Il vecchio ospedale sogna il futuro, mentre il nuovo fa già acqua

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Il vecchio e il nuovo si guardano, ma a volte le cose non vanno proprio come ci si potrebbe aspettare. Ad Asti, ad esempio, ci sono due ospedali: da una parte c’è il vecchio edificio abbandonato di via Botallo, in pieno centro; dall’altra il Cardinal Massaia, la nuova struttura inaugurata nel 2005. Da allora, è il caso di dirlo, tanta acqua è passata sotto i ponti. Ma anche attraverso i tetti.
Come spesso accade, le storie del nuovo e del vecchio si incrociano. Lo scorso 8 settembre è stato presentato un progetto da circa 34 milioni di euro per abbattere una parte del vecchio ospedale e creare un grattacielo di 14 piani con una forma che ricorda vagamente un grappolo d’uva. Neppure due settimane prima, il 28 agosto, il direttore generale dell’ASL Giovanni Gorgoni, nominato nel dicembre 2024, aveva rivelato che da anni quando piove l’acqua filtra dal tetto del Cardinal Massaia e che ci vogliono almeno 100 mila euro non per riparare il guasto, ma «solo per accedere al tetto e ispezionarlo», in modo da capire quale sia il problema. «Al mio arrivo a gennaio scorso mi avevano anticipato che questo ospedale ancora bellissimo aveva, tra le caratteristiche, la vulnerabilità in caso di pioggia – ha commentato –. In ventuno anni nulla è stato fatto sulla problematica che ora si fa sempre più vistosa e frequente».
Un palazzo vecchio, abbandonato e costoso
Andiamo con ordine. La posa della prima pietra al Cardinal Massaia, il nuovo ospedale, risale ormai a 28 anni fa: 20 giugno 1997.
Da quel giorno sono stati tanti i progetti che si sono scontrati con la realtà. Nel 2005, la Giunta regionale dell’epoca – di centrosinistra – guidata da Mercedes Bresso con assessore al Bilancio Paolo Peveraro, aveva stanziato 20 milioni di euro per il Massaia pensando di recuperarli con la cessione di immobili regionali in uso all’ASL. La lista dei palazzi da vendere comprendeva il vecchio ospedale, l’ex-Maternità e l’ex INAM di via Orfanotrofio, la sede astigiana dell’Istituto nazionale per l’assistenza alle malattie, la vecchia mutua sostituita nel 1977 dal Servizio sanitario nazionale.
La lista, però, rimase chiusa in un cassetto, come ha sottolineato lo stesso sindaco di Asti Maurizio Rasero nel corso della presentazione del progetto “grappolo”. «I primi tentativi di vendita del vecchio ospedale sono partiti dopo la crisi del 2008, quando il mercato si era bloccato», ha detto a L’Unica il primo cittadino. L’autorizzazione alla vendita degli immobili dell’ASL da parte della Regione è arrivata solo il 1° dicembre del 2009. Il vecchio ospedale è un enorme agglomerato a 50 metri da piazza Alfieri, nel cuore della città. L’immobile si divide in una parte storica, cioè un ex convento del XVII secolo sottoposto a vincolo dalla Soprintendenza ai beni architettonici della Regione, e una parte realizzata negli anni Settanta del Novecento. «Paghiamo 50 mila euro all’anno di IMU e oltre 20 mila euro di manutenzione», ha detto Gorgoni, spiegando che l’immobile vale poco meno di 12 milioni di euro, troppo per quello che è adesso, eppure sarebbe impossibile venderlo a meno perché «la Corte dei Conti non accetta minusvalenze».

I tentativi di vendita sono stati innumerevoli, e tutti deserti. Le prime stime del valore dei beni sono arrivate nel 2011, la prima asta pubblica con un unico lotto che comprendeva l’ex ospedale, l’ex maternità e l’ex INAM, è avvenuta nel 2013. Altre cinque sono state bandite tra il 2014 ed il 2017, vuoi con procedura negoziata dei tre immobili in un unico lotto, vuoi per singolo lotto o solo per singolo immobile. Una svolta sembrava stesse per avvenire nel 2018 con la vendita dell’ex INAM a 1,6 milioni di euro, contro un valore iniziale che superava i 2 milioni di euro.
