Violenza di genere, aumentano le donne che chiedono aiuto

Quando si parla di violenza di genere, la tentazione è quella di pensare a un problema lontano, relegato a culture “altre” o a contesti sociali fragili e periferici. Ma la realtà è molto diversa. La violenza contro le donne accade anche nelle famiglie del ceto medio, nei quartieri residenziali, nei piccoli paesi così come nei condomini delle città più grandi. Magari, proprio alla porta accanto.
In provincia di Alessandria, a ricordarlo sono i numeri forniti dal centro antiviolenza ME.DEA, attivo in città da oltre quindici anni: quasi ogni giorno una donna alessandrina richiede aiuto al centro per iniziare un percorso di allontanamento da una situazione di violenza.
Un trend in crescita, oggi più che mai: il 2025 non è ancora terminato, ma i nuovi accessi registrati quest’anno hanno superato quelli del 2024 del medesimo periodo, confermando un aumento costante in linea con le statistiche di diversi altri centri a livello nazionale. Ma significa che in provincia, così come in altri centri d’Italia, i fenomeni di violenza stanno crescendo? Oppure il cambiamento riguarda qualcos’altro?
La consapevolezza rompe il muro di silenzio
«I dati ISTAT ci dicono da tempo che una donna su tre in Italia subisce violenza almeno una volta nella vita. Il dato ovviamente riflette anche la realtà della nostra provincia, solo che molti casi spesso rimangono “invisibili”. Ma l’aumento delle richieste che abbiamo registrato al centro negli ultimi tre anni non significa che siano aumentati i casi di violenza», ha spiegato a L’Unica la presidente di ME.DEA Sarah Sclauzero. «Quella che è cresciuta è la consapevolezza, la capacità di riconoscere relazioni tossiche e, soprattutto, la possibilità di chiedere aiuto».
Dal report di questi mesi che il centro ha condiviso con L’Unica, risulta che le richieste di aiuto siano cresciute del 15 per cento rispetto all’anno scorso: a settembre 2025, ME.DEA ha registrato 212 nuovi accessi in provincia di Alessandria, contro i 183 dello stesso periodo del 2024 e i 180 del 2023. In media, sono 24 le donne accolte ogni mese, poco meno di una al giorno. Sommando colloqui e nuovi ingressi, il centro gestisce quotidianamente il sostegno a una media di 7-8 donne. Nei primi nove mesi del 2025, le operatrici hanno garantito 1.150 ore di colloquio individuale.
Un dato significativo riguarda gli accessi tramite “Codice Rosso”, procedura introdotta con la legge 69 del 2019 per dare priorità assoluta alle denunce di violenza domestica e di genere, imponendo tempi più stretti per l’inizio delle indagini dopo la denuncia e l’adozione di misure cautelari a protezione delle vittime. In pratica, la polizia giudiziaria, non appena viene a conoscenza di un caso di violenza di genere, deve riferirla immediatamente al pubblico ministero, il quale ha l’obbligo di ascoltare la persona offesa o chi ha sporto denuncia entro tre giorni. Nel 2025 – si legge nel report di ME.DEA – l’aumento di questi casi è stato del 43 per cento rispetto all’anno precedente.
«L’effetto collaterale di questa pressione crescente è l’allungamento dei tempi di attesa, oggi pari a circa 15-20 giorni. Ma l’aumento degli accessi è anche un segnale positivo: sempre più donne hanno il coraggio di chiedere aiuto e sempre più persone intorno a loro riconoscono i segnali. Questo è il primo passo per costruire una società più consapevole e più giusta», ha aggiunto Sclauzero.

