Quando gli uomini si chiedono cosa vuol dire essere maschi

Quando gli uomini si chiedono cosa vuol dire essere maschi
Foto: Unsplash

«Per molti uomini parlare di come si sentono è difficile, nella maggior parte dei casi non sono abituati. Condividere come si sta nelle relazioni affettive, e non solo, permette di parlare della prevaricazione che ognuno esercita in vari modi e in vari contesti all’interno di un sistema patriarcale che non è più attuale e che mettiamo in discussione», ha detto a L’Unica Davide Bertolino, presidente del “Cerchio degli uomini”. Il gruppo fin dal ‘99 si riunisce per condividere esperienze e vissuti interrogandosi su cosa significhi essere maschi per sé stessi e per gli altri, tra stereotipi, modelli di riferimento e mutamenti sociali. Nato come gruppo di autocoscienza, oggi l’associazione “Cerchio degli uomini” è tra i più longevi spazi di condivisione sui temi della maschilità a livello nazionale.

Che cosa significa essere maschi

Gli incontri sono settimanali e coinvolgono un numero variabile di partecipanti, da un minimo di quattro a un massimo di 15 persone. «C’è chi è più assiduo, chi meno. Ma siamo un gruppo di pari, non c’è qualcuno che conduce», ha spiegato Bertolino, che ha iniziato a frequentare il “Cerchio” nel 2013. «Si inizia con un minuto di silenzio, poi chi vuole interviene raccontando la propria esperienza diretta, come si è sentito rispetto a qualcosa che gli è accaduto in settimana. Si parla in prima persona per evitare generalizzazioni, teorie e credenze, così ognuno parla di sé. Ma il “Cerchio” è per prima cosa un esercizio di ascolto».

I temi al centro delle condivisioni riguardano soprattutto il rapporto con il partner, i figli e i genitori, alcuni si avvicinano perché affrontano una crisi sul lavoro o la fine di una relazione: «È un percorso intimo e collettivo di confronto e cambiamento che si sviluppa attraverso un processo di decostruzione di come ci comportiamo e agiamo, questo può durare anni perché certi comportamenti abitudinari ci sfuggono». In ogni incontro, i partecipanti scelgono di non esprimere giudizi sulle condivisioni altrui. In questo modo, secondo Bertolino «imparano gli uni dagli altri».

La partecipazione dei giovani

In base alla sua esperienza, una delle principali questioni affrontate durante gli incontri è il meccanismo sociale e culturale per il quale gli uomini detengono un «potere asimmetrico» che limita il dialogo. «Ciò che emerge nel “Cerchio” è che in molti rapporti anziché una relazione affettiva ce n’è una di potere, che più che alla soddisfazione emotiva porta alla solitudine e alla rabbia». Il confronto su questi argomenti è intergenerazionale. Chi partecipa ha tra i 25 e gli 80 anni, con un’età media che dopo la pandemia da Covid-19 si è abbassata notevolmente, portando – secondo Bertolino – a una partecipazione giovanile più ampia che si contraddistingue per sensibilità e attenzione maggiori verso i temi della mascolinità e del maschilismo.

Quando Enrico si è unito ai cerchi di condivisione nel 2019 era il partecipante più giovane. «Cercavo un confronto sul ruolo del maschio all’interno della società», ha raccontato. «Il mio riferimento, quando ero adolescente, era l’uomo guerriero, poi sono entrato in contatto con i temi della decostruzione del maschile». L’aspetto che lo ha colpito di più è stata la possibilità di imparare dalle esperienze altrui. «Sentire le storie di persone più grandi, che si mettevano in discussione per migliorare le proprie relazioni e il loro modo di comunicare, sotto alcuni punti vista è stato terapeutico. Mi ha alleggerito raggiungere la consapevolezza che come uomini possiamo lasciare andare il potere che abbiamo nella società, scardinando il sistema in cui viviamo e che a molti sta stretto perché competitivo e prestazionale».

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Il lavoro dei centri per gli uomini autori di violenza

Dal 2005 il “Cerchio” aderisce al Coordinamento contro la violenza sulle donne della Città di Torino, che raduna i soggetti del territorio impegnati nel contrasto alla violenza di genere. Oltre ai cerchi di condivisione, l’associazione gestisce da diversi anni anche un Centro per uomini autori di violenza (CUAV), uno spazio di ascolto del disagio maschile e prevenzione della violenza verso le donne. In Italia, i CUAV sono stati riconosciuti ufficialmente come strumento di contrasto alla violenza di genere nel 2013, quando il Parlamento ha aderito alla Convenzione di Istanbul, il principale trattato europeo dedicato alla prevenzione e alla lotta contro la violenza sulle donne.

