Comprare lo stadio per vendere il Toro, la svolta di Cairo si avvicina

PAOLO PATRITO

Comprare lo stadio per vendere il Toro, la svolta di Cairo si avvicina

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A domanda diretta, Urbano Cairo preferisce non rispondere. Ma il tempo del silenzio sta per finire: diversi elementi, su entrambi i fronti, indicano che a breve potrebbero sciogliersi i nodi relativi allo Stadio Grande Torino, la “casa” della squadra granata che oggi ospita anche qualche concerto. Quello che in passato, quando ancora si chiamava “Comunale”, era stato il luogo dei sogni di molti torinesi – le vittorie della Juventus di Giampiero Boniperti o Michel Platini, il mitico scudetto del Toro nel 1976, la grande musica dei Rolling Stones, dei Police e di Madonna – potrebbe presto cambiare padrone.

Tra poche settimane, il prossimo 30 giugno, scadrà la concessione con la quale il Comune affitta lo stadio al Torino Football Club di Cairo; sempre in estate scadranno le ipoteche che dal 2005 gravano sull’impianto in seguito al fallimento del Torino Calcio, la società che gestiva la squadra prima dell’arrivo del presidente-editore: 38 milioni e 600 mila euro, messi a garanzia dei debiti fiscali del vecchio club. Ipoteche che, su iniziativa del Comune, potrebbero non essere rinnovate.

Le due questioni sono legate. Oggi il Comune incassa dal Torino circa 500 mila euro all’anno per l’affitto dello stadio, troppo poco per coprire i costi di manutenzione straordinaria dell’impianto, rimasti a suo carico. Solo lo scorso autunno sono stati approvati lavori per 350 mila euro, eppure lo stadio presenta carenze evidenti, soprattutto per quanto riguarda la copertura delle tribune, che in alcune parti lascia passare acqua: l’11 maggio scorso se ne sono accorti gli spettatori dell’ultima Torino-Inter, giocata sotto un violento temporale (peggio è andata ad alcuni tifosi della Curva Maratona, culla della passione granata, rimasti feriti per il cedimento di un parapetto in metallo). Se n’è accorta anche l’opposizione in municipio, con il consigliere Andrea Russi (Cinque Stelle), rapido nel presentare un’interpellanza. Pare che il Comune avesse promesso di iniziare un intervento sulla copertura, ma al momento non si è ancora visto nulla.

Insomma, il “Grande Torino” mostra i segni del tempo. L’impianto ha bisogno di un restyling, ma la città da tempo pensa di vendere la struttura, considerata non strategica, o in alternativa affittarla di nuovo, ma con un canone rivisto non di poco verso l’alto. Cairo, all’inizio della sua tormentata avventura da presidente, si era detto interessato all’acquisto, ma non ha mai dato seguito a questi propositi. Una non-scelta sulla quale il peso delle ipoteche potrebbe aver influito in maniera decisiva.

La mossa del Comune

Per questo motivo, a inizio 2024, il Comune di Torino ha presentato un’istanza all’Agenzia delle Entrate per non rinnovare le ipoteche. La risposta non è ancora arrivata, ma dal Comune trapela ottimismo: la soluzione positiva potrebbe essere imminente. La speranza dell’amministrazione è chiara: rendere lo stadio più appetibile per chiunque voglia acquistarlo, dentro o fuori dal calcio. A questo proposito, lo scorso febbraio è stata approvata una delibera per dare il via a una procedura di evidenza pubblica di consultazioni preliminari del mercato, come previsto dalle indicazioni perentorie dell’ANAC – l’Autorità Nazionale Anticorruzione – in materia di assegnazione degli stadi calcistici. In parole più semplici, il Comune vuole capire se, oltre alla concessione di lungo periodo, esistono altre vie per valorizzare lo stadio.

Ma come si è arrivati a questa situazione? Per capirlo bisogna riavvolgere il nastro di un paio di decenni: nel 2002, dopo anni di discussioni infruttuose, si arrivò a una decisione che sembrava poter accontentare le due squadre della città: alla Juventus sarebbe andato per 99 anni il diritto di superficie dello stadio “Delle Alpi”, l’impianto costruito per i Mondiali 1990, mentre il Torino avrebbe goduto dello stesso diritto sul “Comunale”, il vecchio stadio costruito negli anni Trenta, modernizzato e ribattezzato “Olimpico” dopo aver ospitato le cerimonie di apertura e chiusura dei Giochi del 2006.

