Il Valentino sta tornando a vivere anche di notte

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Faccelo sapere quiIl cuore verde della città sta rifiorendo, anche di notte. Grazie ai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), il parco del Valentino è pronto a diventare dall’alba al tramonto il Central Park torinese, per poi accogliere la movida notturna della Torino by night. Una svolta dopo anni di crisi e di abbandono: la scoperta degli abusi edilizi aveva falcidiato negli anni tutti i locali del lungo Po e al calar del sole il parco era caduto in balìa della microcriminalità, tra spaccio, degrado e violenza.
Per anni è stato uno stillicidio. Una chiusura dopo l’altra: la Rotonda nel 2014, il Cacao e lo Chalet nel 2017, il Club 84 nel 2018 e poi definitivamente nel 2023 e il Fluido a fine 2018. L’unica superstite della resa dei conti che aveva travolto la vita notturna del polmone verde di Torino era la discoteca Life di corso Massimo d’Azeglio. Fattore comune: l’abusivismo edilizio. Le irregolarità degli immobili, tutti di proprietà del Comune, avevano portato alla sospensione di ogni bando di concessione fino alla loro messa a norma. Un remake di un film già visto ai Murazzi – le arcate costruite sulla sponda ovest del Po – dove nel 2012 era stata fatta piazza pulita di circoli e cocktail bar.
Se nelle sale di Palazzo Civico, sede del municipio, i tavoli di confronto tra gestori e Comune sul futuro dei locali continuavano ad arenarsi, i 421 mila metri quadrati del parco erano sempre più abbandonati e gli effetti non tardarono ad arrivare. Le ex discoteche erano diventate rifugio di persone senza fissa dimora, base di spaccio e focolai di violenza. Il senso di insicurezza dei cittadini era in crescita, soprattutto dopo lo stupro di una diciottenne nel 2019. Un esempio su tutti: alla vigilia della pandemia di COVID-19, un incendio divampò tra le macerie dell’ex Fluido, a partire da un fuoco acceso da una persona senza fissa dimora per scaldarsi durante il gelo invernale, e in Consiglio comunale si inasprirono le critiche verso la giunta di Chiara Appendino, allora sindaca di Torino.

