Maina, la casa di riposo affondata dalla cattiva gestione

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Faccelo sapere quiAd Asti più che parlare si mormora. Quando a fine dicembre del 2022 si era chiusa l’ultima porta della casa di riposo Maina-Città di Asti era partita una fiaccolata di protesta. Qualcuno mormorava: «Il Maina è fallito dieci anni fa, oggi c’è solo l’ufficialità». Centinaia di dipendenti, politici, sindacalisti e gente comune avevano sfilato per la città gridando: «Vergogna». Era stato il vescovo di Asti, Marco Prastaro, il primo a usare questa parola, lo aveva fatto in chiesa, nell’omelia, pochi giorni prima di Natale. «Una tristezza piena di vergogna pervade la nostra città», aveva detto.
Nell’arco di una settimana, tra Natale e Capodanno, i 110 anziani ospiti della struttura erano stati spostati altrove, strappati alla routine di un ambiente divenuto familiare. «Molti piangevano, ci chiedevano dove li stavano portando», ricorda a L’Unica una oss della struttura, Maura Balsamo. Le ambulanze arrivavano nel cortile, caricavano il “pacco” e ripartivano.
Il Maina, storica casa di riposo adagiata con i suoi 19 mila metri quadrati nel cuore di Asti, tra le strutture di questo genere più grandi in Italia, doveva chiudere entro il 2022. Era fallita, coperta da 8 milioni di euro di debiti accumulati negli anni: la Regione, proprietaria, ne chiedeva la testa subito. Andare avanti avrebbe significato spendere altri soldi per mettere a norma la struttura, quindi non si poteva “sforare” all’anno successivo.
Le accuse e la storia
Il perché si è arrivati a questo punto ancora nessuno lo sa di preciso. Almeno ufficialmente. La magistratura, dopo un esposto dei sindacati presentato nel 2023 ha aperto un’inchiesta che ha coinvolto i due ultimi commissari straordinari Mario Pasino (dal 2021 al 2022) e Giuseppe Camisola (dal 2016 al 2022), oltre al presidente del collegio dei revisori Luisa Amalberto (sorella di Andrea, imprenditore astigiano e attuale presidente di Confindustria Piemonte) e i componenti del collegio Simone Callegher e Massimo Striglia. L’accusa è di falso ideologico: gli imputati per anni avrebbero dichiarato il falso nei bilanci del Maina per nascondere il grave stato finanziario dell’ente. Dalle ultime notizie sembra che i tre revisori vogliano patteggiare, adesso tutto è in mano ad avvocati e giudici. Asti, però, sa perché la casa di riposo è fallita, ma non lo dice, lo mormora. E come tutti i misteri, una volta svelato si rivela di una semplicità sconvolgente.
Partiamo dall’inizio. Si può dire che la casa di riposo Città di Asti nasca nel 1717. In quell’anno, Vittorio Amedeo II emise un editto che vietava ai mendicanti di chiedere l’elemosina in strada. Così venne fondato ad Asti l’Ospizio di carità nel luogo in cui si trova oggi l’Istituto castigliano. Tutto proseguì senza grosse novità fino al 7 marzo 1929, quando un regio decreto accorpò alla struttura l’Ospizio cronici Umberto I, costruito nel 1891, in via Bocca, nel quartiere San Pietro.
Il primo consiglio di amministrazione del nuovo ente – che si sarebbe chiamato Ospizio cronici e casa di riposo Umberto I – si tenne il 15 settembre 1929 ed ebbe l’incarico di provvedere all’effettiva concentrazione dei due ospizi. Il 22 novembre 1931 avvenne l’inaugurazione dei nuovi padiglioni in prosecuzione di quelli esistenti. Nel 1944 il consiglio di amministrazione modificò la denominazione in Casa di riposo della città di Asti.
Poi il 30 dicembre 1951 l’allora presidente, Modesto Maina, industriale astigiano, inaugurò il reparto che portava il suo cognome, voluto e creato interamente a spese sue e dei suoi fratelli, Fedele, Benvenuto ed Erminia, per realizzare un voto fatto alla loro madre. Nel 1972 fu inaugurato un nuovo padiglione della Casa, in grado di accogliere 250 ulteriori anziani. Altre ristrutturazioni si sono succedute negli anni, in seguito alle quali erano stati inaugurati i nuovi nuclei RAF (Resistenza assistenziale flessibile), RSA (Residenza sanitaria assistenziale), Continuità assistenziale e Centro diurno integrato. Nel 2003 era stato aperto il nuovo reparto RAA, elegante area destinata ad anziani autosufficienti e parzialmente autosufficienti. La ristrutturazione più recente ha permesso la realizzazione dell’area Vincenza Maina, con palestra e il laboratorio di animazione. Poi, il buio.
