Ad Asti la lotta ai piccioni si fa anche con i fucili

Ad Asti la lotta ai piccioni si fa anche con i fucili
Foto: Pixabay

L’Unica Asti fa parte di un nuovo progetto di newsletter locali, che parte da quattro province del Piemonte.

Se vuoi saperne di più qui trovi la pagina principale.

Pensi ci sia una storia di cui ci dovremmo occuparci?

Faccelo sapere qui

Si dice che giocare a scacchi con un piccione sia impossibile: farà cadere tutti i pezzi, sporcherà la scacchiera e poi se ne andrà con il petto in fuori convinto di aver vinto la partita. E allora, visto che non ci puoi giocare, tanto vale sparargli.

Nell’Astigiano almeno, molti devono pensarla così, visto che il primo corso per ottenere il patentino per tirare ai piccioni ha fatto registrare il tutto esaurito: un centinaio di persone – tutte in possesso di porto d’armi e permesso di caccia – hanno affollato la sala del Consiglio provinciale in un mercoledì di fine agosto con l’obiettivo di capire come, quando e se avrebbero potuto aprire il fuoco. Sold out anche il secondo appuntamento, lo scorso 4 settembre, tanto che la Provincia ha già programmato una terza data.

Tutto è cominciato quest’estate, quando la Provincia di Asti ha censito il numero di piccioni su tutto il territorio e si è messa le mani nei capelli. In alcune aree della città ne hanno contati 14 mila per chilometro quadrato. Sono infestate soprattutto le aree della stazione ferroviaria o quelle del centro cittadino, ma non scherzano neanche i paesi della provincia: a Castelnuovo Don Bosco, i piccioni sono diecimila per chilometro quadrato, a Isola d’Asti sono quasi tremila, 1.900 a Nizza Monferrato, 1.800 a Bubbio e Monastero Bormida.

È scattato così il “Piano di contenimento”, approvato all’unanimità dal Consiglio provinciale: «Nei centri abitati verranno installate delle gabbie di cattura in punti strategici di maggiore concentrazione», ha spiegato il consigliere con delega alla caccia, Davide Migliasso. Fuori dalle città partiranno invece le fucilate: sarà consentito l’abbattimento da parte degli agenti di vigilanza faunistica e di chiunque abbia un porti d’armi e un patentino che, dopo aver frequentato uno degli affollatissimi corsi tenuti dalla Provincia, autorizza a premere il grilletto tenendo il piccione nel mirino. Le guardie venatorie vigileranno sull’andamento del Piano.

Ovviamente non sono mancate le polemiche tra chi vorrebbe metodi di contenimento più “razionali” e a chi invece va bene tutto, pur di non veder più in giro i piccioni e la loro sporcizia. «Esistono metodi meno crudeli e invasivi che non sono stati presi in considerazione», ha detto ad esempio Giuseppe Sammatrice, attivista del circolo SEQUS (Sostenibilità, Equità, Solidarietà) di Asti. E poi «in una città inquinata come Asti, il guano dei piccioni è l’ultimo dei problemi», hanno aggiunto gli attivisti del circolo.

Ad Asti – si legge in un un comunicato del SEQUS – «si tollera un traffico urbano soffocante, si ignora la qualità dell’aria, si progetta una nuova tangenziale devastante – colline sventrate, aziende agricole cancellate – in nome di uno sviluppo che non sviluppa, ma consuma. Il paradosso è evidente: combattiamo i piccioni in nome del decoro, ma non vediamo il degrado ben più grave che noi stessi produciamo. Le polveri sottili per esempio (PM2.5, PM0.1), invisibili ma letali, entrano nei nostri polmoni e nel nostro sangue, colpiscono bambini, anziani, lavoratori. Ma fanno meno notizia delle “cacche” sulle panchine. Il guano non uccide: lo smog sì».

