Il mulino di Monastero Bormida dove i semi non si comprano, si scambiano

Il mulino di Monastero Bormida dove i semi non si comprano, si scambiano
Foto: Pexels

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Era uno dei tanti mulini della Langa astigiana. È diventato un’occasione per rilanciare l’agricoltura naturale grazie a un gruppo di estimatori dediti allo scambio dei semi. A Monastero Bormida, il progetto della “Casa delle sementi” nel mulino Polleri-Balocco è un modello di consapevolezza, azione e partecipazione, volontà di agire sulle dinamiche economiche che impoveriscono di denaro e salute.

Nella quinta edizione di “Un sacco di semi”, evento autunnale di incontro e confronto che si è svolto lo scorso 12 ottobre, è stato presentato per la prima volta il “pane della Valle Bormida”, un alimento artigianale preparato con grani speciali autoprodotti. Il cereale si chiama “Furat” ed è stato sviluppato da Salvatore Ceccarelli, genetista ricercatore esperto di biodiversità agraria: nasce dall’unione di circa 1.600 varietà di grano e dà vita a quella che in agraria viene definita una “popolazione evolutiva”, che si evolve nel contesto delle caratteristiche del clima e del suolo in cui viene coltivata, difendendosi naturalmente da patogeni e parassiti. Un seme resiliente, capace di adattarsi all’ambiente e ai suoi cambiamenti. Ed è anche un seme di pregio, pieno di nutrienti. È stato mischiato con grani locali e antichi di questa parte del basso Piemonte: è nato così il grano della valle Bormida.

Grano che, nella “Casa delle sementi”, si scambia come un tempo e non è oggetto di compravendita: chi è interessato può riceverne fino a 25 chili, seminarlo fra ottobre e novembre, lasciarlo crescere liberamente senza altri interventi e raccoglierlo in estate, quando è maturo. Per la mietitura c’è una trebbia in condivisione che, insieme a un essiccatore e altre attrezzature, è disponibile per sostenere le attività dei piccoli contadini. La condizione è una sola: il grano deve essere condiviso e al mulino deve essere restituita una quantità di semi almeno pari a quella ricevuta. L’obiettivo è creare una filiera corta destinata ad auto-sostenersi in un’economia circolare, che parta dalla coltivazione agro-ecologica, trasformi i cereali in farina e rifornisca i panificatori del posto, restituendo alle persone prodotti da forno buoni, sani e a chilometro zero, offrendo un reddito equo a tutti gli operatori delle varie fasi di lavorazione.

L’artista custode del mulino

«È un progetto interessante perché è comunitario – ha detto a L’Unica Annalisa Cannito, una delle responsabili – e riveste un potere concreto contro il monopolio delle grandi industrie, che riproducono le sementi in maniera standardizzata e le immettono nel mercato con l’idea di fondo del consumo usa e getta, perché non sono fertili e non si possono ripiantare». Cannito non è una contadina, ma un’artista: la sua visione è politica e la partecipazione in questo contesto niente affatto teorica. «Dal 2019 siamo i custodi del mulino e creiamo eventi. Nel tempo abbiamo coltivato i piccoli appezzamenti di terreno verso il fiume con leguminose e cereali, ceci di vario genere, orzo e grano saraceno. Più a livello esemplificativo e pedagogico, che produttivo», ha aggiunto. «Non possiamo mettere piante orticole, perché siamo un piccolo gruppo e nessuno di noi è disponibile ogni giorno. Anche chi ha l’azienda agricola, spesso, deve integrare il reddito con una seconda occupazione. Diversi di noi sono insegnanti. E quando scambiamo i semi è come una biblioteca: l’intento è farli vivere ed è per questo che chiediamo di ricevere la stessa quantità l’anno successivo».

In effetti, l’agricoltura è anche una questione culturale. «Quanto è importante consumare prodotti locali, fatti un certo modo? La figura del contadino è la base della nostra società e il suo lavoro è il più prezioso, perché ci dà da mangiare: e mangiamo tutti i giorni», ha spiegato Cannito. L’agricoltura è anche un’occasione per fare della solidarietà attiva: la “Casa delle sementi”, in collaborazione con l’Associazione rurale italiana (ARI), promuove l’iniziativa “Farmers for farmers” che sostiene i contadini palestinesi dell’UAWC, l’Unione dei comitati di lavoro agricolo di Ramallah, destinando contributi delle vendite di prodotti locali e, soprattutto, custodendo i semi. «Dall’anno scorso li abbiamo ricevuti dalla Cisgiordania e li abbiamo riprodotti qui da noi per tenerli in vita, nell’attesa di poterli restituire in tempo di pace».

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Il ruolo dell’amministrazione e del Politecnico

Ha contribuito a tutto questo l’amministrazione comunale di Monastero Bormida che, fin dal 2008, si è resa conto dell’esistenza di quel vecchio mulino industriale abbandonato lungo il corso del fiume. «Era chiuso dagli anni Settanta e quasi nessuno ne conosceva più l’interno», ha ricordato a L’Unica il sindaco Gigi Gallareto, che ha guidato con impegno ed energia lo sviluppo di questo paese di 825 abitanti negli ultimi vent’anni. Il fabbricato si estende anche alla casa natale di Augusto Monti, il letterato antifascista che ha svolto un ruolo importante nella cultura italiana del Novecento e dell’antifascismo. «Quando siamo entrati, oltre a una montagna di rifiuti e scheletri di animali, abbiamo scoperto macchinari ottocenteschi bellissimi, ben conservati e in parte funzionanti: di lì è nata l’idea di recuperare il mulino, non dal punto di vista produttivo, ma neanche per farne un museo».

