Il carcere potrebbe diventare di massima sicurezza: interrotta l’attività teatrale dei detenuti
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Claudia Patrone – Da sempre freelance, dal 2004 giornalista professionista. È laureata in semiologia, con una tesi sul giornalismo ambientale. Appassionata di ecologia.
«La considerazione, amara, è che il carcere si è chiuso dentro e ci ha lasciati fuori». La sintesi più efficace di quello che sta succedendo ad Alessandria è del maestro Luciano Ponticello, uno dei numerosi volontari impegnati in città nella riabilitazione dei detenuti. Le voci che circolano insistentemente, non confermate né smentite, parlano infatti dell’imminente e radicale trasformazione della casa di reclusione di San Michele in un istituto penitenziario di massima sicurezza, potenziato per ospitare condannati ritenuti pericolosi, sottoposti a limitazioni rigide e stringenti in base all’articolo 41-bis secondo la legge 10 ottobre 1986 numero 663. Persone che spesso scontano la pena in isolamento e che, in alcun modo, potrebbero partecipare a tutte le attività di rieducazione che hanno fatto del modello Alessandria un luminoso punto di riferimento di livello nazionale, che ha meritato le massime onorificenze.
Luciano Ponticello, lavorando in particolare con i collaboratori di giustizia, insieme al suo gruppo si è occupato di un progetto che si chiama “Felici e scontenti”. «Quando li abbiamo incontrati abbiamo trovato persone “congelate” dal punto di vista emozionale, spente, con una capacità di interrelazione tra loro scarsissima e anche una forma di sfiducia reciproca», ha detto. «Abbiamo iniziato a ragionare sulle parole e sul loro significato profondo: felici nel senso di fecondi, scontenti inteso come non-contenuti». L’invito a prendere in mano la loro vita e a sentirsi liberi. Anche in un carcere. Ed è accaduto: attraverso le immagini e la pittura, l’espressione delle loro sensazioni e il racconto delle loro esperienze hanno preso forme e colori. «Abbiamo trovato un mondo chiuso e abbiamo contribuito, in qualche misura, ad aprirlo». Le pareti degli spazi comuni sono diventate esse stesse opere d’arte dipinte. «Abbiamo proposto loro di dipingere trompe-l’oeil: in tal modo, hanno sfondato metaforicamente le mura del carcere. Abbiamo promosso, possiamo dirlo, una forma di evasione: un’evasione emozionale che potesse liberarli, che non corrispondeva certo a scappare dalla detenzione».
Il suo intervento è stato rivolto in Comune, davanti alle due commissioni dedicate a cultura e istruzione e alle politiche sociali e sanitarie riunite in seduta congiunta il 18 novembre. Qui era in programma l’annuale incontro organizzato per presentare pubblicamente il programma del Festival delle arti recluse, evento culturale e comunitario che ha fatto scuola e ha messo in relazione i residenti in città e quelli dei penitenziari alessandrini, il “Cantiello e Gaeta” in piazza Don Soria e il San Michele nell’omonima frazione a Nord-Ovest del capoluogo. La manifestazione è stata ideata dall’architetto Piero Sacchi, il decano dell’associazione ICS (Istituto cooperazione sviluppo onlus) che in carcere, proprio a San Michele, da quindici anni ha inaugurato la bottega d’arte visiva “Artiviamoci”, il laboratorio dove ha insegnato con altri docenti, per cinque giorni alla settimana di mattina e di pomeriggio, discipline come pittura, scultura su carta, disegno, incisione, fotografia, creando un ponte fra apprendisti liberi e detenuti: le opere prodotte in questo lungo periodo, oltre all’importante valore creativo, personale e sociale, hanno impreziosito il patrimonio del territorio perché spesso realizzate su committenza.
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Tutti i detenuti coinvolti sono stati trasferiti
«La bottega non è un luogo detentivo, è un luogo di libertà in carcere», ha detto Piero Sacchi a L’Unica. Fino a ieri, almeno: il Festival delle Arti Recluse edizione 2025 comincerà il prossimo 28 novembre con il convegno “Carceri alessandrine”, «ma in questo momento non siamo in grado di immaginarne il futuro», ha aggiunto Sacchi. Il motivo è semplice, quanto improvviso e traumatico: «I detenuti con cui lavoravamo, all’incirca duecento, su trecento ospiti, sono stati trasferiti a Voghera da un giorno all’altro. Inoltre, le finestre sono state oscurate: chiunque può vederlo, passando di fuori. I lavori edili in corso stanno trasformando gli spazi interni in maniera molto significativa. Il nostro teatro, di cui erano state dipinte le quinte originali, è oggi diventato un deposito di oggetti ingombranti. Informazioni ufficiali non ce ne sono, ma gli indizi sono inequivocabili. In più, per la prima volta, quest’anno il Festival in mostra avrà opere di autori che saranno assenti».
Sacchi è Cavaliere al merito della Repubblica, insignito dal presidente Sergio Mattarella proprio per il suo impegno civile. Lo stesso riconoscimento è stato assegnato anche a Carmine Falanga: inventore della cooperativa “Idee in Fuga” che, con il motto “Recuperiamo persone e materiali” ha aperto al pubblico il bistrot “Fuga di Sapori”, dove ci sono detenuti che lavorano con chef esperti, oltre a un panificio e a una pasticceria interni.
