La strage infinita dell’amianto
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A Casale Monferrato le campane continuano a suonare a morto. In questo inizio d’estate, in due settimane, i rintocchi hanno salutato tre donne. Due di loro erano sorelle. Margherita Vaccarone aveva 61 anni e una bella voce, che si faceva apprezzare nel Fuck cancer choir, il coro – nato da un’idea della biologa Stefania Crivellari e dell’oncologa Federica Grosso – che si esibisce in eventi benefici per finanziare la ricerca medica. Paola Brera di anni ne aveva 63 e tutti la ricordano al bancone della Farmacia del duomo, con il sorriso dolce e consigli preziosi da dispensare. Paola Vaccarone era la sorella maggiore di Margherita: aveva 66 anni e se n’è andata dieci giorni dopo di lei. Il padre aveva lavorato all’Eternit e anche lui le aveva lasciate presto, quando loro erano giovanissime. Sono morte per il mesotelioma provocato dall’amianto dell’Eternit, la fabbrica chiusa da decenni ma che continua a incrementare la lista delle vittime. Una lista che non finisce mai: il numero dei malati aumenta di una cinquantina di casi all’anno, e la malattia è di quelle che non danno scampo.
Le foto sorridenti di Paola e Margherita sono pubblicate sul sito di Silvana Mossano, una giornalista che fin dagli anni Ottanta ha denunciato il dramma dell’amianto, che nel 2012 le avrebbe portato via il marito, Marco Giorcelli, direttore dello storico settimanale locale Il Monferrato. «Adesso che cosa facciamo? Che cosa abbiamo ancora da dirci? Anzi, ha ancora senso parlare, imprecare, invocare, urlare?», scrive Mossano. «Certo, cerchiamo consolazione rimanendo appesi ai ricordi belli, ai giorni buoni, alle ultime parole dette e al saluto finale prima di spegnere gli occhi. Quello che non possiamo fare a meno di fare è piangere, lacrime di angoscia e di paura per le prossime vittime incolpevoli, per chi ancora neppure lo sa che la fibra gli (o le) sta lavorando dentro».
Le cifre impietose
«Nel territorio del SIN (il Sito di interesse nazionale di Casale Monferrato che comprende 48 Comuni, ndr), i malati si aggirano attorno ai 2.500. Ma la cifra, a mio parere, è sottostimata», dice a L’Unica la dottoressa Federica Grosso, responsabile della Struttura semplice dipartimentale per il mesotelioma dell’Azienda ospedaliera “Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo” di Alessandria.
I bilanci sono sempre complicati, ma in questa storia parlano chiaro. «Secondo i dati del Registro mesoteliomi del Piemonte, i casi di questo tumore raro della pleura certamente correlato alla contaminazione da amianto, conteggiati fra il 1993 e il 2021, sono stati 1.283, di cui 846 residenti a Casale: 731 uomini e 552 donne», aggiunge l’epidemiologa Marinella Bertolotti, responsabile del Centro regionale per la ricerca, la sorveglianza e la prevenzione dei rischi da amianto e direttrice del Centro studi patologie ambientali del DAIRI (Dipartimento attività integrate per la ricerca e l’innovazione). «Nel 61 per cento degli uomini è stata riscontrata un’esposizione occupazionale, nel 14 per cento un’esposizione ambientale, nel 6 per cento un’esposizione domestica – continua –. I casi di tumori con associazione certa all’esposizione all’asbesto (ovaio, laringe, polmone) sono di difficile quantificazione». Basta comunque allontanarsi appena dai registri e ci si rende bene conto che ogni numero è una vita: vite che ancora oggi pagano un prezzo altissimo e inaccettabile, fatto di dolore, difficoltà respiratorie, terapie faticose, esistenze stravolte, perdite di persone care, destini ineluttabili che non hanno cercato.
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Dal progresso alla strage
Tra poco saranno quarant’anni da quando lo stabilimento Eternit chiuse, per fallimento, nel 1986. Prima aveva offerto tanta fortuna ai suoi titolari: il cemento-amianto brevettato a inizio secolo, principale produzione dell’azienda, fu a tutti gli effetti un impasto rivoluzionario per l’edilizia e si diffuse dappertutto nel mondo, particolarmente apprezzato per le sue caratteristiche di robustezza e resistenza. Eternit, fin dal nome, sapeva di eternità, ma questa prospettiva non tardò a diventare spaventosa.
Secondo diversi studi, tra il 1967 e il 1975, il 40 per cento degli edifici costruiti in Italia conteneva amianto. Casale Monferrato era la testimonianza di questo successo: fu tra i centri produttivi rilevanti, tra i più grandi in Europa, con uno stabilimento di 94 mila metri quadrati. Impiantato nel 1907, nel tempo assunse un totale di cinquemila dipendenti, con presenze nei reparti di 3.500 addetti contemporanei nei momenti di picco delle attività. Gli stipendi erano molto alti, più di quelli di altre fabbriche in zona.
Per un lungo periodo, un posto di lavoro alla Eternit venne considerato un traguardo ambito. La ricchezza si diffuse nella città, trasformandola in un centro industriale simbolo di modernità e progresso. I sacchi di amianto arrivavano su treni da tutte le miniere che potevano rifornirlo, da Balangero soprattutto, un paese nelle vicine montagne torinesi dove persino la pista di atletica dove si allenavano i ragazzini era fatta d’amianto. Dopo il trattamento, dalla fabbrica uscivano tonnellate di lastre ondulate, tubi, pannelli, canne fumarie e altri tipi di manufatti in fibrocemento. Ma l’incremento delle produzioni presentò subito il conto. Gli operai, senza protezioni, maneggiavano materiali e respiravano polvere. Tutta la città era diventata Eternit: tetti e costruzioni pubbliche e private, pavimentazioni. Gli scarti di lavorazione venivano regalati ai dipendenti perché potessero sistemarsi il vialetto di casa. Lo chiamavano “polverino”.
La città ricoperta di polvere
A Casale, c’era polvere su tutto. Tanta polvere. Troppa polvere. Pervasiva, penetrante. I primi studi scientifici che annoverarono l’asbestosi tra le malattie polmonari sono del 1924, nel 1935 fu descritto il primo caso di carcinoma su persone esposte. Le evidenze di una patologia professionale c’erano tutte, ma furono ignorate: l’amianto era considerato strategico e tutto continuò come sempre. Tuttavia, dopo anni, gli amministratori della fabbrica sono stati processati più volte: l’ultimo proprietario, l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, è stato condannato in primo grado e in appello per disastro ambientale, ma la Cassazione ha dichiarato il reato prescritto. La Procura di Torino gli ha prima contestato l’omicidio volontario per la morte dovuta a malattie correlate all’amianto, poi l’accusa è stata derubricata in omicidio colposo con l’aggravante della colpa cosciente, il reato che si applica quando l’imputato è consapevole dei rischi potenziali legati alla sua condotta. Al termine dell’ultimo processo, Schmidheiny è stato condannato a 12 anni di carcere per 147 morti provocate dall’amianto, per altre 46 è stato assolto, altri 199 casi sono andati in prescrizione. Un epilogo che non sa del tutto di giustizia.

