Il ritorno dei giovani nei vigneti dell’Alessandrino

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Per anni, per molti giovani dell’Alessandrino, partire sembrava l’unica strada possibile. Anche nel Monferrato e nel Tortonese: le colline erano il posto da cui si andava via, non quello dove costruire il proprio futuro. Ma qualcosa, negli ultimi anni, forse è cambiato: il vino è tornato a chiamare.
Il mondo delle viti e del vino, con la sua miscela di tradizione, innovazione e identità territoriale, sta diventando il nuovo orizzonte per una generazione che non si accontenta più di guardare da lontano. Giovani che rientrano, che rilanciano imprese familiari o si uniscono in progetti collettivi. Gente che non sogna la città, ma il filare giusto, il grappolo perfetto, la storia da raccontare in una bottiglia.
Non più un club per pochi
Marco Volpi, classe 1992 ha lasciato un lavoro nella grande industria per tornare a casa e prendere in mano la storica “Cantine Volpi” di Tortona, un milione di bottiglie l’anno e lo sguardo fisso sull’estero.
Il cuore della produzione, come tutte le realtà di questa zona, è il Timorasso, vitigno bianco autoctono riscoperto negli ultimi decenni grazie all’impegno di produttori visionari. È un vino strutturato, minerale, capace di invecchiare come un grande rosso, ma con l’eleganza e la verticalità tipiche dei bianchi d’autore. Un tempo quasi scomparso, oggi è diventato il simbolo del riscatto di queste colline. «Il mio futuro non è altrove ma nel dare valore a ciò che c’è nella mia terra», ha detto Volpi a L’Unica. «Il Timorasso è la nostra bandiera, ma non basta produrre bene: bisogna saper comunicare, aprirsi, accogliere».
L’accoglienza è un punto importante per Volpi: degustazioni panoramiche, eventi al tramonto tra le vigne, serate che parlano la lingua dei giovani. «Il mondo del vino deve smettere di sembrare un club per pochi. I giovani investono sempre meno tempo ad ascoltarti: se invece inviti un ventenne a bere un calice al tramonto con un panino del territorio, hai già vinto metà della sfida». Ovviamente, senza dimenticare lo sguardo oltre il confine: «Circa l’85 per cento del nostro fatturato è all’estero, in mercati come Germania, Svizzera, Inghilterra, Nord Europa e Stati Uniti». I nuovi dazi di Donald Trump quindi fanno paura? «I dazi sono un’ombra che incombe, certo. Ma non possiamo fermarci per questo. In generale, poi, credo che stiano cambiando molto le abitudini dei consumatori: si beve sicuramente meno, ma si vuole farlo meglio».
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Il Monferrato non è il fratello minore delle Langhe
Un sentimento che è condiviso anche in Monferrato. «Secondo me non c’è mai stato un momento migliore per investire nel vino», ha detto a L’Unica Gabriele Ronchi, anche lui classe 1992 e viticoltore di “Uva Matris” a Sala Monferrato. Nella sua azienda, dove si producono circa trentamila bottiglie l’anno, «il 70 per cento resta in Italia, il resto viene esportato: soprattutto in Svizzera, Danimarca, Austria e Thailandia, e da quest’anno anche negli Stati Uniti».
Iniziare a lavorare con gli Stati Uniti proprio da quest’anno sembrerebbe una mossa azzardata. «Non troppo – ha risposto Ronchi –. Con l’estero ci vuole tempo. I dazi sono un problema, certo, ma abbiamo scelto di affrontarli insieme agli importatori, condividendo costi e rischi. È un modo per rafforzare la collaborazione: loro ci credono, noi li sosteniamo. Se il vino ha personalità, trova sempre spazio. All’estero sono più curiosi, meno spaventati dalle novità, ma bisogna avere pazienza, costruire rapporti duraturi e saper comunicare il valore dei nostri vini. Non basta produrre qualità, bisogna raccontarla». La strategia dell’azienda è chiara: «Se il mercato estero apprezza un vino, bisogna accompagnarlo con degustazioni, visite, eventi e spiegazioni. Creare un legame è fondamentale».
Per Ronchi, il segreto è cambiare prospettiva. «Il Monferrato non deve sentirsi il fratello minore delle Langhe – ha spiegato –. Qui c’è autenticità, biodiversità, e un patrimonio di vigneti che convivono con boschi e campi coltivati. I giovani produttori hanno voglia di fare rete, creare collaborazioni e momenti di incontro per far crescere il territorio. Un vitigno come il Grignolino può diventare il nostro simbolo se impariamo a raccontarlo insieme, valorizzandone la storia e la peculiarità. È un vino antico, quasi dimenticato, ma se gli si dà voce può rappresentare davvero il Monferrato».

La fedeltà alle radici
Il Grignolino è uno dei vitigni rossi più antichi e identitari del Monferrato. Le sue uve, caratterizzate da buccia sottile e ricche di vinaccioli – da cui il nome, che deriva dal dialettale grignòle (“vinaccioli”) – danno origine a un vino dal colore rubino tenue, quasi trasparente. Un tempo considerato un vino “difficile”, oggi è riscoperto per la sua eleganza moderna e la sua versatilità gastronomica.
Sostenere il Grignolino, ha detto Ronchi, è «un atto di fedeltà alle radici». Ed è proprio questo il messaggio che sostiene anche Edoardo Gaviati, classe 1993, rientrato a Casale Monferrato dopo anni di lavoro nella ristorazione a Torino. Insieme ad altri quattro giovani soci – Federico Sassi, Paolo Berra, Simone La Porta e Francesco Martinotti – gestisce oggi l’“Enoteca regionale del Monferrato”, all’interno del Castello di Casale Monferrato.