Il caso apripista dell’Imbarchino
Se nel 2019 locali storici come Cacao, Rotonda, Chalet e Fluido avevano le sembianze di ruderi post-industriali, nel luglio dello stesso anno l’Imbarchino riapriva i battenti in controtendenza, a tre anni dalla piena del Po che nel 2016 aveva allagato il locale e portato alla deriva la coppia di battelli Valentino e Valentina. Un segnale apripista che ha anticipato il rinnovamento in atto, a doppio binario: il ritorno a catena dei disco-bar nell’ultimo anno – One, Maxelâ e Pados – e il piano per riqualificare tutto il sistema Valentino, che il Comune dovrebbe completare entro il 2026.
Prima della moria dei club notturni e del degrado diffuso, il parco era un’istituzione della movida torinese. «A metà degli anni Duemila l’asse tra il Valentino e i Murazzi aveva tantissimi spazi aperti al pubblico, con una vitalità fortissima», dice a L’Unica Lorenzo Ricca, presidente degli Amici dell’Imbarchino APS, e amministratore delegato di Va Lentino SRL, l’Associazione di promozione sociale e la società benefit che gestiscono con altri gli spazi del ritrovo. «I locali fungevano da polo attrattivo e da presidio: con la loro progressiva chiusura la zona rimase abbandonata: dopo il tramonto il parco era diventato terra di nessuno».
L’ex imbarcadero trasformato in bar-ristorante ha riaperto le porte il 24 luglio 2019. Facilitato dall’assenza di abusi edilizi, il ritorno dell’Imbarchino ha dato il via a una corrente contraria nel cuore del parco. Tuttavia, dietro il traguardo si nascondono tre anni di tira e molla che vale la pena ricordare.
Nel 2016 le associazioni Amici dell’Imbarchino, Banda Larga e AEGEE Torino avevano vinto il bando per la concessione dell’immobile, ma neanche il tempo di festeggiare che il 24 novembre dello stesso anno una violenta esondazione del Po sommergeva il locale di acqua e limo. Iniziava così un complicato negoziato tra il raggruppamento e il Comune su chi avrebbe dovuto finanziare il ripristino della struttura, fino alla firma del contratto di concessione del 1° marzo 2019, che assegnava l’onere delle spese ai gestori, con uno sconto sul canone di affitto. Intanto, l’Imbarchino era stato occupato da un gruppo di persone senza fissa dimora, poi sgomberato. Finalmente la luce in fondo al tunnel.
«Eravamo lanciati, è stato un momento speciale: se all’inizio era stato tutto molto faticoso, in quella fase abbiamo ricevuto il supporto della cittadinanza. Condividevano la nostra energia anche le parti politiche con cui ci siamo interfacciati, gli assessori, i tecnici e le banche», ricorda Lorenzo Ricca. «Il tema economico era centrale: avevamo ottenuto un mutuo da Banca Etica e vinto il bando da 50 mila euro di Culturability, l’iniziativa per finanziare iniziative culturali lanciata dalla Unipolis, la fondazione del gruppo Unipol».
Le ultime mattonelle del nuovo Imbarchino sono state messe proprio dalla comunità di affezionati. «Mancavano 20 mila euro per coprire il costo dei lavori, così abbiamo deciso di lanciare un crowdfunding, insieme a una campagna di comunicazione per far sapere a tutta la città che stava riaprendo l’Imbarchino: ha funzionato – spiega Ricca –. La riapertura ha avuto una risposta gigantesca dalla comunità. Chi ha a cuore la città, più ancora del parco, aveva speranza perché non stava chiudendo tutto per sempre. In più, con un nuovo spazio aperto è aumentata la percezione di sicurezza dei cittadini».
All’interno dell’Imbarchino si ritrovano le diverse comunità della città. «La fase di riapertura si è conclusa con l’inverno 23/24, quando abbiamo raggiunto l’obiettivo di tenere aperto il locale tutto l’anno. Da lì è iniziato un periodo di ripensamento per guardare al futuro: la nuova traiettoria che abbiamo individuato riguarda Torino, questo è il grosso cambiamento. Vogliamo contribuire a renderla una città aperta, adatta alle sperimentazioni e il ruolo che l’Imbarchino vuole giocare è quello di ponte tra il sottobosco e l’istituzione».
L’ambizione dei gestori prenderà forma in una valutazione di impatto che, come anticipa Lorenzo Ricca a L’Unica, sarà pubblicata entro la primavera del 2026: «Sarà uno strumento di pianificazione triennale, con l’obiettivo di produrre ogni anno un documento di restituzione. Stiamo lavorando con la consulenza di Kilowatt, una cooperativa di Bologna che gestisce il centro culturale Serre dei Giardini Margherita».
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Fumate bianche e cantieri aperti: manca solo il Cacao
Nel 2021, il Comune usciva dall’impasse burocratica e dava il via libera alle nuove assegnazioni dei locali in disuso, ma la prima fumata bianca risale a ottobre 2024: l’ex Rotonda di corso Massimo d’Azeglio, un tempo tempio del divertimento torinese, ha riaperto con un nuovo nome, One. Un mese più tardi anche l’ex Chalet ha acceso una nuova insegna, con su scritto Maxelâ. L’ultima luce verde ha visto protagonista il Pados, nato il 16 maggio di quest’anno sulle ceneri del Fluido. Il prossimo della lista sarà il Club 84, assegnato alla gestione di Ottantaquattro SRL di Enzo Catanzaro. Il vincitore del bando ha promesso di riaprire per la primavera del 2026, ma la struttura è ancora in stato di abbandono e i residenti continuano a denunciare episodi di violenza.
Il ritorno a catena dei locali è una vittoria per il parco, ma le nuove notti del Valentino vedono decimati i metri quadrati a disposizione: lo smantellamento di tutte le strutture abusive ha reso impossibile il ripristino integrale delle discoteche, che hanno lasciato il posto al modello ristorazione. Non manca la musica live, ma in una versione più soft, con la parziale eccezione del One, che oltre a includere due ristoranti e una gelateria, ha tenuto fede al suo predecessore, con una sala da discoteca aperta fino alle ore piccole. Tra i locali più colpiti dal ridimensionamento c’è il Club 84, dove rimarrà appena il 15 per cento della struttura originale: da 1.300 a 200 metri quadrati.

«I locali aperti significano parco vivo. Luce e movimento sono antidoti naturali per garantire più sicurezza, mentre abbandono e buio portano al degrado e alla microcriminalità», dice a L’Unica Pierlucio Firrao, consigliere comunale di Torino Bellissima, la lista di opposizione alla giunta del sindaco Lo Russo, e da anni in prima linea per la riapertura dei locali dell’asse Valentino-Murazzi. Sulla stessa linea l’assessore al Commercio Paolo Chiavarino: «La riapertura di questi locali allarga l’offerta della vita notturna cittadina, alleggerisce l’intensità di presenze in altri quartieri e permette di vivere il Valentino in sicurezza anche al calar del sole, garantendo un presidio di socialità importante».
Manca un tassello al puzzle del Valentino: l’ex Cacao di viale Ceppi. Un anno fa lo storico gestore Claudio Barulli ha rilanciato il brand Cacao a Moncalieri, mentre la vecchia sede al Valentino è ancora un epicentro di degrado del parco e continua a essere occupata. A dicembre 2022 la mozione firmata da Firrao, “Buona movida: riapriamo il Cacao?”, aveva impegnato la Giunta comunale alla formulazione di un bando di concessione, ma l’iniziativa si è arenata a causa della gravità degli abusi edilizi all’interno della struttura.
In più, le uscite di sicurezza dell’ex Cacao si affacciano sul cantiere del parcheggio da 496 posti che entro il 2026 verrà realizzato nel Padiglione V di Torino Esposizioni. La vicesindaca Michela Favaro, interpellata da L’Unica, ribadisce che gli uffici comunali stanno conducendo «un’analisi accurata», ma non si sbilancia sul futuro del locale: «Appena avremo un quadro della situazione più chiaro, potremo mettere l’area a bando e potremo capire se è possibile continuare a dare al luogo la configurazione di un locale notturno o se potrà essere pensato con una nuova vocazione».
Questa puntata di L’Unica Torino termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.
🏝️ La prossima settimana L’Unica Torino va in vacanza, torneremo mercoledì 20 agosto. Buon ferragosto alle nostre lettrici e ai nostri lettori!
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