Tre soluzioni per il futuro della sopraelevata di Genova

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Il 25 agosto scorso la sopraelevata genovese ha compiuto sessant’anni. Eppure, il suo destino non è mai stato così incerto: tra quattro anni, se tutto procede secondo i piani, Genova si potrà attraversare in auto, dalla Lanterna alla foce del Bisagno, con il cosiddetto “tunnel subportuale”, nome molto tecnico per indicare un’opera che costerà oltre 1,1 miliardi di euro, contro i 700 milioni previsti in origine. Un conto che i (pochi) detrattori dell’opera ritengono esorbitante, soprattutto considerando che il tunnel sarà lungo appena 3,4 chilometri, nel tratto di attraversamento del porto, e con i raccordi alla viabilità urbana e autostradale non arriverà oltre i 4,2 chilometri, cioè quasi 262 milioni al chilometro.
L’appaltatore, che è Autostrade per l’Italia (ASPI), vorrebbe recuperare il sovrapprezzo tagliando le spese previste dall’accordo di risarcimento per la città dopo il crollo del ponte Morandi, tra cui, per esempio, la manutenzione e la messa in sicurezza di viadotti e impalcati che sono 620 nel territorio comunale. Compresi nel conto, almeno per ora, ci sono pure il parco della Lanterna, il parco della Foce e il parco della Mura, per un totale di 3,2 ettari di zone pedonali e 4,7 di aree verdi, nell’ambito di un tentativo di ricucire in qualche modo un altro pezzo di città con la sua linea costiera. L’opera, progettata dallo studio di Renzo Piano, sarà il primo tunnel subacqueo d’Italia e il più grande d’Europa.
Ultimo dettaglio per gli appassionati di raffronti, il tunnel sarà il quarto al mondo per ampiezza del diametro. Le gallerie saranno due, ciascuna delle quali disporrà di doppia corsia di marcia e di una corsia di emergenza. Il diametro complessivo dello scavo sarà di 16 metri (la stessa larghezza della sopraelevata) e la profondità massima sotto il fondo marino sarà di 45 metri. Se tutto procede secondo quanto previsto, l’opera dovrebbe essere conclusa nel 2030, con un anno di ritardo rispetto ai calcoli iniziali. E vale la pena qui ricordare, a futura memoria, che i cantieri a San Benigno sono stati aperti il 4 marzo 2024.
Con tutto questo, la “vecchia” sopraelevata che ha salvato dalla paralisi il traffico della città per sei decenni rischia di rimetterci i piloni, almeno in parte.
La tentazione di demolire
Il primo a parlare dell’ipotesi di abbattimento della strada urbana forse più panoramica d’Europa era stato l’ex sindaco, tuttora commissario per la costruzione del tunnel, Marco Bucci, il quale a margine di un sopralluogo al Waterfront di Renzo Piano, nella primavera 2023, aveva anticipato che la demolizione parziale della sopraelevata sarebbe stata inevitabile, oltre che auspicabile. All’epoca si pensava infatti di liberare dalla “barriera volante” tutto il tratto fronte mare del centro storico della città: dalla Stazione marittima a piazza Cavour. L’ipotesi non dispiaceva nemmeno all’architetto Piano, il quale aveva pure proposto un referendum tra i genovesi per decidere il destino della strada.
Ma, nel caso, lui come voterebbe? A suo parere, si dovrebbe mantenere il tracciato da San Benigno alla Stazione marittima, sia per ragioni funzionali, perché smaltisce gran parte del traffico che proviene dall’autostrada, ma soprattutto per ragioni estetiche e persino storiche. «Subito dopo aver superato gli edifici di San Benigno, il Matitone, si apre una visione meravigliosa: sulla sinistra tutta la città e sulla destra tutto il porto», aveva dichiarato l’archistar nel luglio 2023 al Secolo XIX. «Quale città ha un arrivo così bello? Da San Benigno è un tratto di un chilometro e mezzo che resterà per sempre come prova di un’opera di ingegneria importante, che ha un valore storico, insomma la testimonianza del passato resta, e non sarà solo un piccolo frammento. Quel tratto lì va tenuto, senza dubbio».
L’architetto, che prima con l’acquario e il Bigo, poi con il Waterfront e la nuova torre Piloti ha lasciato la sua inconfondibile cifra stilistica nella trasformazione del volto della sua città natale, aveva manifestato una certa preferenza per abbattere anche il tratto di Levante della sopraelevata, quello compreso tra piazza Cavour e la Foce. Sostanzialmente per due ragioni: riportare all’onore del mondo le mura secentesche che proteggevano l’affaccio al mare della città e che la costruzione della sopraelevata proprio a ridosso aveva mortificato, e il recupero di grandi spazi da utilizzare come cerniera tra il suo Waterfront e corso Aurelio Saffi, da trasformare in un viale di palme fino al Porto Antico.
