Bene pubblico, spesa privata: la crisi dei giardini storici

Bene pubblico, spesa privata: la crisi dei giardini storici
Una veduta del Castello di Margarita

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Queste storie cominciano tutte allo stesso modo, con un’eredità. Una dimora storica con un giardino che sembra uscito da una favola, un dono che arriva da generazioni lontane e suscita l’invidia di tutti. Ma ci si rende presto conto che è come avere un’azienda in perdita che prosciuga i propri risparmi e quel giardino che tutti ammirano è un mostro che divora tempo ed energie. E allora si avverte tutto il peso di aver avuto fortuna. Perché la ricchezza della famiglia è evaporata nel corso dei secoli e l’erede è una persona con un lavoro e, soprattutto, uno stipendio normale. Vendere sarebbe una liberazione e prima o poi ci pensano tutti. Come se fosse facile vendere una dimora storica di mille metri quadrati con ettari di parco e magari anche vincolata come bene pubblico dalla Soprintendenza. Come se fosse facile vendere la storia della propria famiglia.

Trasferirsi è allettante, tutti vorrebbero vivere in un luogo da sogno, tra stanze affrescate e alberi secolari. Ma questa bellezza antica è fragile, richiede investimenti e cure costanti. E di solito basta il preventivo del giardiniere a spegnere il sorriso. Un giardino storico è un lusso d’altri tempi: dimensioni enormi, piante rare, manutenzione esosa. Eppure, preservarlo può attirare visitatori paganti, trasformandolo da costo a risorsa. Un giardino che si mantiene da solo è il sogno di tutti. La prima mossa è diventare manodopera, quindi giardinieri, studiando, imparando con le mani nella terra, sudando. Oltre a risparmiare si devono anche mettere soldi in cassa e questo è il vero problema. Un giardino dà il suo meglio in una fascia di tempo, la primavera, piuttosto ristretta e anche minacciata da fenomeni atmosferici. Oltretutto, per quanto incantevoli e ricchi di storia, questi luoghi sono quasi sconosciuti. Per uscire dal cliché del gioiello nascosto, quattro realtà simili si sono riunite in una libera associazione per fare sistema e trovare una nicchia nel mercato turistico. Hanno creato “I giardini della Granda”, un percorso di visita che intreccia le loro dimore e le loro storie che hanno raccontato a L’Unica.

La contessa giardiniera

«No, non sono contessa, la linea nobiliare si è interrotta con mia madre. Però è un nome che sui social funziona». Lucia Ruà ha un pensiero fisso: far conoscere il Castello di Margarita. È sicura che, se più persone la scoprissero, la sua dimora seicentesca conquisterebbe tutti. Difficile darle torto: il castello custodisce un giardino unico in Piemonte, con eleganti forme geometriche che evocano Versailles, progettato da un allievo di Le Nôtre, il celebre giardiniere di Re Sole. Un giardino che per la sua conformazione ha bisogno di più manutenzione degli altri. «La quantità di lavoro che richiede è enorme e siamo solo quattro donne a prendercene cura, ad aiutarmi ci sono una dipendente e due vicine amiche. Giardiniera lo sono diventata per forza quando ho deciso di trasferirmi qui».

Laurea in lettere moderne con indirizzo musicale, Lucia Ruà viveva e lavorava a Torino fino a quando il richiamo della casa dove era nata ha avuto il sopravvento. «Ci ho messo dieci anni per riportare il giardino a come l’aveva pensato quattrocento anni fa il mio avo Antonio Solaro conte di Margarita. Mi sono ritrovata proprietaria di questo posto e sento l’obbligo di proteggerlo, è la mia storia ma è anche un bene della comunità». Però le giornate di apertura del giardino, che sono poi la sua fonte di guadagno, si contano in un anno sulle dita di una mano. «Vorrei tenerlo aperto di più, ma Margarita è fuori dalle rotte turistiche e il castello lo conoscono in pochi. E le iniziative che invento per promuoverlo si scontrano sempre con la burocrazia, alle volte sembra che tutto congiuri contro questo posto. Le aperture ai visitatori non coprono neanche minimamente le spese di manutenzione, ma vedere lo stupore negli occhi degli ospiti mi ripaga, almeno in parte, delle fatiche e delle spese. E poi far conoscere il castello e il suo giardino è la mia maniera di proteggerlo. Non ho eredi e mi chiedo spesso cosa succederà a questo posto e alla storia della mia famiglia dopo di me. Se ci penso il futuro mi fa paura».

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Vincoli, non sovvenzioni

Il carcere è proprio di fronte, duecento metri al massimo. L’architettura tutt’altro che attraente della casa circondariale stride non poco a confronto della grazia del giardino più antico di Cuneo. Il nucleo originario di Villa Oldofredi Tadini risale al Trecento e di storie da raccontare questa proprietà ne ha veramente tante. Occupata e poi distrutta dai francesi nell’assedio di Cuneo nel 1799, trasformata in orto di guerra dai fascisti e in un ospedale dai nazisti. Dalla famiglia dei conti Mocchia di San Michele, la villa è arrivata per linea ereditaria a Gabriella e Domenico Sanino che la abitano e la curano. «Quando l’abbiamo ricevuta in eredità ci siamo sentiti responsabili per il patrimonio storico e affettivo che rappresenta», spiega a L’Unica Domenico Sanino.