Sempre nel 2018 il Comune di Asti ha tentato di entrare in possesso del vecchio immobile proponendo alla Regione, guidata dalla Giunta di Sergio Chiamparino (centrosinistra), una permuta con alcuni immobili di proprietà comunale. Trattativa arenata in un nulla di fatto due anni dopo. Quindi, passata la bufera del COVID-19, nuova asta pubblica nel 2022 – andata deserta – e cambio di rotta della Regione, passata al centrodestra sotto la guida di Alberto Cirio: l’ospedale vecchio non si vende più, si riqualifica.
Con un emendamento alla legge di Stabilità, l’articolo che prevedeva la vendita dell’ospedale di Asti per la restituzione del debito è stato modificato e i soldi anticipati dalla Regione verranno restituiti tramite la riqualificazione del sito. Il piano regolatore prevedeva già una serie di possibili destinazioni. Per la parte sottoposta a vincolo, con obbligo di Piano particolareggiato di iniziativa pubblica, sono ammessi uso residenziale, commerciale per la vendita al dettaglio «in conformità con quanto disposto dal piano commerciale» (fino a 400 metri quadrati) e all’ingrosso (fino a 400 metri quadrati), direzionale, artigianale di servizio (fino a 800 metri quadrati), turistico e ricettivo, sportivo e tempo libero e infine servizi pubblici o privati di uso pubblico.
In questi venticinque anni le proposte sono state decine: fare dell’ex ospedale la sede dell’Università della terza età di Asti (UTEA), o trasformarlo in una struttura di cohousing o student housing, vista la vicinanza con il polo universitario Astiss. Adesso è arrivato il grattacielo caro all’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), capitanata ad Asti da Carlo Fornaca. Il progetto è redatto dagli studenti del Politecnico, e l’ANCE lo acquisisce in attesa di trovare i soldi necessari per costruirlo.
Andrea Giaccone, deputato leghista piemontese, ha fatto un paragone con Bilbao, dove «hanno costruito il Guggenheim e la gente adesso accorre a visitarlo». Anche l’assessore regionale alla Sanità Federico Riboldi (Fratelli d’Italia) si è schierato a favore dell’opera: «Abbiamo gli strumenti normativi per intervenire come stiamo facendo a Biella e Novara», ha detto. «Esiste anche la possibilità di conferire l’immobile al fondo Invimit e su questo stiamo ragionando con l’assessore al Patrimonio Gianluca Vignale». Il fondo di cui parla l’assessore regionale è gestito da Invimit SGR, una società partecipata al 100 per cento dal Ministero dell’Economia, che ha già operato l’anno scorso con la Regione per il recupero di sei stabili a Torino.
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Un palazzo nuovo, che non tiene la pioggia
Ma mentre si sognano strutture all’avanguardia nel “vecchio”, nel “nuovo” piove dentro. Non solo: sulla copertura originale in plexiglass mancano i dispositivi anticaduta che permetterebbero di ispezionarla. Uno dei progettisti dell’epoca, l’architetto Alberto Ghigo – in un’intervista al settimanale La Nuova Provincia – si è difeso. «Le accuse sono ingiuste e ignorano il contesto storico del progetto. Il progetto dell’ospedale risale al 1992 e i lavori sono iniziati nel 1996. In quegli anni non si parlava di “bombe d’acqua” o dei fenomeni meteorologici eccezionali che vediamo oggi», ha detto.
Secondo Ghigo sarebbe mancata anche la manutenzione da parte dell’ASL in questi anni, così come le linee vita, cioè l’accesso al tetto per le ispezioni: «Le linee vita per gli operatori, sul tetto, imposte dalle norme successive, non erano previste né richieste nel 1996. Era responsabilità dell’ASL, come qualsiasi buon proprietario di casa, aggiornare la struttura alle nuove norme e installare le linee».
Così adesso per andare a vedere dove si è rotto il plexiglass che compone il tetto del Massaia bisogna tirare fuori 100 mila euro tra ponteggi o autogru. Un problema di copertura che non è nuovo nella città che ha visto il crollo della controsoffittatura del tetto della piscina comunale lo scorso febbraio. Costruzione più o meno della stessa epoca dell’ospedale. A esser maligni, verrebbe da chiedersi: ma come si lavorava una ventina di anni fa?
Se tutto andrà come deve, quindi, al posto del vecchio ospedale abbandonato da vent’anni sorgerà una sorta di tour Eiffel in salsa astigiana, invece al nuovo ospedale continueranno a comparire file di bidoni dell’immondizia per contenere l’acqua che cola dal tetto.
Asti diventerà anche come Bilbao. Ma nel frattempo, chissà quale delle due strutture farà più parlare di sé?
Questa puntata di L’Unica Asti termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.
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