All’università si studia la carne coltivata, anche se il governo ne ha vietato la produzione

All’università si studia la carne coltivata, anche se il governo ne ha vietato la produzione
Una beuta nel laboratorio del progetto CultMeat

L’Unica Torino fa parte di un nuovo progetto di newsletter locali, che parte da quattro province del Piemonte.

Se vuoi saperne di più qui trovi la pagina principale.

Pensi ci sia una storia di cui ci dovremmo occuparci?

Faccelo sapere qui

«È stata la nascita del mio primo figlio a spingermi verso questa ricerca. Da allora ho capito che anch’io potevo e dovevo fare la mia parte per il pianeta: ho smesso di consumare prodotti di origine animale e oggi sono persino in lista d’attesa per assaggiare la carne coltivata». Così Alessandro Bertero, 38 anni, professore di Biologia applicata all’Università di Torino, vegano e scienziato, spiega a L’Unica la motivazione più profonda dietro il suo interesse per il cibo del futuro. Non un vezzo da laboratorio o una moda tecnologica, ma un gesto di responsabilità verso le nuove generazioni.

È anche da lì che parte CultMeat, progetto di ricerca sullo sviluppo di carne prodotta in laboratorio che ha raccolto oltre 60 mila euro in un crowdfunding sostenuto da più di 500 donatori. Una cifra sorprendente per un’iniziativa scientifica di base, ma anche il segnale di un fermento crescente nel dibattito pubblico su come mangeremo, e su come dovremo produrre cibo, nei prossimi decenni. Presto quel progetto assumerà una nuova forma, diventando una startup: Kolemus. Si tratta di una delle ultime realtà entrate nell’ecosistema di 2i3T – l’incubatore di imprese dell’Università di Torino – con l’obiettivo di produrre carne coltivata utilizzando cellule staminali per generare tessuto muscolare. L’intento è rendere questo tipo di produzione più efficiente, rapida ed economicamente accessibile.

Le radici del progetto

Bertero muove i primi passi nella ricerca sul tema durante il suo dottorato nel Regno Unito. «A Cambridge, insieme ad alcuni colleghi, ho sviluppato un brevetto che è già stato adottato da un’azienda olandese, Meatble. Lo sta impiegando nella fase produttiva», racconta. Dopo alcuni anni tra Regno Unito e Stati Uniti, il professore sceglie di far ritorno in Italia. Nel 2020 apre un laboratorio a Torino e avvia una linea di ricerca su colture cellulari animali. «Siamo partiti con un progetto di dottorato circa cinque anni fa e ora stiamo andando avanti, non so quanto tempo ci vorrà ancora».

La carne coltivata, o “in vitro”, si ottiene facendo crescere cellule animali in bioreattori, senza bisogno di allevare e uccidere un intero animale. «È carne a tutti gli effetti – precisa Bertero – solo che viene prodotta in modo diverso». Questo metodo potrebbe ridurre in modo significativo l’impatto ambientale del settore zootecnico, che, secondo i dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), oggi è responsabile di circa il 14 per cento delle emissioni globali di gas serra. Inoltre, nascerebbe una filiera in grado di rendere più sostenibile l’accesso alle proteine animali in un mondo sempre più popolato e vulnerabile alle crisi climatiche.

I benefici potenziali non si fermano lì. La tecnologia impiegata ha ricadute indirette sulla medicina rigenerativa, sullo studio dei tessuti umani, sulla produzione di cibo nello spazio e su nuove strategie di sicurezza alimentare. «Le soluzioni vanno ricercate per decidere, come società, se accettarle o meno, promuoverle e capirle», continua lo scienziato torinese. «È fondamentale che ognuno dia il proprio contributo nel settore che gli compete, davanti alla crisi ambientale che stiamo affrontando».

Lo stop del governo

Il cammino però non è facile. Il governo Meloni ha imposto un divieto preventivo sulla carne coltivata (la legge è in vigore da dicembre 2023), vietandone produzione e commercializzazione. «Siamo orgogliosi che l’Italia sia la prima nazione del pianeta a proibire questo tipo di produzioni che cancellano il nostro sistema alimentare tradizionale», dichiarava il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida nel novembre del 2023 al Tg1.

Secondo Bertero, la legge «non ha avuto alcun effetto concreto sulla ricerca», ma ha mandato «un segnale molto negativo al settore». Una mossa più simbolica che pratica, che tuttavia ha un effetto paralizzante: scoraggia gli investimenti e pone in dubbio la serietà del dibattito scientifico. «Abbiamo scritto ai ministeri competenti, ma siamo ancora in attesa di una risposta, e iniziamo a essere meno ottimisti – racconta –. C’era un tavolo tecnico, ma non ci hanno mai consultati. È stata una grave mancanza». Nonostante questo, CultMeat va avanti, anche grazie alla collaborazione con altri enti di ricerca come il Politecnico di Torino (in particolare con la professoressa Diana Massai, titolare della cattedra di Biologia industriale) e il gruppo Futureating, coordinato dal filosofo Luca Lo Sapio. Qui convergono semiotici, psicologi, biotecnologi: un laboratorio multidisciplinare per riflettere sull’etica, la comunicazione e l’accettabilità sociale di un nuovo modo di mangiare.