Un angolo del parco e di Villa Oldofredi Tadini

Insegnante di scienze naturali lui, bancaria lei, entrambi in pensione, si dedicano a tempo pieno al loro giardino. «A 75 anni è faticoso, ma le spese per mantenere questo giardino sono altissime, perciò continuiamo a lavorare». Un anno di fatiche per sole quattro giornate di apertura ai visitatori: l’incasso non arriva a coprire neanche il 10 per cento dei costi di manutenzione. «Non abbiamo mai ricevuto un euro di contributo pubblico anche se questo giardino ha un enorme valore storico e ambientale», dice. «È un bene vincolato dalla Soprintendenza, ma avere dei vincoli non vuol dire avere sovvenzioni. Mantenendo un pezzo di storia del territorio e uno scrigno di biodiversità, mi sento di fare qualcosa per la collettività, ma non ho mai ricevuto nulla in cambio e questo è un po’ triste. Ma il destino di chi come noi ha ereditato queste dimore storiche è quello di essere considerati facoltosi possidenti, quindi perché aiutarci?».

Tutto da sola

Quasi nessuno crede che Serena Colombo, 45 anni, curi da sola i due ettari di giardino di Villa Souchon a Fossano, perfetti fino all’ultimo dettaglio. La più giovane dei proprietari de “I Giardini della Granda”, con una laurea in economia e un passato nel controllo di gestione, lavora a tempo pieno per questa villa, costruita nel 1925. Più recente rispetto alle altre dimore dell’associazione, Villa Souchon sfoggia uno stile art déco mentre il giardino riflette il gusto creativo e “pop” della proprietaria. Sembra tutto spontaneo, come se la natura stessa avesse deciso di ordinarsi in quelle forme così aggraziate, ma è frutto di un lavoro meticoloso. «La mia esperienza lavorativa precedente mi aiuta a programmare tutto», racconta a L’Unica. «Ho imparato il giardinaggio sul campo, ma ho anche studiato, ottenendo attestati da manutentore del verde e giardiniere d’arte. Quando ho iniziato, il giardino era un disastro. Me ne sono innamorata mentre lo riportavo in vita».

Ora dedica dieci ore al giorno a prepararlo per la primavera, quando accoglie circa cinquanta visitatori al giorno. «Ma la natura è imprevedibile: pioggia o fioriture in ritardo possono rovinare tutto. Così, ho creato un gruppo per organizzare visite al momento giusto», racconta. Nonostante il buon afflusso, i conti restano in rosso. «Sto pensando a un bed and breakfast per coprire le spese di manutenzione, altissime anche se non ho personale. Non chiedo finanziamenti pubblici, ma uno sgravio fiscale per chi mantiene questi luoghi e li mette a disposizione di tutti credo che sarebbe giusto. In un anno io spendo più in rifiuti che in cibo».

Viva gli sposi, ma ora basta

La quarta e ultima dimora storica de “I Giardini della Granda” è Villa Corinna a Villanova Mondovì. «In realtà si è appena aggiunta Villa Bonaria a San Pietro del Gallo, ma ancora non ha iniziato le visite. L’obiettivo è di allargare ancora un po’ più la rete e dare unità alle nostre offerte, fare sistema e condividere questi beni privati». A parlare è Maria Cristina Gallo Orsi, discendente della famiglia che dal 1910 possiede Villa Corinna.

Uno scorcio di Villa Corinna

«È sempre stata la nostra casa delle vacanze, qui la mia famiglia si riuniva per aggregarsi nei momenti felici e in quelli difficili». E ora è diventata una delle location preferite della zona per i matrimoni, grazie al suo ettaro di parco paesaggistico ottocentesco, molto scenografico e particolarmente adatto alle foto. «Ne ospitiamo non più di quattro l’anno e riusciamo a coprire circa la metà delle spese, questo giardino rende molto meno di quanto costa. Dovrei accettare di ospitare altri matrimoni ma non voglio sacrificare di più la mia vita privata. E poi credo che il futuro di questa villa sia nel turismo degli appassionati di giardini», spiega.

I giorni di apertura ai visitatori sono un momento importante per Villa Corinna. «La condivisione con il territorio è fondamentale anche perché per me rappresenta uno stimolo per far apparire il giardino sempre al meglio. Sono un’insegnante di lettere al liceo, dopo una giornata di lavoro e aver corretto i compiti dei ragazzi mi metto a lavorare in giardino, tutti i giorni. Non sono una botanica, ho imparato facendo, ma sto diventando sempre più esperta, almeno delle mie piante. Anche se abitiamo in questa casa ormai siamo della classe media, io vivo del mio stipendio, la fortuna di una volta non esiste più. Il futuro mi preoccupa perché so che l’eredità che lascerò sarà un impegno e non un guadagno per i miei figli. Ma quando mi affaccio dalla finestra i problemi scompaiono e riesco solo a vedere la bellezza di questo posto».

Questa puntata di L’Unica Cuneo termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.

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