«Siamo tutti under 35, sia soci che dipendenti», ha raccontato. «Volevamo creare un luogo dove il vino potesse essere vissuto, non solo venduto. L’Enoteca è il nostro modo di restituire qualcosa al territorio». Per lui, il ritorno dei giovani è un segnale forte: «La nostra generazione sta riscoprendo il legame con la terra. I nostri genitori cercavano stabilità altrove, noi invece vediamo nel vino un’occasione: non solo per lavorare, ma per vivere meglio. Il turismo enogastronomico è in crescita e il Monferrato può diventare un laboratorio di idee». Ma non è tutto rose e fiori: Gaviati è realista e non teme di dirlo. «Il consumo di vino nel mondo è in calo. È vero: si beve meglio, ma meno. I giovani non comprano più la damigiana, preferiscono una buona bottiglia per un’occasione o un calice al ristorante. È cambiato il modo di intendere il vino, e dobbiamo adattarci».
Anche il cambiamento climatico poi è da considerare: «Non sono tanto le temperature a spaventare, quanto l’imprevedibilità. Le grandinate, le trombe d’aria, le stagioni che saltano. Servono strategie nuove, investimenti in sostenibilità, più ricerca». E poi c’è la grande sfida del Monferrato: l’unione. «Qui ogni produttore cammina un po’ per conto suo. Dovremmo imparare dal Tortonese, dove tutti si sono riconosciuti sotto il nome “Derthona Timorasso” e hanno costruito un marchio comune. Noi potremmo fare lo stesso con il Grignolino, creare un’identità territoriale condivisa, un nome forte per farci riconoscere nel mondo. Il futuro secondo me è nella collaborazione: produttori, ristoratori, istituzioni, tutti sotto la stessa bandiera».
Fare squadra per crescere
Mentre nel Monferrato i giovani rianimano castelli e cantine, nel Tortonese c’è chi lavora per fare rete. Filippo Alutto, 26 anni, viticoltore e quinta generazione dei “Vigneti Massa” a Monleale, è subentrato a Volpi alla presidenza di “Derthona Giovani”. Il gruppo raccoglie 57 soci, di cui oltre 30 produttori di vino e numerose realtà del territorio, dai produttori di formaggi e salumi ai coltivatori di pesche e fragole.
«Siamo una squadra, non solo un’associazione», ha spiegato. «Dentro “Derthona Giovani” c’è di tutto: chi fa vino, chi produce frutta, chi lavora nel turismo o semplicemente ama questo territorio. È bello perché chiunque può contribuire». Il gruppo nasce come braccio giovanile del “Consorzio dei Colli Tortonesi”, e lavora in stretta collaborazione con i produttori “senior”. «Ci occupiamo soprattutto di promozione: organizziamo eventi, collaboriamo con il Consorzio, e cerchiamo di coinvolgere sempre di più i ragazzi. Il nostro obiettivo è far conoscere il territorio e i prodotti che lo rappresentano».
Gli incontri non mancano: il gruppo si riunisce una volta al mese, spesso davanti a un bicchiere di vino, mentre il direttivo – composto da nove persone – si vede ogni due settimane per discutere progetti e strategie. «È una realtà viva, dove si cresce insieme. Tra di noi ci si confronta su tutto: vendemmie, analisi, problemi climatici, soluzioni tecniche. È un modo per formarsi e arrivare un giorno nel Consorzio già pronti, con le idee chiare».
La forza, ha spiegato Alutto, è proprio nel confronto. «Grazie a “Derthona Giovani” sono nate vere amicizie. Prima con Marco Volpi, per esempio, ci conoscevamo solo per lavoro; oggi ci organizziamo insieme per gli eventi. Questo spirito di collaborazione è la nostra arma più grande». Oltre all’età. «Lo sguardo giovane dà fiducia alle generazioni più esperte, che vedono nei giovani la continuità, ma permette anche di parlare un linguaggio diverso. Se un giovane comunica a un altro giovane, arriva in modo più diretto. Gli eventi, le location, anche un dj set in vigna: sono modi nuovi per avvicinare chi non ha mai avuto contatto con il vino».
Per lui, la differenza con altri territori è chiara. «Altrove spesso c’è più competizione. Da noi invece lo spirito di squadra è naturale, lo abbiamo sempre avuto. E questo, alla lunga, fa la differenza». E anche Alutto, con la stessa concretezza dei colleghi da tutta la provincia, guarda al futuro: «Il vino è cambiato. Per questo serve comunicare, fare cultura, creare curiosità. Se il Monferrato ha il Grignolino come simbolo, noi abbiamo il Timorasso. Due vini diversi, ma la stessa storia: quella di una provincia che ha deciso di crederci davvero».
Restare e investire nelle proprie terre
Volpi, Ronchi, Alutto e Gaviati raccontano con accenti diversi la stessa rivoluzione silenziosa, quella di una generazione che ha scelto di non fuggire. Invece di inseguire opportunità altrove, i nuovi under 35 alessandrini le stanno creando tra i filari. C’è chi esporta in Danimarca, chi gestisce un’enoteca in un castello, chi organizza picnic al tramonto e chi sogna un marchio unico per il Grignolino. Li unisce una convinzione: il futuro del vino, e forse del territorio intero, dipende da chi ha il coraggio di restare. Perché alla fine, la strada più ardita può essere quella che ti riporta a casa.
Questa puntata di L’Unica Alessandria termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.
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