Attraverso questi centri la Convenzione si pone l’obiettivo di responsabilizzare gli uomini maltrattanti sulle loro condotte, promuovere un cambiamento nei modelli di comportamento e prevenire la recidiva. L’ultima indagine svolta dal Consiglio nazionale delle ricerche nel 2023 sui CUAV ha rilevato che coloro che accedono a questi centri, per la quasi totalità, sono uomini inviati dai propri avvocati o dalle autorità giudiziarie dopo aver ricevuto denunce o sentenze inferiori ai due anni di pena per reati legati alla violenza di genere. Il loro percorso di rieducazione dura in genere sei mesi ed è condotto da équipe multidisciplinari formate da psicologi, educatori e avvocati.

Davide Bertolino, a lungo operatore presso il CUAV del “Cerchio degli uomini” a Torino, spiega che per gli autori di maltrattamenti riconoscere di aver commesso una violenza è difficile: «Chi agisce violenza di genere ha una mancanza di empatia con cui è difficile entrare in connessione. Non riconosce l’altro e può arrivare ad aggredirlo solo dopo avergli sottratto dignità, ma questa violenza nasce da un modo di relazionarsi con le donne basato su una logica di imposizione che esiste anche in altre sfere e che molti fanno fatica a identificare».

Le cifre che preoccupano

In Piemonte nel 2023, gli uomini presi in carico nei sedici CUAV attivi nella regione sono stati 452, con un’età compresa tra i 17 e gli 81 anni. Un’analisi dell’IRES, l’Istituto di ricerche economico sociali, ha rilevato che l’88 per cento di loro ha commesso abusi in ambito familiare, prevalentemente nei confronti della partner o dell’ex partner. Nella maggior parte dei casi la violenza è stata fisica (56,9 per cento) e psicologica (49,8 per cento), seguite da stalking (20,4 per cento), violenza sessuale (15 per cento), molestie (7,7 per cento) e violenza economica (3,8 per cento), forme di violenza che spesso si sono sovrapposte. Il 72 per cento degli uomini nei CUAV inoltre ha figli e, nella metà dei casi, i minori hanno assistito agli abusi contro la madre. Solo il 10 per cento dei maltrattanti presi in carico si è rivolto spontaneamente ai Centri, mentre il restante 90 per cento è stato inviato da avvocati, dall’autorità giudiziaria o dai servizi sociali. Al momento dell’accesso ai CUAV, l’89,6 per cento degli uomini si trovava in stato di libertà, mentre il 10,4 per cento era detenuto. Tra chi era in libertà, il 45,9 per cento aveva ricevuto una denuncia.

Confrontando la ricerca dell’IRES con il report del Telefono Rosa Piemonte, emerge che per ogni uomo che in Piemonte accede a un CUAV, circa 12 donne si rivolgono a un centro antiviolenza: 452 contro 5.777 (dati del 2023). Le ultime informazioni dalla Regione rilevano che Torino è la provincia con il numero più alto di accessi, con 2.537 donne seguite dai centri antiviolenza nel 2024 e 284 nuovi casi fino a marzo 2025. A Cuneo le donne prese in carico sono state 473 nel 2024 e 43 nei primi mesi di quest’anno, mentre Novara riporta 289 accessi nel 2024 e 44 ingressi nel 2025.

I numeri non danno scampo nemmeno se si contano i femminicidi. L’Osservatorio nazionale di Non una di meno (NUDM) che monitora femminicidi, lesbicidi e trans*cidi (cioè gli omicidi con vittime donne o trans*) ne ha contati 60 in Piemonte tra 2020 e fine agosto 2025, di cui almeno 40 avvenuti nella provincia di Torino. Tutti e cinque i casi di femminicidio considerati a livello piemontese nei primi otto mesi dell’anno sono stati commessi nel Torinese.

In occasione della firma del nuovo protocollo d’intesa per prevenire e contrastare la violenza contro le donne, siglato a marzo di quest’anno, Marina Chiarelli, assessora alle Pari opportunità della Regione Piemonte, ha detto che «i numeri confermano che il problema della violenza di genere è radicato e richiede azioni ancora più incisive sul fronte della prevenzione». Inoltre, «il fatto che solo un uomo su dieci scelga autonomamente di intraprendere un percorso nei centri antiviolenza dimostra quanto sia difficile per gli autori di violenza riconoscere la gravità delle proprie azioni. Pertanto è necessario lavorare affinché più uomini si avvicinino spontaneamente a questi centri, prima che la violenza si consumi, cominciando dall’educazione sentimentale che riguarda sia gli uomini sia le donne».

Questa puntata di L’Unica Torino termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.

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