Gender gap e diritti negati: il lavoro delle donne a Torino
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Se l’occupazione femminile a Torino non sta bene, ci sono lavoratrici che provano a stare meglio facendo valere i propri diritti. Lo racconta la consigliera di parità della Città metropolitana di Torino, Michela Quagliano, che delinea il profilo di una città in cui, sul posto di lavoro, soprattutto le donne affrontano discriminazioni, molestie e mobbing.
Il compito delle consigliere di parità, istituite nel 1991 e presenti su tutto il territorio nazionale, è quello di garantire un equo trattamento tra uomini e donne nel mondo del lavoro assicurando alle lavoratrici le stesse opportunità di cui godono i lavoratori. Così da quando nel 2021 è stata nominata, Michela Quagliano è diventata depositaria di quelle che ha definito «storie di sofferenza». «Molto spesso le persone si rivolgono all’ufficio perché le ingiustizie subite nel mondo del lavoro (anche soltanto quelle ritenute tali) assumano la connotazione di eventi pubblici, portate all’attenzione delle istituzioni; credo che l’accoglienza di tali testimonianze contribuisca ad avvicinare i cittadini e le cittadine alle istituzioni, rafforzando così il senso di comunità», ha scritto la consigliera nel rapporto sul 2024.
Su 59 utenti che si sono rivolti al suo ufficio nell’anno passato, 51 sono donne. Rispetto al 2023, sia il numero delle lavoratrici sia quello dei lavoratori che hanno richiesto l’intervento della consigliera di parità è aumentato. Nelle segnalazioni, la violenza di genere nei luoghi di lavoro resta centrale: «Si è rilevato un deciso aumento della diseguaglianza di genere e dei comportamenti discriminatori nei confronti delle lavoratrici, pressate tra perdita di occupazione, compiti di cura familiari e difficoltà a conciliare tempi di vita e di lavoro», ha spiegato Quagliano. Riconoscere, far riconoscere e tutelare una situazione di mobbing sul posto di lavoro, inoltre, resta difficile.
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Le donne più vulnerabili non sanno come far valere i propri diritti
In base ai dati raccolti, coloro che si rivolgono alla consigliera sono soprattutto lavoratrici dipendenti a tempo pieno, madri e con un titolo di studio medio-alto. «Un dato che racconta come la maggior parte dei problemi legati all’occupazione per le donne sia connessa ai figli: mentre a livello regionale l’occupazione delle donne diminuisce all’aumentare dei figli, per gli uomini cresce. In questo senso [i figli] rappresentano uno status symbol». Ma il profilo delle utenti delineato dice anche qualcos’altro. Secondo Quagliano, intervenuta durante l’incontro “Parità di Genere: a che punto siamo?” organizzato dal Centro italiano femminile in collaborazione con l’Ordine degli avvocati di Torino – dove L’Unica era presente – il suo ufficio «non intercetta lavoratori e lavoratrici che si trovano in situazioni più vulnerabili, che evidentemente non sentono di avere diritti e, qualora li avessero, non sentono di poterli fare rispettare».
Chi si rivolge alla consigliera, ci arriva prevalentemente tramite sindacati e passaparola per denunciare che non riceve il part time, richiesto per motivi di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, e per segnalare casi di molestie e mobbing. Servizi, sanità e commercio sono i settori in cui si rilevano più discriminazioni e stereotipi di genere. In questo contesto, le lavoratrici madri sono esposte a maggiori difficoltà: «Le dimissioni “volontarie” o i licenziamenti mascherati da “motivi economici”, ma, in realtà, conseguenti alla maternità, sono sempre più frequenti, come dimostrano i dati relativi ai motivi per cui viene chiesto l’intervento della consigliera. Molte donne sono discriminate dopo il congedo di maternità con demansionamento, diniego di flessibilità oraria, rientri fortemente contrastati e raramente agevolati, soprattutto dopo il secondo figlio» si legge nel rapporto.