Il Torino Calcio avrebbe dovuto subentrare dal 1º luglio 2006, facendosi carico dei costi di ristrutturazione che, in occasione delle Olimpiadi, avevano tra l’altro realizzato la copertura di tutte le tribune, avvicinate al campo dalla rimozione della vecchia pista di atletica. Il fallimento del club granata, avvenuto nell’estate del 2005, sparigliò le carte: arrivarono le ipoteche e lo stadio tornò in mano al Comune.

Sogni e polemiche

Per quasi tre anni, tra il 2002 e il 2005, il Torino ebbe almeno virtualmente uno stadio di proprietà, sul quale si fecero varie ipotesi: «Nei primi anni Duemila si era parlato di un impianto multifunzionale, non esclusivamente dedicato al calcio, con un’area commerciale annessa», ricorda Attilio Romero, l’ultimo presidente prima del crac. «Poi la crisi dell’automotive nella quale si trovò coinvolto il proprietario Francesco Cimminelli rallentò il progetto. Lo stop definitivo arrivò con il fallimento, che peraltro nessuno di noi si aspettava. C’erano sì problemi oggettivi (una fideiussione da 18 milioni e 700 mila presentata all’Agenzia delle Entrate si era rivelata falsa, ndr), ma la verità è che un certo “sistema Torino” voleva che quella società scomparisse. Cimminelli era il proprietario della Ergom, il principale fornitore di materie plastiche della FIAT. Forse qualcuno non voleva che il denaro che arrivava dalla FIAT servisse a sostenere il Toro».

Tornando a oggi, la questione stadio si intreccia inevitabilmente con la proprietà della squadra, il soggetto che godrebbe dei maggiori benefici nel rilevare l’impianto. A partire dallo scorso autunno si sono rincorse con insistenza le voci su un possibile cambio della guardia alla guida del club, sostenute dalle continue proteste dei tifosi, del tutto scontenti di una gestione che da anni non ottiene risultati sul campo. Urbano Cairo si è detto disponibile a trattare una cessione a fronte di un’offerta congrua. È chiaro che in un’eventuale trattativa (si è parlato della multinazionale austriaca Red Bull e di non meglio specificati fondi arabi, finora senza conferma) il tema delle strutture potrebbe risultare strategico per ingolosire un acquirente: non è un caso se, dopo anni di stasi, il Torino sta procedendo ai lavori del centro sportivo “Robaldo”, nel quartiere popolare di Mirafiori Sud.

La proroga e il futuro

I prossimi mesi saranno cruciali, e ogni soluzione è sul tavolo. Anche per questo il Comune di Torino ha offerto una proroga di 18 mesi dell’attuale concessione al Torino, come spiega a L’Unica l’assessore allo Sport del Comune di Torino, Domenico Carretta: «La proroga serve ad avere il tempo necessario per discutere con le parti. La trattativa con l’Agenzia delle Entrate è in una fase delicata: la cautela è d’obbligo. Se la risposta sarà positiva potremo sederci a un tavolo con i soggetti interessati all’acquisto». Quali soggetti? «Ci sono diverse soluzioni possibili, ma ad oggi l’ipotesi più plausibile è che lo stadio interessi a chi ci gioca».

Il primo interlocutore, se non l’unico, resta quindi il Torino Football Club, con Cairo o qualcun altro al timone. Per ora il club granata si trincera dietro un prudente silenzio, anche se in società qualcuno ammette che la rimozione delle ipoteche potrebbe essere decisiva. Ciò che è certo è che chiunque deciderà di investire sullo Stadio Grande Torino si troverà ad affrontare rischi e opportunità. Da un lato uno stadio di proprietà, specialmente se inserito in un contesto urbano, è una risorsa preziosa per una società di calcio. Però il risultato finale dipende da tanti fattori, quali la possibilità di adeguare le strutture alle esigenze del calcio moderno e di poter realizzare spazi commerciali che garantiscono introiti supplementari.

Per Carretta questi discorsi sono «prematuri», ma sembra che il Comune voglia fare di tutto per mettere il potenziale acquirente nelle migliori condizioni. Un tema, in ogni caso, sarà quello dei vincoli della soprintendenza che tutelano buona parte delle strutture dello stadio, inaugurato nel 1933, e persino del terreno di gioco, sotto il quale esiste ancora un sistema di fascine inizialmente usato come strumento di drenaggio. La sensazione, però, è che molti di questi impedimenti siano superabili con un progetto serio e la disponibilità a investire. Lo conferma, indirettamente, lo stesso assessore: «Non sono un tecnico, ma casi di interventi in contesti analoghi come lo stadio “Artemio Franchi” di Firenze o il Gewiss Stadium di Bergamo dimostrano che è possibile intervenire nel rispetto delle regole».

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