Oltre alla sostenibilità, gli studi del professore di biologia aprono possibilità del tutto nuove. «È un settore che ha riscontri anche di nicchia, come l’alimentazione nello spazio, oppure nella produzione di modelli tessutali per applicazioni biomediche», osserva Bertero. «In futuro, potrebbe contribuire a risolvere la produzione su larga scala, abbassare i costi e aumentare la sicurezza alimentare».

Per ora, però, resta un esperimento. Nessun italiano ha mai assaggiato carne coltivata prodotta in Europa. Nemmeno Bertero: «Sto aspettando con ansia che Meatble, l’azienda olandese con cui collaboriamo, organizzi degli assaggi aperti al pubblico. Mi sono iscritto alla lista d’attesa. Lì è possibile farlo, a differenza del nostro Paese dove il governo ha imposto un divieto». E aggiunge: «Bisogna spiegare bene di cosa si tratta. La stragrande maggioranza delle persone che l’hanno provata dice che ha lo stesso sapore della carne. Cambia solo il metodo con cui viene ottenuta e non ci sono rischi per la salute. Non maggiori di quelli già esistenti».

Se questa newsletter ti è stata inoltrata, puoi iscriverti cliccando qui:

📨 Iscriviti

La protesta di Coldiretti e la reazione degli scienziati

Alla contrarietà espressa dal governo si affianca l’opposizione netta del mondo agricolo. Coldiretti, l’organizzazione che rappresenta una parte degli allevatori e agricoltori italiani, dirige le sue critiche contro l’organismo europeo indipendente incaricato di regolamentare l’immissione sul mercato dei prodotti alimentari. Ventimila membri di Coldiretti, a marzo, hanno protestato a Parma davanti alla sede dell’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare: una manifestazione dura, che ha costretto alla chiusura temporanea degli uffici per motivi di sicurezza. Per le strade sono comparsi cartelli con slogan d’effetto come «il cibo venga dai campi, non dai laboratori», «investiamo nella ricerca medica» e «i cittadini europei non sono cavie». L’associazione, con una posizione che gli esperti del settore considerano priva di basi solide, chiede che la carne coltivata sia trattata alla stregua dei farmaci, richiedendo obbligatoriamente studi clinici e preclinici prima che possa essere immessa sul mercato.

Alessandro Bertero però non ci sta. Il docente dell’Università di Torino, insieme ad altri quindici ricercatori provenienti da diversi atenei, ha firmato poche settimane fa una lettera critica indirizzata a Coldiretti, dopo la proposta di classificare la carne coltivata come un farmaco. «Farmaci e alimenti seguono processi di approvazione distinti perché rispondono a esigenze radicalmente diverse», si legge nel testo. Ma le perplessità non si fermano lì: una delle accuse più frequenti mosse da quel fronte è l’intento – presunto – di voler sostituire la tradizione agroalimentare con un prodotto artificiale. Ma per Bertero questo è un fraintendimento: «Non c’è nessun rischio di sostituzione. Parliamo di prodotti che rappresenteranno una piccola frazione del mercato, ma che potrebbero mitigare l’aumento insostenibile della produzione di carne previsto nei prossimi decenni. È un modo per diversificare e renderci più indipendenti. Dire di no a questa opportunità prima ancora di comprenderla è miope».

In effetti, mentre in Italia si discute a colpi di slogan e decreti, nel resto del mondo la carne coltivata avanza. A Singapore è già autorizzata la vendita, anche nei supermercati. Negli Stati Uniti anche. La stessa Europa, secondo molti osservatori, non potrà restare a lungo fuori dai giochi. «Nel momento in cui un prodotto coltivato dovesse essere approvato a livello europeo – precisa Bertero – la legge italiana sarebbe disapplicata».

Bertero non è un acritico “entusiasta della tecnologia”. È un uomo che ha scelto una dieta vegana, che ha riflettuto sulle contraddizioni del nostro modo di mangiare e vivere. «È stato un percorso iniziato con il vegetarianesimo cinque o sei anni fa – dice ancora – poi ho costruito una dieta che non mi richiede altro. Sono vegano. Ma il mio lavoro nasce per offrire alternative, non per imporre soluzioni. È importante fare ricerca: poi la società deciderà se e come adottarla».

Questa puntata di L’Unica Torino termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.

Ti consigliamo anche:

🚮 Ad Alessandria la raccolta dei rifiuti è ancora un problema (da L’Unica Alessandria)

🥩 La “carne sintetica” inquina 25 volte più di quella allevata? Occhio a leggere bene gli studi (da Pagella Politica)

🏭 Cosa ha deciso la Corte Costituzionale sui licenziamenti illegittimi (da Pagella Politica)