Parlando dei metodi alternativi, Sammatrice ha citato «mangimi sterilizzanti, controllo selettivo dei nidi e sistemi di dissuasione non cruenti», ma non si limita alle parole. Il SEQUS ha organizzato un sit-in contro il “western astigiano” davanti alla sede della Provincia. Un’iniziativa che ha sollevato l’abituale sarcasmo del presidente Maurizio Rasero, che con gli attacchi dell’associazione aveva già avuto a che fare nei panni di sindaco, per una questione di platani abbattuti: «Rispetto ai pochi fanatici che si contavano sulla punta delle dita di una mano in altre iniziative, questa volta si sono impegnati e devono aver scomodato amici che hanno fatto chilometri per venire ad Asti. Speriamo abbiano preso un caffè in un bar o pranzato in un ristorante», ha detto Rasero.

I precedenti poco incoraggianti

Se gli animalisti insistono sulla crudeltà dell’operazione, altri specialisti contestano l’efficacia stessa del provvedimento. Paolo Squassino, uno dei veterinari astigiani più conosciuti nella zona, ha detto che Rasero & Co. non hanno preso in considerazione il «grado di intelligenza» dei volatili presi di mira. «Qualora venisse attuato il folle progetto della “caccia al piccione”, ma solo nelle zone fuori città – ha spiegato – nel giro di brevissimo tempo questi animali si terrebbero a debita distanza dai cacciatori e dove si recherebbero per essere al sicuro? Negli unici posti dove non possono venire uccisi, cioè nel centro della città».

Non che la sorte dei piccioni cittadini sia molto diversa, peraltro. Gli animali finiti nelle “gabbie di cattura”, infatti, saranno sottoposti a traslocazione cervicale: un modo elegante per descrivere l’azione di chi dovrà tirar loro il collo. «Non entro nel merito perché non è che esistano molte modalità differenti per sopprimere una specie di quel tipo lì», ha commentato Migliasso.

Quanto ai metodi alternativi, il consigliere – forte della sua esperienza di sindaco di San Damiano d’Asti – li liquida in poche parole come uno spreco di tempo e denaro: «Abbiamo speso dei soldi, ma senza un ritorno. Anzi, il problema della presenza di piccioni è drasticamente aumentato».

Da sempre, la LIPU (Lega italiana protezione uccelli) ha contestato la lotta indiscriminata ai piccioni, sottolineandone la sostanziale inefficacia. «Già con la giunta Florio nei primi anni 2000 erano già stati portati avanti piani di contenimento ma non hanno mai funzionato granché perché si contrasta il problema a valle invece che a monte», ha ricordato Angelo Rossi, attivista dell’associazione.

In uno studio del 2016, intitolato “Il piccione di città, strategie per la gestione”, la LIPU ha prodotto un lungo elenco di azioni finite nel nulla: «Ricordiamo in particolare l’esempio di Barcellona: a fronte della cattura e uccisione di 108.193 piccioni, la densità non diminuì (948 individui per chilometro quadrato nel 1983, contro i 940 del 1991) […] Nonostante le quote significative di piccioni eliminati, entro quattro giorni dalla cattura il livello della popolazione torna al livello iniziale e anche una riduzione dell’80 per cento del numero di alcuni gruppi fallisce nel giro di poche settimane».

Secondo il report, «le ragioni di questi fallimenti sono indotte dalla mobilità dei piccioni e dall’immigrazione di individui dalle zone circostanti, dalla riduzione della mortalità naturale e l’aumento dei ritmi riproduttivi dei superstiti, che insieme concorrono a un rapido recupero della popolazione».

Il fatto è che i colombi proliferano dove c’è cibo in abbondanza e nell’Astigiano non manca: «In città, nonostante l’ordinanza ancora valida della giunta Galvagno di non dare da mangiare agli uccelli il fenomeno è ancora diffuso», ha spiegato l’attivista Angelo Rossi a L’Unica. Per non parlare poi della «fascia rurale» che circonda la città. «Con le moderne tecniche di trebbiatura almeno un 30 per cento di prodotto rimane sul campo. Un banchetto per gli stormi di uccelli e anche dei piccioni».