Le promesse non mantenute
Nel 2006 ASL, Comune e Provincia, firmarono un accordo con la casa di riposo e le parti sociali che avrebbe dovuto garantire un futuro sereno alla struttura. Prevedeva un adeguato numero di posti letto per ospiti autosufficienti e per anziani non autosufficienti (RSA), la creazione di un hospice per malati terminali e la realizzazione di due reparti di “residenzialità medicalizzata” per favorire le dimissioni protette dall’ospedale. Ma le diverse parti pubbliche si sono progressivamente defilate: dal 2013 sono venuti meno i trasferimenti relativi alle dimissioni protette, ciò ha comportato una forte riduzione dei trasferimenti dell’ASL, per la cui organizzazione la casa di riposo aveva sostenuto costi non indifferenti. L’ASL ha inoltre disatteso l’impegno di realizzare un hospice, installando una sola struttura di questo tipo presso l’ex ospedale di Nizza Monferrato.
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Scelte sempre avallate dalle diverse maggioranze che hanno gestito il Comune di Asti e che hanno creato notevoli problemi di bilancio, tanto che l’ultimo consiglio di amministrazione in carica, dopo aver in un primo tempo cercato di nascondere le difficoltà, ha dovuto rassegnare le dimissioni. All’epoca era composto da cinque consiglieri di nomina comunale: l’imprenditore Bruno Ballario, Pierluigi Visconti, l’ex sindaco di Asti Guglielmo Berzano, Giancarla Maina e Rossella Maggiora. A loro si aggiungevano Rolando Doglione e Luciano Longo. Ai dimissionari subentra Carlo Camisola, come commissario straordinario di nomina regionale su proposta dell’allora sindaco di Asti, Fabrizio Brignolo.
«Guardare il muro»
Il problema della casa di riposo però resta nella forma societaria: IPAB, Istituto di pubblica assistenza e beneficenza, con quella parola, “beneficenza”, che ha sempre continuato a sottintendere che dovesse reggersi sui lasciti di qualche mecenate, e non sulla validità della gestione. Al suo arrivo in sostituzione di Camisola, il nuovo commissario straordinario Mario Pasino aveva trovato una struttura con 110 dipendenti e 110 ospiti, cioè un rapporto insostenibile di uno a uno, con il servizio mensa appaltato all’esterno e i sette addetti alla cucina interna pagati praticamente per non lavorare: «In cucina ci sono 920 piastrelle, 460 per due lati, come ho imparato a contare nel corso di tutte le ore durante le quali non faccio nulla. Noi cuochi siamo rimasti a guardare il muro», aveva detto uno di loro, Danilo Moiso.
Pasino aveva trovato ospiti che pagavano rette da 870 euro contro una quota media di mercato nettamente più alta. Il mistero è tutto qua e non è un mistero anche se nessuno lo ha mai detto ma solo mormorato, se le spese superano gli incassi si chiude. Semplice. Ma questa è una IPAB. “Beneficenza”, ricordate?
La grande industria ad Asti non c’è più, ci sono le banche che hanno i soldi, o meglio le fondazioni che sono loro emanazioni. Secondo fonti stampa, l’ultimo contributo della Fondazione CrAsti al Maina risale al 2013, 100 mila euro erogati sotto la presidenza di Michele Maggiora, sostituito dal 2016 da Mario Sacco, anche presidente di Confcooperative. Un colosso socio assistenziale che ha contribuito a fare della provincia di Asti la prima nella classifica italiana per posti letto disponibili nelle RSA. L’Astigiano può contare su circa 3.200 posti per 57 mila abitanti over 65 (più di 11 ogni mille abitanti), disseminati nelle 63 case di riposo sul territorio.
Quindi, detto tra noi, ma a che cosa sarebbe servito salvare la casa di riposo Maina-Città di Asti?
Questa puntata di L’Unica Asti termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.
🏝️ La prossima settimana L’Unica Asti va in vacanza, torneremo giovedì 21 agosto. Buon ferragosto alle nostre lettrici e ai nostri lettori!
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