Il modello alessandrino di riabilitazione custodisce molti altri esempi virtuosi, come la cura degli orti, la falegnameria e l’impegno culturale. «La più antica scuola carceraria d’Italia, con un percorso che [portava a un diploma] di geometra, è nata proprio qui», ha ricordato davanti alle commissioni comunali il professor Giovanni Mercurio, vicepresidente di ICS Onlus. «Negli ultimi vent’anni abbiamo avuto molte possibilità di formazione, fino al livello universitario. Insieme alle innumerevoli attività di diverse associazioni e cooperative: io sono il responsabile di alcune di quelle, per esempio il progetto “Almeno uno” rivolto ai collaboratori di giustizia, che ha fatto entrare in carcere quattromila studenti della provincia per imparare l’educazione civica. Abbiamo introdotto l’unità didattica “Peppino Impastato: la voce fuori dal coro”, per insegnare il senso critico ai ragazzi negli istituti superiori, a cui hanno aderito diciotto classi dell’Alessandrino in questo anno scolastico e nel prossimo». In prospettiva, è difficile pensare di replicare quelle esperienze: i collaboratori di giustizia, oggi, a San Michele non ci sono più. «Perché sono stati deportati a Voghera». Il professore non ha detto “trasferiti”, ma “deportati”. È una citazione da Se questo è un uomo di Primo Levi, ha precisato: «Questo succede quando iniziamo a trattare le persone come oggetti».
Il futuro del carcere
Fra le autorità, della trasformazione e del futuro del carcere non si parla. Interpellati da L’Unica, gli organi periferici dello Stato non rilasciano dichiarazioni: la prefetta Alessandra Vinciguerra fa sapere di non avere «nessuna comunicazione ufficiale» e lo stesso riferisce la direzione dei due penitenziari locali, guidata da Maria Isabella De Gennaro. Il sindaco, Giorgio Abonante, già a fine ottobre ha scritto al sottosegretario al Ministero della Giustizia, il piemontese Andrea Delmastro Delle Vedove, per chiedere formali delucidazioni: «Per ora nessuna novità. Aspettiamo di parlargli», ha detto.
In precedenza, Abonante aveva ribadito con forza la sua posizione: «Il tempo passa e le voci si rincorrono. Ricordo al governo che noi qui ci viviamo, lavoriamo, passiamo la nostra vita, gradiremmo almeno sapere che destino ci vogliono riservare». Disperdere un valore civile di tale portata è inaccettabile per Palazzo Rosso, sede del Comune. «Le nostre carceri – aveva proseguito – si sono strutturate nel tempo, attraverso il lavoro di tante persone e istituzioni e del terzo settore, per creare una realtà sicura e aperta nella relazione tra detenzione e contesto locale. Non possiamo perdere questo patrimonio. Questo è dovuto all’esperienza alessandrina. Pertanto, rappresentando la comunità, mi sento di chiedere al governo Meloni di agire con trasparenza. Aspettiamo di incontrarli, con le altre istituzioni locali e le articolazioni dello Stato sul territorio, per capire cosa sta succedendo».
Il tema è delicato ed è facile immaginare che l’ipotesi di accogliere in contesto provinciale i condannati per i reati di particolare gravità, per esempio quelli di tipo mafioso, richieda un certo livello di riservatezza. Eppure l’impatto di un cambiamento così radicale interessa la collettività.
Con il progetto “Cittadini oltre la pena”, intanto, il Comune ha di recente ricevuto 55 mila euro dalla Regione per coinvolgere sei persone con restrizioni della libertà personale, segnalate dall’ufficio alessandrino di esecuzione penale esterna del Ministero della Giustizia, nella manutenzione dei cimiteri del capoluogo e dei sobborghi, a cui contribuirà coprendo oneri e spese previdenziali e assicurative per un totale di quasi 72 mila euro. «Il lavoro nei cimiteri, nel verde e negli spazi urbani non è solo manutenzione: è prendersi cura della comunità», ha detto l’assessora alle Politiche sociali, Roberta Cazzulo. «I detenuti potranno riabilitarsi agli occhi della società attraverso i lavori di pubblica utilità, aiutando gli enti locali che ne hanno bisogno».
Degno di nota, infine, è il fatto che la stagione teatrale comunale 2025-2026 ha inserito in cartellone anche uno spettacolo preparato dentro le mura di San Michele, nel contesto di un progetto realizzato in collaborazione con l’amministrazione carceraria. “Entra pure Cappuccetto, la chiave è sotto lo zerbino” dovrebbe essere però recitato dai detenuti della casa circondariale “Cantiello e Gaeta” di Alessandria, non più dai reclusi del San Michele, ufficialmente «per motivi organizzativi». Non è chiaro se in un teatro esterno o nella struttura di piazza Don Soria: dopo la presentazione dell’iniziativa, dettagli in merito non sono stati divulgati e la decisione spetterà comunque alla direzione dei penitenziari.
Il laboratorio è cominciato all’inizio dell’anno e ha visto gli ospiti cimentarsi nella preparazione delle scene, rivisitando la celebre favola di Cappuccetto Rosso e adattandola alle esperienze di vita vissuta. Diversi fattori hanno contribuito alla selezione dei partecipanti: durata detentiva, permessi, condotta e situazione giudiziaria. Il numero di attori, tecnici e aiutanti è di circa una ventina di elementi. «Il difficile obiettivo rieducativo di SIN ART (Sinapsi artistiche aps) – hanno spiegato i promotori – è quello di poter portare gli attori detenuti a esibirsi all’esterno delle strutture carcerarie nelle quali sono reclusi». Da questa base di partenza, dovendo definire elevati standard di sicurezza del regime 41-bis, si attraversano due mondi del tutto inconciliabili.
Questa puntata di L’Unica Alessandria termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.
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