Le istituzioni, invece, hanno dovuto gestire le conseguenze di questa tragedia. La bonifica è in fase avanzata: il polverino è quasi interamente rimosso, il 93 per cento degli interventi sugli edifici pubblici e privati censiti è stato eseguito. Il sito dove sorgeva la fabbrica, acquistato all’asta dal Comune, è stato demolito fra il 2001 e il 2006, i resti interrati e sigillati in loco: nel 2016 sulla superficie è stato inaugurato il parco Eternot, area verde intesa anche come luogo di memoria, che ospita residenze di artisti e iniziative culturali di ricostruzione dell’identità collettiva.

Di tutto si è occupato il Comune: il piano è costato circa 120 milioni di euro, in gran parte finanziati dal Ministero dell’Ambiente e per una quota dalla Regione Piemonte. Anche la discarica è gestita internamente: ha tre vasche per le lastre, di quasi 130 mila metri cubi in tutto; e una in uso per il polverino, di 8 mila. «Negli ultimi vent’anni ci siamo dovuti reinventare», dice a L’Unica il sindaco, Emanuele Capra. «Casale non è più una città produttiva e manifatturiera, dobbiamo prenderne atto. La difficoltà maggiore è spiegare che il nostro inquinamento si risolve: infatti è composto di materiali che si possono asportare e, una volta rimossi, è passato».
Il futuro della città si disegna in due direzioni: l’economia turistica e la logistica. L’amministrazione ha approvato una variante strutturale da 400 mila metri quadrati, per consentire a un grande operatore di impiantare un’attività di movimentazione merci. Hanno trattato con l’intermediario, sul cliente finale c’è la clausola di riservatezza. «Un hub logistico importante può diventare una fonte di reddito per la popolazione», confida il primo cittadino. Anche sul fronte sanitario il lavoro è intenso: il periodo di latenza fra l’esposizione all’amianto e il rischio di ammalarsi è di 48 anni, dunque in questo momento lo spettro ha ancora le sembianze della minaccia.
La scienza, a questo proposito, non è ancora in grado di tranquillizzare. «Oggi a Casale l’incidenza di mesotelioma è analoga nei due sessi e questo sottende molto meno peso per le esposizioni professionali e più rilevanza per quelle ambientali», dice ancora a L’Unica la dottoressa Federica Grosso. «L’età media rimane attorno ai 70 anni, anche se a mio parere aumentano i casi di pazienti più giovani, che si ammalano per aver vissuto a Casale senza avere avuto contatti con la fabbrica, nemmeno in famiglia. Indubbiamente iniziamo a vedere i benefici della bonifica, perché negli ultimi anni i numeri hanno cominciato a declinare, per gli uomini. Non per le donne, dove rimangono costanti».
Questa puntata di L’Unica Alessandria termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.
👋🏽 L’Unica è stata presentata da Guido Tiberga, ex caporedattore de La Stampa e oggi coordinatore editoriale de L’Unica, durante “Buongiorno regione” di mercoledì 11 giugno. Potete vedere la presentazione a questo link, dal minuto 10.

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