Favorevoli e contrari: il confronto tra gli architetti
Ma negli ultimi due anni sono cambiate diverse cose: Bucci ha lasciato la poltrona di sindaco per diventare presidente della Regione, pur restando commissario per il tunnel, ma ha corretto il suo orientamento sull’abbattimento della sopraelevata. «Il tunnel subportuale, lo diciamo chiaro e tondo, non è in competizione con la sopraelevata», sostiene ora. Autostrade per l’Italia, inoltre, sta studiando modifiche al progetto per evitare un inconveniente mica da poco: secondo i piani originali, infatti, la sopraelevata si sarebbe dovuta demolire parzialmente nel tratto centrale, davanti al centro storico quindi, proprio per consentire i lavori di scavo del tunnel. Con conseguenze disastrose per il traffico. Una botta paragonabile a quella assestata dal crollo del ponte Morandi. In sostanza, la città verrebbe spaccata in due con una sola vera alternativa di attraversamento veloce: l’autostrada, già ora sovraccarica. Un rischio che la sindaca Silvia Salis ha ben presente, insieme con i contraccolpi che potrebbe provocare l’imprevista lievitazione dei costi per la realizzazione del tunnel. In diverse occasioni Salis ha ribadito che almeno fino alla fine dei lavori per il tunnel la sopraelevata deve restare operativa. E poi si vedrà se sarà il caso di abbatterla, ma soltanto dopo aver analizzato i flussi del traffico di entrambe le infrastrutture.
Il dibattito, per quanto prematuro, è aperto da mesi.
L’architetto Vittorio Grattarola, già assessore comunale al Traffico nella giunta Burlando (1992-93), progettista del centro commerciale Fiumara e della tensostruttura Le Vele davanti al palasport (nonché autore dei testi del comico Maurizio Crozza), non nasconde il suo stupore. «La sopraelevata è stato uno strumento utile alla città per sessant’anni, però nel momento in cui le amministrazioni comunali hanno cominciato a lavorare sull’ipotesi del tunnel, a partire dalla giunta Pericu [1997-2007, ndr] in poi, penso che l’idea fosse quella di realizzare un’opera in sostituzione della sopraelevata per liberare il fronte a mare della città da quello che a tutti gli effetti è un viadotto autostradale di ferro e cemento davanti al cuore storico di Genova», ha dichiarato a L’Unica. «La funzione del tunnel, se ora si esclude il superamento della sopraelevata, diventa pertanto incomprensibile dal mio punto di vista: avere due assi di attraversamento che partono dallo stesso punto e arrivano nello stesso punto è totalmente illogico». Secondo Grattarola, la discussione oggi sembra essere «lievemente isterica. Non si capisce perché per quindici anni pensiamo al tunnel e improvvisamente, nel momento in cui lo stiamo realizzando, ci viene la nostalgia per questo viadotto. Molto romantiche le opinioni raccolte in difesa della strada, però la città cambia e quell’oggetto, soprattutto se visto dal basso è orrendo».
Di parere diverso è Alessandro Casareto, pure lui architetto, che agli albori del terzo millennio aveva messo su carta l’idea di un ponte panoramico per attraversare il porto, un’alternativa al tunnel che piaceva molto alla Confindustria di Duccio Garrone. L’ipotesi tramontò perché si prevedeva già che le navi da crociera sarebbero diventate sempre più imponenti e il ponte aveva un’altezza massima sotto le arcate di 60 metri: alzarla fino a 80 avrebbe complicato di molto le soluzioni per il collegamento a terra.

Il modello della High Line di New York
Alessandro Casareto, parlando con L’Unica, concorda con Grattarola sul fatto che la soprelevata, soprattutto nella parte di attraversamento del centro storico sia molto impattante, ma è convinto che sia meglio recuperarla come passeggiata ciclopedonale per mantenere quello che nell’immaginario genovese è il più bel biglietto da visita della città arrivando da ponente. Non a caso, Casareto è stato per anni il presidente di “A Compagna”, l’associazione che custodisce la “genovesità”, dal dialetto alla cucina, dalle tradizioni all’ambiente urbano. E forse per questo cita volentieri il poeta, giornalista, drammaturgo e grande promotore di Genova al di là dei suoi confini, Vito Elio Petrucci, il quale aveva scritto: «Una strada che vola: e la mia città che si mostra in “cinemascope” a chi guarda assetato di nuove prospettive l’anfiteatro glorioso».
