Sanità privata, il labirinto delle tariffe: partono gli sconti senza l’ok della Regione
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I centri della sanità privata sono liberi di praticare le tariffe che vogliono. Possono scegliere le categorie a cui offrire uno sconto sulle visite specialistiche o sugli esami diagnostici: potrebbero farlo con chi è in pensione, con chi è ancora minorenne, con chi ha un reddito basso, con chi è cliente da anni e persino – per assurdo – con chi porta i vestiti o i capelli in un certo modo. Invece la “tariffa agevolata”, così viene definito il privilegio dello sconto, viene concessa dai centri convenzionati con la Regione a chi presenta la prescrizione del medico di famiglia. Ovvero a chi è titolato ad avere visite ed esami nel regime pubblico ed è costretto a pagarseli perché esasperato per i tempi di attesa troppo lunghi del Servizio sanitario nazionale (SSN).
A Torino le strutture convenzionate presentano una babele di offerte, e si deve essere dotati di pazienza per orientarsi alla ricerca della migliore sul mercato per prenotare controlli che spesso sono urgenti, anche se la sanità pubblica non riesce a garantirli: risonanze magnetiche, TAC, radiografie, visite oculistiche, dermatologiche, cardiologiche.
Nei centri privati convenzionati con la Regione, quindi, la riduzione viene applicata quando il paziente è in possesso della prescrizione del medico di base. Ma a quanto ammonta lo sconto? Quindici, venti per cento, a seconda dei casi. Non esistono regole: ci sono esami per cui è previsto, altri per cui non lo è. Centri che lo comunicano su svariate visite o esami, altri per cui la riduzione è quasi un’eccezione. In alcuni casi, i gentili operatori dei centralini – contattati da L’Unica – spiegano che dipende dalla disponibilità dei medici a praticare la tariffa ridotta, altri chiariscono che è un modo per andare incontro a chi ha difficoltà a prenotare la visita o l’esame con il servizio pubblico. Tempi d’attesa biblici in ospedali e ambulatori dell’ASL? Vieni da noi, appuntamenti veloci e prezzi in saldo. Nessuno la mette proprio così, ovviamente, ma la sostanza è questa.
Un sistema ibrido all’insaputa della Regione
Che la tariffa agevolata sia una prassi consolidata in città è noto (quasi) a tutti, basta parlare con i sindacati, con i pazienti ormai avvezzi a spazientirsi fra telefonate e app di prenotazione nella speranza di trovare la prestazione in tempi accettabili. Confermano i medici di famiglia, i quali raccontano il refrain dei loro pazienti: se ho la sua ricetta invece di impazzire con il cup vado nel privato che mi fa lo sconto e mi dà l’appuntamento in pochi giorni.
A non conoscerne l’esistenza, incredibilmente, è proprio la Regione. Almeno così ha dichiarato a L’Unica il direttore regionale della Sanità Antonino Sottile: «Non ne so nulla», ha detto a caldo. Peraltro, ha aggiunto, «è un sistema che non mi piace». La dichiarazione “ufficiale” messa nero su bianco è arrivata a L’Unica qualche giorno più tardi: stringata, diplomatica, ma non meno chiara: «La normativa non prevede una tale pratica, ammesso che avvenga. Difatti le norme sanciscono che i percorsi della libera professione e del SSN devono essere separati». A dover vigilare su questi comportamenti sono le ASL, ha precisato Sottile, annunciando l’intenzione di chiederne conto: «Se questa prassi dovesse verificarsi, la Regione interverrebbe attraverso le ASL». Sovrapporre due canali che dovrebbero restare separati, è la sintesi del direttore regionale, è cosa che non s’ha da fare. L’ibrido lascia spazio a confusione e, a voler pensare male, a possibili irregolarità.