Dopo aver raccolto le segnalazioni, la consigliera di parità decide se convocare il datore di lavoro per approfondire il possibile caso di discriminazione denunciato e tentare di raggiungere una conciliazione tra le parti. Nel 2024 le aziende convocate sono state 16, in gran parte piccole e medie imprese. Tutti i datori di lavoro si sono presentati all’incontro, anche quelli che non stavano applicando correttamente la norma anti discriminazione. In undici casi una soluzione con le parti coinvolte è stata raggiunta dopo il primo colloquio di mediazione, in quattro casi il datore di lavoro è stato convocato per eventi che riguardavano più dipendenti. Gli esiti dei colloqui mostrano che la maggior parte delle rimostranze era fondata: con dieci delle aziende convocate è stato sottoscritto un verbale che, secondo la consigliera, ha avuto «un esito positivo per lavoratrici e lavoratori», tre casi hanno avuto esito negativo e per altri tre la mediazione è ancora in corso.
Eppure si potrebbe fare di più. A Torino la consigliera ha a disposizione circa trenta ore mensili per svolgere le proprie funzioni su tutti i comuni della Città metropolitana, che comprendono anche attività di prevenzione e contrasto alla violenza di genere in collaborazione con i sindacati e con i centri antiviolenza. Dal 2015, poi, il Fondo nazionale dedicato alle attività delle consigliere di parità è stato azzerato. Anche per questo motivo sono drasticamente diminuite le persone che si mettono in contatto con l’ufficio di Corso Inghilterra 7 utilizzando gli opuscoli distribuiti negli ospedali: «Le agende di gravidanza diffuse in passato presso i centri nascita non sono più state aggiornate e ristampate per mancanza di risorse economiche», ha spiegato Quagliano.
Per le donne meno posti di lavoro e stipendi più bassi
Secondo i dati ISTAT per il 2024 sul benessere equo e sostenibile dei territori, a Torino lavora il 70,8 per cento delle persone tra i 20 e 64 anni, percentuale sotto la media regionale che è del 72,2 per cento. Gli under 30 sono i più colpiti sul piano occupazionale e rappresentano la quota più alta di mancata partecipazione lavorativa nella regione (19,4 per cento). In questo quadro le differenze di genere che riguardano il Piemonte sono pesanti, con donne che lavorano meno e guadagnano ancora meno dei propri colleghi, faticano a uscire da quei settori “ad alta femminilizzazione” dove sono segregate, come sanità, assistenza, istruzione e commercio, e sono bloccate nelle progressioni di carriera.
I contratti stabili per le lavoratrici, per esempio, sono meno frequenti (15 per cento) rispetto a quelli per gli uomini (18 per cento), mentre i contratti a tempo parziale sono più diffusi tra le donne (41 per cento) che tra gli uomini (23 per cento). Se la percentuale di donne occupate a livello piemontese è maggiore della media italiana e l’occupazione femminile si concentra più a Torino che nel resto della regione, il reddito percepito tuttavia è peggiore dell’1 per cento rispetto al dato nazionale: le lavoratrici torinesi cioè guadagnano il 27 per cento in meno dei colleghi uomini. Inoltre, in città, il “soffitto di cristallo” per le donne è più spesso. I dati raccolti nel primo Bilancio di genere diffuso della Città metropolitana realizzato dal comitato Torino città per le donne in collaborazione con il Politecnico mostra infatti che le dirigenti sono appena il 20 per cento, contro il 22 della media nazionale.
Il World economic forum: in Italia parità economica solo tra 135 anni
Le analisi disponibili sul territorio torinese mostrano in sostanza che le differenze di genere sul posto di lavoro replicano in gran parte la condizione nazionale. Il punteggio raggiunto dall’Italia nel Global gender gap index 2025 realizzato ogni anno dal World economic forum colloca il paese all’85° posto nella classifica generale, ma in termini di partecipazione al mondo del lavoro e gender gap il punteggio complessivo inchioda l’Italia al 117° posto. In questa posizione, il tempo stimato per raggiungere una piena parità economica è di 135 anni.
Ancora, nell’Unione europea il nostro Paese è tra quelli che presentano un tasso di occupazione femminile più basso, con solo una donna su due che lavora e che raramente si trova in posizione di vertice. «Nel nostro territorio – ha osservato Michela Quagliano – si ripropone il grande tema della qualità dell’occupazione femminile rispetto a quella maschile: più precaria, più part time, con minori opportunità di carriera e stipendi più bassi».
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