Grattarola, per contro, segnala un’occasione persa: «Trovo strano che al progetto del tunnel, forse perché se ne occupa ASPI, non sia mai stato affiancato un piano per ridisegnare il fronte a mare della città da San Benigno a San Lorenzo, privato di quell’ingombro e riadattato in modo sostenibile, pedonale, più verde», ha detto a L’Unica. «Mi ricordo che l’architetto Bruno Gabrielli, molto tempo fa, ipotizzava addirittura una “rambla” in via Gramsci, ossia un lungo fiume verde che potesse scorrere davanti al centro storico e ingentilire un fronte urbano che ormai è quasi del tutto restituito alla città. Ebbene, nemmeno adesso che si sta costruendo il tunnel qualcuno prova anche soltanto a ipotizzarlo». Secondo Grattarola, se ci fosse un progetto simile «anche i dubbi dei nostalgici della sopraelevata sarebbero minori. Quando si sostiene la tesi della demolizione parziale, secondo me non si hanno bene in mente le geometrie: nessuno ha mai disegnato le rampe di discesa della sopraelevata, per esempio, in Darsena o alla Stazione marittima. Si parla così, tanto per dire: in quelle zone bisogna scendere a terra. Ma come? Questo per ora nessuno lo sa. Mi sembra una discussione un po’ da autobus. Bisognerebbe invece elaborare delle soluzioni e quelle sì farle oggetto di dibattito e di confronto».
Casareto invece preferirebbe salvare la parte centrale del tracciato, magari con una soluzione sull’esempio dell’High Line Park, ex ferrovia sopraelevata a Manhattan trasformata in parco pubblico: risanare e alleggerire, per quanto possibile, anche con qualche effetto ottico particolare.
«A me piace “l’idea newyorkese” ossia trasformare la sopraelevata, almeno dalla Stazione marittima a piazza Cavour, in una passeggiata verdeggiante ciclopedonale», ha spiegato Casareto a L’Unica. «Vedrei anche una soluzione in chiave artistica per ridurre l’impatto della struttura, che effettivamente dal basso non è certo bella da vedere: penso a una gara internazionale per trasformare i piloni in opere d’arte e potrebbe essere una buona idea trovare il modo di alleggerire le sponde del manto stradale con l’impiego di strisce di colori, in tono con l’ambiente: un trucco da scenografi per “tagliare a fettine” elementi troppo invadenti». Secondo l’architetto, così, il viadotto diventerebbe, anche visto dal mare, «un oggetto di arredo urbanistico in chiave artistica».
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Le critiche al tunnel
Grattarola ha diverse altre perplessità sul progetto. «Lo sbocco del tunnel è previsto in viale Brigate Partigiane, più a monte rispetto alla sopraelevata, e questo significa intervenire in una zona in cui è stata appena conclusa la sistemazione delle aiuole in stile anni Trenta sulla copertura del Bisagno: sarebbe tutto da rifare», ha detto. Per quanto riguarda il tratto di Levante della sopraelevata Grattarola dice di avere le idee meno chiare perché molto dipende da che cosa succederà ai cantieri delle riparazioni navali. «Nel Blueprint di Piano (la “visione progettuale” che l’archistar genovese ha donato alla sua città nel 2015, ndr) era previsto anche un canale con un percorso pedonale che unisse il Waterfont al Porto Antico. Ecco, forse un tratto della sopraelevata potrebbe essere usato a quello scopo». Inoltre, ha concluso l’architetto Grattarola, «il progetto del tunnel a oggi prevede un collegamento con la galleria delle Casacce, demolendo il raccordo con la sopraelevata. Bucci sostiene di avere in tasca una soluzione che consenta di mantenere il doppio collegamento, ma ne parla da un anno e non ha mai fatto vedere un disegno. E se non ci fosse, la sopraelevata comunque in quel punto si dovrebbe interrompere. Anche per questo mi sembra incomprensibile, a oggi, parlare di referendum».
Casareto è d’accordo solo in parte. «È prematuro parlarne, certamente, però il tempo l’abbiamo per progettare soluzioni e magari sottoporre i bozzetti preliminari al giudizio dell’opinione pubblica e dei tecnici, anche con un sondaggio», ha spiegato a L’Unica.
La terza via: lasciarla com’è
Esiste però una terza ipotesi, per niente peregrina, tanto che nel 2013 aveva vinto il concorso di idee bandito dall’associazione Amici della sopraelevata, dalla Camera di Commercio e dall’Ordine degli architetti proprio per immaginare il reimpiego della strada una volta costruito il tunnel. L’idea, all’epoca risultata vincente, è dell’architetto Jacopo Baccani, il quale ha immaginato di invertire i fattori. E per assurdo il prodotto cambia, eccome: nessuna demolizione, sulla sopraelevata continui pure a scorrere il traffico automobilistico leggero e semmai pedonalizziamo (o quasi) via Gramsci.