Tariffa agevolata all’insaputa della Regione, dunque. Come faccia il direttore regionale della Salute Sottile a non essere al corrente è domanda lecita, visto che la prassi va avanti da tempo. Ma pure ammettendo che la Regione davvero non conosca le strategie commerciali dei centri che ha accreditato (la norma dell’accreditamento definisce i requisiti strutturali, tecnologici, organizzativi e gestionali per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private, classificando ogni settore in livelli di merito, che vanno dalla C della sufficienza alla A dell’eccellenza), la tariffa scontata viene comunque applicata nella maggioranza dei centri convenzionati più frequentati di Torino.
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Le verifiche sul campo
Gli esempi citati in questo articolo sono stati monitorati direttamente da L’Unica attraverso chiamate telefoniche nel mese di novembre. L’aspetto più curioso è che in molti casi gli operatori del centralino non comunicano l’esistenza della tariffa agevolata, per saperlo bisogna chiedere. Talvolta la domanda sull’esistenza della prescrizione arriva al momento del pagamento. Una prassi piuttosto discriminatoria, verrebbe da dire: se il cittadino non sa e non si presenta alla cassa con la ricetta del medico gli viene applicata la formula piena.
Il 6 novembre abbiamo contattato il centralino del CDC, 37 Centri in Piemonte, gruppo leader incorporato di recente nel colosso sanitario Affidea (391 centri in quindici Paesi europei, di cui 60 in Italia; 16 mila professionisti, venti milioni di esami all’anno). CDC, acronimo di Centro Diagnostico Cernaia, è da anni specializzato nell’erogazione di prestazioni di diagnostica avanzata, specialistica ambulatoriale, analisi di laboratorio, fisioterapia e riabilitazione, diagnosi e cura del cancro.
Abbiamo chiesto quanto costa un’ecografia dell’addome completo in regime privato, un controllo che dovrebbe includere anche l’analisi delle anse intestinali. La tariffa è di 219 euro. L’esame è disponibile pochi giorni dopo. È prevista una tariffa agevolata? La risposta è «no, nessuno sconto». E se invece ci si limitasse all’eco dell’addome completo? In questo caso lo sconto c’è, 92 euro. Abbiamo domandato quali siano i motivi della scelta. Questa la risposta: «Noi siamo accreditati con la sanità nazionale, se i pazienti non dovessero trovare con il SSN, abbiamo questa nostra tariffa che abbatte i costi rispetto al privato puro».
Stesso giorno, stesso esame. Questa volta L’Unica ha chiamato il Gruppo LARC, una rete di poliambulatori con sede legale in corso Venezia, punti prelievo e anche un centro odontoiatrico che si sta lentamente espandendo con un’ultima apertura, nel 2024, nella zona precollinare della Gran Madre. Il centralino comunica la tariffa dell’eco all’addome completo, 92 euro, ma senza alcuna agevolazione con la prescrizione del medico di famiglia. Lo sconto invece viene praticato su TAC e risonanze a condizione che ci sia la ricetta del medico di medicina generale. «Questo è proprio il senso della tariffa agevolata», ha spiegato l’operatore del centralino.
Al Gruppo LAMAT, cinque poliambulatori in città, altri dieci in provincia di Torino, abbiamo provato a prenotare un emocromo e una visita dermatologica. La tariffa agevolata in un primo tempo non viene nominata, ma a domanda precisa arriva la conferma: lo sconto applicato sui prelievi è del 20 per cento. Stessa riduzione con la prescrizione del medico di medicina generale per una visita cardiologica, per le ecografie, ma niente per la visita dermatologica. Perché? «Dipende dai medici», spiegano al centralino.
Ancora il CDC, questa volta per una risonanza magnetica alla spalla destra. In questo caso arriva la domanda: «Ha la prescrizione del medico di base?». Alla risposta affermativa comunicano che il costo è di 137 euro. Se la prescrizione è dello specialista, si pagano 20 euro in più.
Possibile che si sia creato un corto circuito imbarazzante fra Regione, ASL e centri privati? L’Unica ha contattato la presidente della Commissione Sanità di Confindustria, Alberta Pasquero, chiedendo il senso di questa pratica e domandando se l’assessorato sia informato. In un primo tempo disponibile a suggerire la persona più adatta a sciogliere il nodo, Pasquero non ha poi dato risposte.