Il Comune convinse i proprietari – tre generali in pensione – a sottoscrivere un comodato d’uso e iniziò il lungo restauro: con i contributi della Regione il macinatoio fu messo in sicurezza, il tetto e i soppalchi sistemati, le macchine ripulite. In seguito, grazie a finanziamenti della Compagnia di San Paolo, furono ricostruite le parti in stoffa dei collegamenti delle macine e due laureande in architettura al Politecnico di Torino contribuirono a studiarne e catalogarne le parti, con un percorso didattico che oggi consente le visite. Un terzo intervento completerà il restauro con una scala di sicurezza esterna, servizi igienici e un itinerario di approfondimento illustrato.

«Il progetto era importante, ma mancava il momento vitale, la “Casa delle sementi” ha una finalità etica fondamentale, perché non intende semplicemente riscoprire le varietà di un tempo, ma dimostrare che è possibile sottrarsi alla dittatura di poche multinazionali del seme che hanno creato un monopolio e ridotto la biodiversità», ha spiegato a L’Unica Gallareto. «L’esperienza è stata inserita in un progetto europeo e il 21 novembre ospiteremo nel castello una giornata di formazione scientifica con accademici di diverse aree del continente, dall’Estonia a Cipro».

È un risultato ancora più significativo perché ha origine in Valle Bormida, una terra lacerata da oltre un secolo di inquinamento chimico: ha il sapore di quella rinascita che il movimento popolare di lotta per un ambiente pulito, dalla metà degli anni Ottanta, si pose come obiettivo principale. «Il mulino è sul fiume e la valle Bormida deve ripartire dal fiume – ha detto ancora il sindaco di Monasterolo – perché ha quella voglia di dimenticare i momenti negativi, la rimozione del trauma: il fiume è stato un po’ rimosso e noi dobbiamo lentamente riappropriarcene». Intanto la “Casa delle sementi” è una realtà che guarda avanti. «Ora abbiamo bisogno di tre cose: consolidare i rapporti con l’università per darle continuità e verifica progettuale, senza perdere il momento “ruspante” e popolare; inserirci in un circuito di altre iniziative simili, per unire le forze; incontrare imprenditori illuminati che sostengano il progetto e lo accompagnino dal livello sperimentale a quello produttivo».

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Scambiare i semi significa trasmettere conoscenza

Oggi poter scegliere il proprio cibo, sapere dove prenderlo direttamente da chi lo produce, ottimizzare una filiera corta e sana è un lusso per pochi. L’orgoglio di far parte di un gruppo unito da valori comuni moltiplica le energie. Lo sa bene Elisa Mascetti, contadina e agronoma di Rivalta Bormida nell’azienda PAN - Piccola agricola naturale che ha avviato nel 2016 prendendo in gestione i terreni dei nonni. Una donna sola nel vigneto e nel campo, che ha imparato ad autoprodurre i semi ripulendoli dagli infestanti con un attrezzo del 1920, evitando le malattie e proteggendo i raccolti.

Alla “Casa delle sementi” lo insegna agli altri. «Lo scambio fra le persone è una cultura che non va abbandonata come i semi, che ognuno dovrebbe maneggiare: per fare l’orto dietro casa o collaborare fra operatori più strutturati», ha detto a L’Unica. «La politica dovrebbe investire valorizzando questo sistema: non si può pensare solo alla resa economica e alla quantità. Il coltivatore diretto non è un imprenditore agricolo: si occupa del territorio, ciò che produce è buono, ma non può confrontarsi con un mercato che non paga i costi nascosti». Come ha spiegato Elisa Mascetti, la farina 00 che deriva dal grano manipolato dalla chimica, impoverita di nutrienti, si trova al supermercato per circa 90 centesimi. «Costa così poco perché non si pagano i costi ambientali e della salute dei consumatori. Offrire un reddito a chi ritorna alla terra in un certo modo significa ottenere un presidio attivo di ordine e sicurezza nelle campagne e osservare uno sviluppo davvero sostenibile, promuovendo alimenti contadini locali che non fanno male alle persone e al pianeta. Gestire il seme in proprio significa avere il controllo del cibo. Alla “Casa delle sementi”, nelle stagioni di semina in autunno e in primavera, scambiamo cereali e legumi, ma anche fiori ornamentali».

Gli stessi concetti vengono espressi da Giannandrea Mencini, giornalista veneziano, autore di inchieste e di libri come “BioAvversità, il vizio delle monoculture nelle terre alte”. Nella sua opera più recente, “La battaglia dei semi”, ha raccontato come il 63 per cento del mercato globale delle sementi e il 75 per cento di quello degli agrofarmaci siano controllati da poche multinazionali, con gravi ripercussioni sociali ed economiche per milioni di contadini e il monopolio alimentare su miliardi di persone.

«Monsanto e Bayer hanno selezionato in laboratorio semi che non germogliano e messo il brevetto: in tal modo vanno ricomprati e il gioco millenario della riproduzione in agricoltura diventa impossibile», ha spiegato a L’Unica Mencini. «Ma l’approccio ecologico dello scambio, per modiche quantità, interessa tante realtà italiane, piccole ma sempre più numerose, che si oppongono con semplicità, recuperando antiche colture e sviluppando biodiversità: partecipano ai mercati rionali, a gruppi di acquisto diretto e solidale o a prenotazioni online e consegne a domicilio, evitando la grande distribuzione. È un sistema che non è in grado di sfamare il mondo, ma del resto non lo fanno neanche le poche monocolture più diffuse. Politiche intelligenti dovrebbero incentivare le produzioni locali, perché sono di qualità, biologiche e devono poter raggiungere i piatti di tutti, non solo dei benestanti. Chi mangia bene, sta meglio e si ammala di meno».

Questa puntata di L’Unica Asti termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.

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