L’architetto, intervistato sul sito d’informazione GenovaQuotidiana, dice che nel 2013 «sul dibattito stendeva la sua ombra la novità-feticcio del momento: la High Line di New York […] La mia proposta partì allora proprio dal rifiuto dell’ineluttabilità di ritrovarci con una “high line di basilico”, per approdare alla seguente formula: portare sulla sopraelevata il traffico di via Gramsci e liberare quest’ultima». Secondo Baccani era necessario provare a sfatare la similitudine tra i due “corridoi sospesi”. «Già la differenza di altezza (circa 7 metri la High Line, fra 10 e 11 la sopraelevata) ci fa intendere che se sulla High Line bastano due rampe per salire, per la sopraelevata è indispensabile l’ascensore». Inoltre, la High Line «segue un tracciato impossibile da percorrere in altri modi, essendo un susseguirsi di cavalcavia e interstizi fra proprietà private, mentre la sopraelevata si può tranquillamente costeggiare da un percorso parallelo per tutto il suo sviluppo: ne deriva che la visuale offerta dalla High Line è una sua peculiarità, quella dalla sopraelevata no».
Tanto vale ribaltare la prospettiva, dice Baccani. «Forse è il caso di tralasciare momentaneamente la sopraelevata per riconsiderare tutta la città antica e il suo affacciarsi sul porto: è così che salta agli occhi un grave ostacolo per i naturali flussi fra centro storico e fronte mare. Non la sopraelevata, facilmente sottopassabile, ma le sei trafficatissime corsie di via Gramsci, una cesura asfissiante e rumorosa».
Allora perché non continuare a utilizzare la sopraelevata come arteria di scorrimento veloce del traffico? Di conseguenza, via Gramsci – aperta solo ad autobus e fornitori – avrebbe bisogno di due corsie, e il resto dello spazio sarebbe da destinare allo svago e a nuove piantumazioni. «Questa sostanziale riorganizzazione dei flussi di traffico potrebbe dare seguito, a cascata, a una serie di altre opere, come la definitiva strutturazione di un terminal intermodale a Principe, il ridisegno di piazza della Commenda, la cancellazione del sottopasso di Caricamento».
Le contestazioni di sessant’anni fa
Nel mese di ottobre i cantieri del tunnel apriranno anche alla Foce. E si temono contraccolpi sul traffico. Pertanto, nella speranza che anche le due gallerie subportuali possano essere annoverate un giorno tra le grandi opere genovesi realizzate a tempo di record, è forse utile ricordare che la sopraelevata fu costruita in poco più di un anno e mezzo, tra il 12 febbraio 1964, giorno della posa del primo pilone, e il 25 agosto 1965, data dell’inaugurazione ufficiale. La prima auto attraversò il nuovo viadotto urbano il 6 settembre e soltanto un paio di anni più tardi, il 18 marzo 1967, venne collegato con un raccordo all’autostrada A7, Genova-Milano. Il ‘67 è lo stesso anno in cui venne inaugurato l’ormai famigerato ponte Morandi.
Il progetto della sopraelevata è stato firmato da un ingegnere napoletano di origine spagnola, Fabrizio De Miranda, affiancato dal genovese Ernesto Pitto e coadiuvato dall’ingegnere capo del Comune, Remo Datta, morto ultracentenario una decina di anni fa. Gli svincoli portano invece la firma di Luciano Mascia, padre dell’ex presidente dell’Ordine degli ingegneri e della scrittrice genovese, Donatella Mascia. Per la realizzazione del viadotto, la Società costruzioni metalliche Finsider impiegò 15 mila tonnellate di lamiere d’acciaio, 73 mila di calcestruzzo, demolì 300 mila metri cubi di edifici sul fronte del porto, oltre a 78 mila metri di sbancamenti. Venne sacrificato anche ponte Reale, passaggio che scavalcava via Gramsci per collegare palazzo Reale alle banchine del porto. Il presidente del Consiglio dell’epoca era Aldo Moro al quale la sopraelevata verrà intitolata nel 1979, quasi un anno dopo il sequestro e l’omicidio per mano delle Brigate rosse.
L’opera non venne accolta subito con favore da tutti i genovesi, anzi. All’epoca, l’assessore socialdemocratico Ivo Lapi, delegato dal sindaco della Democrazia Cristiana Augusto Pedullà, fu costretto, su suggerimento delle autorità di polizia, a procurarsi una pistola per l’autodifesa: gli telefonavano pure a casa di notte per protestare contro il rumore che proveniva dai cantieri.
E oggi molti invece le augurano almeno cent’anni di vita. Tecnicamente non impossibile, peraltro: la struttura d’acciaio, si calcola, dovrebbe resistere proprio per un secolo e la modalità costruttiva a sezioni agevola la manutenzione e la sostituzione degli elementi a blocchi, ove necessario, allungando così la vita dell’opera a tempo indeterminato. Salvarla o demolirla, dunque? Quanta fretta, il tempo di certo non manca.
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