Il cambiamento delle Langhe, dalla “malora” al troppo turismo

Il cambiamento delle Langhe, dalla “malora” al troppo turismo
Foto: Pixabay

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Un premio, un altro. All’ultima London Wine Fire, una delle più importanti fiere internazionali dedicate al vino, dove gusto, tecnologia e affari si coniugano davanti a un pubblico di migliaia di persone, il Piemonte è stato nominato regione dell’anno nell’ambito dei Wine Travel Awards. Il voto del pubblico – appassionati e professionisti di tutto il mondo – e quello della giuria professionale – esperti di vini e di turismo riuniti a Londra – hanno collocato il Piemonte davanti a California e Sudafrica in un concorso nato per riconoscere e valorizzare aziende, eventi e progetti che contribuiscano allo sviluppo del turismo legato al vino.

Non ce ne vogliano i produttori del Monferrato, ma la combinazione delle parole “vino” e “turismo”, in Piemonte, rimanda immediatamente al territorio delle Langhe. E allora questo nuovo, ennesimo, premio arriva in un momento particolare per queste colline, quello in cui si alzano le prime, piccole grida d’allarme a spezzare l’incantesimo: le Langhe sono o non sono quel paradiso del vino e del buon vivere, meta del turismo di qualità e patria dell’enogastronomia d’eccellenza? Ma, soprattutto, esiste il rischio di perdere l’unicità premiata anche dall’Unesco, a fronte di una crescente popolarità e redditività del sistema turismo?

Va davvero tutto bene?

Qualche voce isolata contribuisce ad alimentare i dubbi, o almeno apre spazi di riflessione sul futuro. L’ultimo a creare scompiglio è stato nientemeno che Angelo Gaja, nome illustre dell’enologia albese e personaggio a suo modo istrionico. Salendo sul palco dell’assemblea annuale di Confindustria Cuneo per un dibattito con il direttore de La Stampa, Andrea Malaguti, ha salutato la platea con una premessa autoironica: «Dico sempre che non voglio parlare, non voglio fare interviste e poi eccomi qua. Sono il principe della coerenza». Poi non si è trattenuto dall’esprimere le sue idee senza filtri.

Gaja – che il mondo del vino considera un pioniere della nuova era, quella che ha trasformato in ricchezza un mondo originariamente povero – ha invitato a una riflessione collettiva sul rischio dell’overtourism, cioè quel fenomeno in cui il troppo turismo danneggia i luoghi e chi li abita. «È una parola che non si può neanche pronunciare, ma si snocciolano continuamente i dati dei turisti in arrivo», ha detto. «Avete mai visto un’azienda comunicare in continuazione i suoi risultati? Io mi chiedo se effettivamente stiamo andando nella giusta direzione. Il turismo è un’azienda senza controllo, dove ognuno fa quello che vuole. Forse toglie posti di lavoro alle aziende e in cambio dà salari bassi e zero produttività».

Ma già nel panel successivo, sempre all’evento di Confindustria a cui L’Unica ha potuto assistere, due esponenti nazionali del mondo imprenditoriale e giornalistico come Emma Marcegaglia e Maria Latella avevano voluto ribadire il ruolo prezioso del turismo su ogni territorio. Ad Alba inoltre vige, più spiccata che nel resto del Piemonte, la regola molto sabauda dell’understatement. E se qualcuno la infrange, le reazioni sono immediate. E pesanti.

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Troppa gente: lo spettro dell’overtourism

Gaja non ha risparmiato i bersagli illustri. A partire da Vinum, l’evento dedicato ai vini piemontesi che quest’anno, per la prima volta, ha ottenuto il riconoscimento di “fiera internazionale”. «È un’enoteca a cielo aperto che occupa suolo pubblico senza pagare», ha detto Gaja, prendendosi la risposta piccata di Alex Iberti, nuovo direttore dell’Ente Fiera di Alba, e di Alberto Gatto, sindaco della città. «Non è così», ha sibilato il primo, diffondendo una nota in cui si è definito «imbarazzato e incredulo». «Lo inviteremo a Vinum e vedrà di persona il lavoro che c’è dietro e i risultati che si ottengono», ha replicato il secondo. Gaja se l’è presa anche con la terminologia del turismo e della gastronomia contemporanei: «Ho sentito parlare dello street food di Langa, e non sapevo neanche che esistesse».

