Monteu Da Po è il simbolo della resistenza contro i colossi delle telecomunicazioni

L’Unica Torino fa parte di un nuovo progetto di newsletter locali, che parte da quattro province del Piemonte. Per dubbi, domande, suggerimenti puoi scriverci a info@lunica.email. Se vuoi saperne di più qui trovi la pagina principale.
«Forse abbiamo gioito troppo presto, c’è già un ricorso. Ora stiamo lavorando con l’avvocato per arrivare a un accordo. Speriamo». Nella Bibbia, quando la fionda del pastore ragazzino abbatte il gigante armato fino ai denti, la partita finisce senza tempi supplementari: Davide ha vinto, Golia ha perso e tutti sono contenti così. Nella vita di tutti i giorni – come racconta a L’Unica Elisa Ghion, sindaca di Monteu da Po vincitrice in uno scontro impari contro un colosso della telefonia mobile – le cose possono andare diversamente: nella vita reale può succedere che Golia ricorra in appello e che Davide torni ad avere paura.
La sfida di Ghion sembrava davvero impossibile. Da un lato c’era INWIT – Infrastrutture Wireless Italiane – il gruppo quotato in Borsa che ha chiuso il 2024 con un utile netto superiore ai 350 milioni di euro: la società che con le sue 25 mila torri per le telecomunicazioni contribuisce a portare il segnale anche nei luoghi più difficili. Dall’altro la piccola Monteu, qualche centinaio di case tra il Po e le colline, a una quarantina di chilometri da Torino, sulla strada che porta al Monferrato.

Il canone autoridotto
Tutto comincia quando INWIT comunica che avrebbe pagato soltanto 800 euro all’anno per un terreno su cui aveva installato un’antenna e che in origine era stato affittato a 8 mila. Il municipio di Monteu non ci sta, punta i piedi e dopo qualche mese chiede pure gli arretrati. L’azienda si rivolge al tribunale di Ivrea e questo, con una decisione che può cambiare le sorti di centinaia di piccoli comuni, dà ragione a Davide. Quel maxi-sconto, Golia non poteva regalarselo: la legge non glielo consentiva.
Comunque vada a finire dopo l’appello, in un’Italia dove spesso sembrano prevalere le logiche dei grandi poteri economici, la sentenza di primo grado che ha dato ragione a un Comune di neppure novecento abitanti contro il principale tower operator italiano non solo trasmette un consolante sapore di giustizia e di riscatto, ma traccia un segnale forte per tante altre micro-realtà sparse in tutto il Paese.
Il contratto contestato era stato firmato dal Comune con Vodafone Italia per l’uso di una porzione di terreno comunale, destinata all’installazione di una stazione radio base per le telecomunicazioni. La classica antenna montata su una collina, una delle molte che si possono scorgere guardando all’orizzonte della città di Torino: un’infrastruttura fondamentale, in particolare nelle aree più remote dove la televisione non sempre si vede e il cellulare fatica a prendere la linea. Il canone annuo? 8 mila euro. Una cifra che fino al 2022 entra nelle casse comunali senza particolari patemi. Poi a Vodafone subentra INWIT, e qualcosa cambia.
Il nuovo affittuario decide di non pagare più il canone previsto dal contratto, concedendosi uno sconto del 90 per cento: fa sapere che verserà circa 66 euro e qualche centesimo al mese, per scendere da 8 mila a 800 euro l’anno. INWIT giustifica il taglio appellandosi a una normativa entrata in vigore il 1° gennaio 2022 – il decreto legge 77/2021 – che ha introdotto un “canone unico calmierato” per l’installazione di impianti di telecomunicazioni su spazi pubblici. Il problema? Lo fa in modo unilaterale, senza rinegoziare il contratto, né ottenere l’accordo dell’amministrazione.
La rivolta
Il paesino si ribella. Dopo ripetuti solleciti ignorati, scatta l’accertamento patrimoniale per oltre 19 mila euro di canoni arretrati. INWIT fa ricorso al Tribunale di Ivrea. A quel punto, scoppia la vera battaglia.
