovo commissario della Città della Salute, il tedesco Schael, si è ritagliato un ruolo di protagonista e ora prova a smarcarsi dalle tensioni tra i due partiti. La politica «è il mio datore di lavoro», ha detto in un’intervista al Corriere Torino, con una frase che riecheggiava certe affermazioni di Bruno Vespa riferite alla RAI. D’altro canto, è risaputo che il destino piemontese del manager, bollato con l’appellativo emblematico di “Der Kommissar” per i modi spicci e non troppo simpatici, sia stato deciso a dicembre ad Atreju, passerella ufficiale del governo Meloni.

Dal Circo Massimo, sede della kermesse di Fratelli d’Italia, Riboldi era rientrato a Torino con il nome non trattabile di chi doveva guidare l’azienda con il maggior numero di fuoriclasse della medicina, ma pure con il peso di un rosso storico da 200 milioni di euro. Uno sprofondo mai recuperato, a dispetto di un gran rullare di advisor romani in missione.

Nulla poteva fare Cirio per evitare la scomoda investitura. E nulla può fare ora, nonostante le perplessità e le lamentele giornaliere che gli arrivano sulle decisioni di Schael, che neppure tanto velatamente lascia intendere di poter abbandonare il timone nel caso si materializzino ostacoli pesanti sul suo percorso di riforma. E ora, dopo il rifiuto di firmare il bilancio, potrebbe essere il governo a far saltare il banco dell’intera sanità piemontese sottoponendola a un nuovo, e pesante, piano di tagli.

Il partito di Meloni è azionista di maggioranza in Piemonte e il suo assessore Riboldi – intraprendente ex-sindaco di Casale Monferrato ma più esperto in frigoriferi che in sanità – non può che difenderlo a spada tratta. Al malumore del governatore si sommano gli attacchi della Lega, che non perde occasione per colpire: quando uno studio della Bocconi commissionato dalla Regione in vista del nuovo piano sanitario rivela che sei pronto soccorso piemontesi dovrebbero essere declassati a punti di primo intervento, Molinari ricorda agli alleati e agli elettori che «il nostro assessore non aveva mai chiuso servizi». Così a Riboldi non resta che assicurare che i suggerimenti dell’università d’eccellenza, debitamente pagata dalla Regione proprio per elargire buoni consigli, cadranno nel vuoto.

La rivoluzione incompiuta

Schael – avversato anche dall’università, che per evitare il suo arrivo ha molto abbaiato senza mordere nulla – è approdato a Torino da Chieti, lasciando dietro di sé una scia di polemiche e (a suo dire) molti successi: a partire proprio dalla stretta sull’intramoenia, sospesa in Abruzzo per recuperare ritardi sullo smaltimento delle liste di attesa e per ora solo minacciata a Torino, dove i medici sono rapidamente scesi sulle barricate e i grandi gruppi della sanità privata non hanno esitato a farsi sentire con Cirio. Per ora nessuna rivoluzione: il bando è stato pubblicato e si vedrà quali e quante strutture passeranno l’esame. Cliniche e studi privati, intanto, devono mettersi in coda: la precedenza è per le visite e i ricoveri negli spazi disponibili per la libera professione all’interno degli ospedali. Una condizione indicata anche nella vecchia normativa, ma messa in un angolo in nome della convenienza generale.

«Il vero assessore alla Sanità è Schael», si vocifera nei palazzi del potere e nelle corsie dei quattro ospedali della Città della Salute. E c’è già chi scommette che il suo protagonismo sia una strategia per migrare a Roma verso il ruolo di direttore dell’AGENAS, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali: «Quando avrà centrato l’obiettivo, accamperà la scusa delle resistenze e se ne andrà», dicono (e forse sperano) i maligni.

Certo è che alla Città della Salute lo status quo è saltato. Stufi della «burocrazia ipertrofica» dell’azienda, come la definisce la direttrice della Scuola di Medicina Paola Cassoni, si allarga il fronte dei medici che scelgono l’extramoenia. Tra loro figure di primissimo piano come il neurochirurgo Diego Garbossa, l’urologo Paolo Gontero, l’ortopedico Alessandro Massè. In ospedale operano con interventi di eccellenza coperti dal servizio sanitario nazionale, ma chi li vuole per una visita pagherà parcelle salate nelle cliniche.

Visto dai cittadini, e dai pazienti, il servizio sanitario è sempre meno efficiente. Mentre i politici litigano pensando al voto, i tempi d’attesa non migliorano e il nuovo CUP dotato di intelligenza artificiale, che avrebbe dovuto imprimere una svolta positiva, è in un ritardo imbarazzante. Ma in corso Bramante, sede della Città della Salute, si combattono baruffe surreali: dall’obbligo per i medici di togliersi il camice di servizio per andare al bar agli annunci sull’utilizzo di futuristici droni di collegamento fra ospedali che potrebbero planare sul futuro Parco della Salute. L’inaugurazione, a essere ottimisti, è attesa nel 2031.  Ma come dimenticare che la città, e i suoi medici esasperati, aspettano il nuovo polo sanitario da quasi 30 anni?

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