Il percorso di tutela, questo sconosciuto
Per quanto lo sconto a chi presenta la prescrizione del medico di base venga presentato come uno strumento per venire incontro ai cittadini spazientiti dalle attese infinite nel SSN, è chiaro che l’obiettivo è la fidelizzazione del cliente nel circuito del privato puro, che continua ad aumentare il suo fatturato, una crescita che va di pari passo con le difficoltà del pubblico a far fronte alla richiesta di prestazioni da parte dei cittadini. Peraltro, come dimostrano le infinite segnalazioni inviate alle associazioni che offrono consulenze ai cittadini in tema di tutela dei diritti in sanità, sono pochissimi i cittadini che sono al corrente dell’esistenza del “percorso di tutela”, che la legge ha introdotto da più di un quarto di secolo (decreto legislativo 124 del 29 aprile 1998, articolo 3) e che impegna le ASL a comunicare un appuntamento nel rispetto della classe di priorità riportata nell’impegnativa del medico.
Quando i tempi di attesa superano i tempi indicati sulla ricetta, il cittadino ha diritto a chiedere l’attivazione di questa garanzia che permetta di rispettare i tempi prescritti dal medico. Peccato che la stragrande maggioranza non ne sappia nulla, si arrabbi, si faccia prendere dallo scoramento ma poi, a meno che il portafoglio familiare non lo consenta, finisca per ripiegare sul privato. Che con le tariffe agevolate ha in mano una carta in più per attirare pazienti sui suoi servizi.
C’è anche chi getta la spugna, come attesta l’ultimo report della Fondazione GIMBE (Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze), l’organizzazione indipendente senza scopo di lucro che si occupa di promuovere la cultura basata sulle evidenze scientifiche, sostenere la qualità e la sostenibilità del SSN, promuovere formazione e monitoraggio. Secondo lo studio, oltre 391 mila piemontesi nel 2024 hanno rinunciato a una o più prestazioni sanitarie, il 9,2 per cento, in aumento dello 0,4 per cento rispetto all’anno precedente. Secondo il rapporto della Fondazione pesano liste d’attesa e costi, e gioca un ruolo anche l’offerta privata.
Ma torniamo al percorso di tutela. Sul sito dell’ASL Città di Torino si trovano le indicazioni per attivare “la terza via” scrivendo una mail all’indirizzo
tempiattesa@aslcittàditorino chiarendo che non è stato possibile effettuare una prenotazione con il SSN nel rispetto della classe di priorità riportata nell’impegnativa. Naturalmente non è tutto rose e fiori. L’ASL si impegna a comunicare un appuntamento entro i tempi ma estendendo la ricerca a tutto il territorio regionale. Estremizzando, ma l’ipotesi non è certo da escludere, a un ottantenne torinese potrebbe essere proposto un appuntamento a Domodossola, 180 chilometri lontano da casa sua. Chiaramente una beffa. Nel caso in cui il cittadino rifiutasse la prima offerta «verrebbe meno il relativo ambito di garanzia della classe di priorità assegnata». E il rifiuto equivale alla rinuncia al percorso di tutela, che quindi è da intendersi concluso. Prendere o lasciare, dunque.
Un’altra nota è scoraggiante: così come regolamentato dalle disposizioni regionali, si chiarisce che «in nessun caso può essere autorizzato e, di conseguenza, riconosciuto, il rimborso dei costi sostenuti in ordine alle visite ed esami eseguiti privatamente dall’interessato, in contrasto con la normativa».
Ma non sempre si devono fare chilometri. A volte la risposta arriva. Basterebbe sapere che esiste questa possibilità, se solo la sanità piemontese facesse di più per informare i suoi cittadini. La privatizzazione, osserva la Fondazione GIMBE, «non è un progetto dichiarato, ma un processo spontaneo e quotidiano, proporzionale all’indebolimento del Servizio sanitario nazionale. Il risultato? Un sistema “misto”, mai programmato, che trasforma i diritti in privilegi».
Questa puntata di L’Unica Torino termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.
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