A rappresentare il Comune c’è l’avvocata Patrizia Bugnano, che imposta la causa su un principio chiave: il terreno in oggetto non è un bene pubblico a uso collettivo – come possono essere una piazza, una strada, un lampione – è un bene del patrimonio disponibile. In altre parole, è un immobile che l’amministrazione può gestire come un privato, anche affittandolo a condizioni di mercato al miglior offerente. E per quei beni, spiega in aula, il canone calmierato non si applica.
Il Tribunale di Ivrea le dà ragione, respingendo integralmente l’opposizione del gigante della telefonia. La sentenza chiarisce che la norma invocata dalla società non può derogare a un contratto privatistico, specie quando si tratta di beni che servono all’ente per generare reddito e mantenere gli equilibri di bilancio.
Non basta: per ottenere i canoni degli anni precedenti, il Comune, con il supporto dei legali, mette in piedi anche una procedura di «sfratto per morosità» nei confronti dell’azienda. Per non rischiare di dover smontare tutto INWIT paga conto e arretrati per circa 20 mila euro e mantiene l’antenna in funzione.
Un problema nazionale
Monteu da Po diventa così il simbolo della resistenza dei piccoli centri contro l’erosione dei propri diritti patrimoniali. Perché dietro la disputa legale si nasconde un problema più ampio: quello di un modello normativo che ha cercato, negli ultimi anni, di ridurre i costi per i gestori delle telecomunicazioni anche a fronte di contratti già in essere. La nuova legge, infatti, tecnicamente ha valore “imperativo”: supera gli accordi già firmati e sottoscritti da anni.
«Le aziende smettono di pagare senza preavviso, imponendo la propria interpretazione della norma. È una pratica ormai nota: sta succedendo in molte zone d’Italia», spiega a L’Unica l’avvocata Bugnano. «Si presentano con una sentenza favorevole sotto il braccio e sperano che gli enti non abbiano né i mezzi né le forze per opporsi». È esattamente quello che accade il più delle volte: territori striminziti e dai bilanci ridotti all’osso finiscono per cedere alle richieste di chi pianta antenne per lavoro. Resistere, infatti, significa infilarsi in lunghe battaglie legali per cui servono tempo ma soprattutto soldi.
Il caso mette in luce anche il paradosso del modello infrastrutturale italiano per la telefonia mobile. INWIT, oggi partecipata da TIM e da vari fondi di investimento, è una delle maggiori aziende d’Europa nel settore. Gran parte delle sue torri per il segnale telefonico e il 5G si alzano su terreni che appartengono ai Comuni. La sua missione? Portare connettività anche nelle aree rurali, dove il ritorno economico è minore ma il bisogno di tecnologia è comunque necessario.
Dietro il principio di pubblica utilità, però, si nasconde spesso una strategia che crea non pochi problemi. «La legge che prevedeva il canone calmierato – dice ancora Bugnano – serviva ad accelerare la copertura del territorio, ma quello stesso territorio si è ritrovato penalizzato, esposto e senza tutele. È una questione che dovrebbe essere affrontata a livello politico, non lasciata alla giurisprudenza caso per caso».
Sono più di duecento i contenziosi aperti tra INWIT e i municipi italiani, molti dei quali riguardano proprio la questione dell’affitto, la natura giuridica dei beni e il posizionamento di nuove antenne. Alcuni tribunali hanno dato ragione ai Comuni, altri alle società. Il risultato? Una giungla normativa e interpretativa che rischia di lasciare i piccoli enti in balia di colossi ben più strutturati e con uffici legali abituati a lavorare sui cavilli.
Questa puntata di L’Unica Torino termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.
Ti consigliamo anche:
😱 Le incredibili promesse dei candidati fantasma in un comune di 79 abitanti (da L’Unica Alessandria)
🗳️ Tutti i risultati delle elezioni comunali (da Pagella Politica)
🎧 Il ponte sì, il ponte no, il ponte forse. L’ultima puntata del nostro podcast “Poteri forti” dedicata al ponte sullo Stretto (da Pagella Politica)