Dopo il fuoco di fila, il dibattito resta aperto. Poche settimane prima, lo stesso Mariano Rabino, riconfermato presidente dell’Ente turismo Langhe-Monferrato-Roero, aveva voluto specificare come il problema del turismo di massa in Langa non fosse affatto fuori controllo: «Oggi su cento persone che raggiungono la nostra destinazione, 57 sono straniere», ha detto. «Di queste cento, 55 si fermano in Langa, 30 vanno nel Monferrato e 15 nel Roero. Di fatto, i turisti continuano a crescere, ma si stanno spalmando su un territorio più vasto e ciò consente una maggiore gestione e vivibilità del fenomeno».

Dalla “malora” ai prezzi troppo alti

Il fatto è che – di pari passo con la saturazione del mercato dei vigneti e con la necessaria costruzione di infrastrutture come l’autostrada Asti-Cuneo tra le colline intorno ad Alba, dove già spicca la mole del nuovo ospedale a Verduno – cresce la preoccupazione di chi vorrebbe preservare la tradizione e l’ambiente.

Come spesso succede da queste parti, a scandire parole chiare e senza sconti ci aveva pensato prima di tutti Carlin Petrini, il fondatore di Slow Food, autorità riconosciuta in campo culturale ed enogastronomico. «Oggi per acquistare un ettaro vitato di uva nebbiolo da Barolo possono servire fino a 4 milioni di euro, un valore immenso soprattutto se rapportato ai 4-5 milioni delle vecchie lire necessari nel 1970», ha ricordato in una riflessione su La Stampa raccontando i “due volti” delle Langhe. Prima erano i tempi della “malora”, descritta mirabilmente da Beppe Fenoglio, oggi tutto è cambiato in un’area ristretta. In Langa è così, mentre nel Roero e anche nel Monferrato si parla di costi inferiori decine di volte.

Che cosa significa? «Che la Langa è divenuto un territorio esclusivo, dove le barriere all’entrata sono talmente insormontabili che risulta impossibile fare impresa senza indebitamenti da capogiro», continua Petrini. «Tutto questo, inoltre, rischia di attrarre un mondo che poco ha a che fare con l’origine agricola di queste zone e con l’artigianalità enologica: quello della finanza e dei grandi gruppi di investimento. Un pericolo che sradicherebbe l’autenticità del territorio e che avvicinerebbe drasticamente le bottiglie di vino ad altri tipi di commodities». 

Petrini sottolineava inoltre l’insaziabilità di quelli che pensano ancora a disboscare per ampliare zone di monocoltura, aumentando la superficie produttiva. Un dettaglio che ha messo in rilievo anche Federico Quaranta, conduttore Rai di Linea Verde e Il provinciale, in un’intervista al settimanale albese Idea. «La Langa rischia di essere depauperata di valori che devono essere presidiati. Se questa terra perde la sua vocazione e la sua identità, diventa una terra come altre», ha detto. «Se vengo nelle colline bianche delle Langhe e trovo solo vigneti, non più boschi, questa è una perdita d’identità, se in Alta Langa vedo solo noccioleti e non più boschi, vigneti strani o campi di foraggio, c’è una perdita d’identità e di visione che mette a repentaglio il paesaggio. Se tu quel paesaggio nei millenni lo spiani, lo alzi, lo crivelli di pali, sposti l’identità precedente. In ogni luogo l’identità è una stratificazione socio-culturale, religiosa, sessuale, sociale e politica».

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L’ottimismo resiste: le Langhe veloci come Bolt

Non tutti vedono un futuro nero. Roberta Ceretto, dell’omonima famiglia di produttori di vino, allontana il pessimismo: «Alla fine degli anni Novanta le Langhe si sono messe a correre e per 20 anni hanno fatto ciò che Usain Bolt faceva nei cento metri. Quando si cresce così, è inevitabile che si creino anche delle storture. Ma sono convinta che qui abbiamo tutte le risorse per raddrizzarle».

Una visione condivisa dall’artista albese Valerio Berruti: «Non so nulla di vino e non conosco certe dinamiche. Osservo però che se una vigna di Barolo arriva a costare 4 milioni di euro è perché qualcuno è disposto a darteli. L’offerta è sempre in base alla domanda, vale anche per l’arte contemporanea», ha commentato in un’intervista a La Stampa. «Neppure io amo pagare 15 euro un piatto di vitello tonnato che altrove ne costa 8. Se ci saranno meno persone attratte da queste splendide colline, vorrà dire che rallenteremo. Ma anche l’eventuale passo indietro non ci riporterà mai al punto di partenza». Come dire: inutile opporsi, il destino delle Langhe è già scritto.

Questa puntata di L’Unica Cuneo termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.

 👋🏽 L’Unica è stata presentata da Guido Tiberga, ex caporedattore de La Stampa e oggi coordinatore editoriale de L’Unica, durante “Buongiorno regione” di mercoledì 11 giugno. Potete vedere la presentazione a questo link, dal minuto 10.

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