Secondo l’associazione, bisogna intervenire su queste questioni e non a fucilate: «Il fucile risolve davvero poco oltre a essere pericoloso per tutti, sembra di più una mossa propagandistica più che una reale soluzione», ha aggiunto Rossi. «Non sono animali di serie B: al Centro recupero di Tigliole abbiano anche una voliera per colombi. Se sono feriti, curiamo anche loro. Per risolvere il problema bisogna contenere le nascite e non corrergli dietro con il fucile in mano quando sono adulti».

Se questa newsletter ti è stata inoltrata, puoi iscriverti cliccando qui:

📨 Iscriviti

Le reazioni sul web

La vicenda ha varcato i confini della città per sbarcare nel mondo variegato del web. Se il giornalista Andrea Scanzi, sui social, parla esplicitamente di «rincoglionimento generale», il comico astigiano Turbopaolo (oltre 200 mila follower su Tiktok e più di 345 mila su Instagram) ha pubblicato due reel ispirati alla vicenda: nel primo, finge di venir colto di sorpresa da un gruppo di cittadini alle prese con fucili e piccioni, nel secondo, si improvvisa istruttore delle “teste di cuoio” astigiane pronte per essere mandate in trincea contro gli odiati volatili.

Più complesso l’intervento dell’Associazione nazionale per la tutela dell’ambiente e della vita rurali che – dopo essersi detta «totalmente d’accordo» con la Provincia – si è lanciata in una lunga requisitoria in cui accusa di “specismo” chi si schiera con i piccioni dimenticando altri animali: «Per esempio del passero pare non interessare a molti animalisti, eppure in molte zone è del tutto scomparso», ha scritto l’associazione. «Se tutti gli animali meritano rispetto e protezione, come nel caso dei piccioni domestici nati appena 5.000 anni fa, allora perché non avrebbero diritto alla vita e a loro basilare ruolo in natura anche topi e ratti esistenti da 34 milioni di anni, le zanzare da 40 milioni, le mosche da 65 e gli scarafaggi esistenti addirittura da 300 milioni di anni?».

Il ricorso al Tar

Così si inizierà a sparare, solo nelle aree extraurbane, e tenendo presente due requisiti essenziali. Il primo è la dimostrazione dei danni subiti dai piccioni (semi beccati in campo e affollamento sulle mangiatoie degli animali da allevamento con rischio di trasmissione di patologie ne sono l’esempio più comune). Il secondo è la dimostrazione di aver provato prima con tutti gli altri metodi non cruenti (gabbie, mangime sterilizzato, dissuasione sonora, occlusione di accessi) che non hanno dato risultati.

Solo allora, dopo aver messo per iscritto questi due requisiti, gli agricoltori possono richiedere l’intervento in autodifesa dei cacciatori autorizzati e solo sui terreni di proprietà o in affitto. «Il problema del proliferare dei piccioni non colpisce solo l’Astigiano, dalle province limitrofi ci stanno chiedendo copia del nostro Piano per poterlo attuare a loro volta», ha detto a L’Unica il consigliere Migliasso. Un documento che, nonostante i “paletti”, non soddisfa le associazioni animaliste che hanno fatto ricorso al Tribunale amministrativo regionale (TAR) per il ritiro della delibera provinciale.

Questa puntata di L’Unica Asti termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.

Ti consigliamo anche:

🗣️ Il carcere di Torino secondo l’ex garante dei detenuti (da L’Unica Torino)

🚜 L’agricoltura italiana va bene, ma non traina l’economia come dice il ministro Lollobrigida (da Pagella Politica)

🔎 Scopri come verificare le notizie con il corso di DORA, la piattaforma di videocorsi di Pagella Politica e Facta