L’esperienza di Alessandria
L’osservatorio di ME.DEA offre uno sguardo autorevole sulla situazione ad Alessandria e sulla sua evoluzione: nato su iniziativa di un gruppo di donne esperte in educazione e sociale, formate specificamente sulla violenza di genere, il centro ha inaugurato le sue attività il 18 aprile 2009. Il nome scelto per il centro evoca la figura di Medea, nella rivisitazione del 1996 della scrittrice tedesca Christa Wolf: non più la figura vendicativa del mito greco, ma una donna forte e consapevole di sé. «Medea diventa me.dea per mettere la donna al centro del percorso di rinascita, per restituire positività e dignità a una donna denigrata, umiliata e abusata – avevano spiegato le fondatrici l’anno scorso, in occasione dei 15 anni del centro –. Il logo dell’associazione ha un forte significato simbolico: è formato dall’omega, l’ultima lettera dell’alfabeto greco, che abbraccia e contiene l’alfa, prima lettera dell’alfabeto, perché da una fine si può generare un nuovo inizio».
Dal 2009, ME.DEA ha accolto oltre 2.800 donne del territorio, offrendo ascolto qualificato, colloqui individuali, gruppi di sostegno e percorsi di autonomia. I servizi includono assistenza psicologica, consulenza legale, supporto per l’accesso al lavoro e all’alloggio.
Accanto al lavoro quotidiano di accoglienza, il centro promuove ricerche, convegni, seminari, campagne di sensibilizzazione e attività formative rivolte a operatori socio-sanitari, forze dell’ordine, insegnanti e volontari, al fine di diffondere consapevolezza e strumenti per il contrasto alla violenza. Negli ultimi anni, inoltre, ME.DEA organizza incontri nelle scuole della città e di Casale Monferrato – dove ha una sede dal 2018 – a partire dalle elementari, con giochi e laboratori adatti all’età dei bambini. «Lo scopo, come sempre, è quello di prevenire comportamenti e atteggiamenti nocivi in età adulta».

La crescita delle richieste di aiuto ha spinto ME.DEA a un’evoluzione organizzativa, con l’inaugurazione di una nuova sede a luglio 2025. «Negli ultimi due anni – ha aggiunto la presidente – abbiamo cercato spazi più adeguati e finalmente oggi abbiamo locali che ci permettono di accogliere contemporaneamente più donne, con ambienti dignitosi e accoglienti. È un passo fondamentale perché l’accoglienza è il momento più delicato, quello in cui una donna decide di fidarsi e raccontarsi».
Quando la violenza non si vede
«La violenza non è solo fisica. Anzi, molto spesso si presenta in forme sottili e difficili da riconoscere», ha spiegato Sclauzero. «La violenza psicologica non lascia segni visibili, ma intrappola le donne in relazioni logoranti. Lo stesso vale per la violenza economica o lo stalking: sono dinamiche che faticano a emergere, e spesso le vittime le minimizzano fino a quando non diventano insostenibili». Poi è bene ricordare che la violenza non ha età: riguarda le ragazze molto giovani come le persone anziane. «Non esiste un profilo unico della vittima. La violenza attraversa tutte le generazioni e tutte le classi sociali».
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Cosa possono fare amici, colleghi, familiari? «La prima cosa è non minimizzare: frasi come “succede a tutti” o “pensaci bene prima di lasciarlo” rischiano di rafforzare la sensazione di normalità. Al contrario, è importante ascoltare, non giudicare e restare presenti. Anche quando la donna minimizza, spesso è una strategia di sopravvivenza. Chi le è vicino deve restare un punto di riferimento, pronto a sostenerla se e quando chiederà aiuto».
In provincia, le dinamiche possono essere differenti rispetto alle grandi città? «Un piccolo centro può essere molto supportivo, perché la comunità si stringe intorno. Ma può anche diventare giudicante. Dipende dal contesto e dal grado di accoglienza sociale».
L’invito è quello a non sottovalutare i campanelli d’allarme: umiliazioni ripetute, denigrazioni, comportamenti che mettono a disagio anche chi osserva. Sono segnali che non vanno ignorati. E, nel dubbio, è sempre consigliato contattare un centro antiviolenza di riferimento, anche solo per avere un confronto esterno. «Il nostro approccio è sempre lo stesso: offrire ascolto, accoglienza e un percorso di uscita dalla violenza. Per ogni donna, indistintamente».
Questa puntata di L’Unica Alessandria termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.
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