Langhe, pale eoliche più alte delle colline

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Che il diavolo si nasconda nei dettagli è cosa conosciuta. Quella che raccontiamo oggi è l’altra faccia della transizione ecologica. La storia di un gigantesco impianto eolico nel cuore delle Langhe più alte, che – sulla carta – dovrebbe contribuire alla produzione di energia pulita. Ma la sua costruzione comporta la distruzione dell’ecosistema, l’aggressione brutale alle colline, lo stravolgimento di un paesaggio apprezzato a livello internazionale per qualità della vita, turismo lento e valorizzazione di prodotti tipici di pregio.
Un impianto come ce ne sono tanti, in un’Italia dove i progetti si sono moltiplicati come funghi, favoriti da un cambiamento economico epocale, che assicura agevolazioni e guadagni appetibili. Tutto questo in un contesto normativo che complica le cose, nascondendo tra le sue pieghe ambiguità e circostanze controproducenti.
Più in alto delle colline
Il progetto eolico “Monte Cerchio” – che la Windtek Srl di Torino ha presentato al Ministero dell’Ambiente per la valutazione di impatto ambientale – si colloca al confine tra Liguria e Piemonte. Il piano prevede sette pale di proporzioni colossali: 206 metri di altezza, 162 metri per il diametro del rotore, la parte della struttura che gira su sé stessa mossa dal vento. Questi giganti andrebbero collocati sui versanti delle colline, a un’altitudine compresa fra i 650 e i 760 metri. Per capirci: il punto più alto, che non a caso viene definito la “vetta delle Langhe”, è Mombarcaro. Ma i suoi 896 metri non basterebbero per non essere sovrastato dalle enormi pale bianche.
I Comuni interessati dalla costruzione sono tre: Cairo Montenotte e Cengio in provincia di Savona, Saliceto nel Cuneese. Ma la prospettiva coinvolge un territorio ben più ampio, per un totale di 36 comuni: l’alta Langa, le Valli Bormida e Uzzone, parte del Basso Monferrato e uno scorcio della costa ligure.
Monte Cerchio è un’altura non lontano dai ruderi del castello del Carretto: luoghi dall’antica storia, che portano il nome dei marchesi di stirpe aleramica che li hanno dominati a lungo. Gli orizzonti sono gradevoli, l’ambiente alterna boschi e piccoli spazi coltivati, il paesaggio è punteggiato di borghi rurali e beni culturali vincolati, riscoperti da escursionisti che ne percorrono intrecci di sentieri e strade dei sapori.
Il cantiere di un impianto come questo arriverebbe come un elefante in una cristalleria. Trenta mesi di lavori, un viavai di camion dove oggi viaggiano trattori e qualche sparuto veicolo. Il terreno dovrebbe essere sbancato per 208 mila metri cubi, con un invasivo consumo di suolo per opere accessorie come piazzole, quattro cabine elettriche e vie di collegamento fra le pale: un’estensione stimata di dodici chilometri quadrati. È prevista una strada di accesso di quasi quattro chilometri, su versanti segnati dai calanchi – i solchi scavati nei secoli dal fluire delle acque – allargando fino a dieci metri quelle che oggi sono poco più di mulattiere.
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Documenti incompleti e carenze progettuali
I comitati locali che si sono opposti al progetto hanno calcolato la perdita irreversibile di biodiversità e l’impatto ambientale e naturalistico: i boschi sono habitat di animali selvatici anche di grandi dimensioni, sulla linea di passo migratorio di specie protette di avifauna. Per non dire dei rischi idrogeologici connessi all’instabilità dei versanti.
Le informazioni citate sono emerse dalla marea di documenti allegati per la valutazione di impatto ambientale grazie al lavoro volontario di un gruppo di residenti, sensibili alle tematiche e interessati allo sviluppo ecologico dei luoghi in cui vivono: hanno dedicato impegno, attenzione e competenze tecniche, studiando la questione per mesi. Nessuno sapeva niente del progetto: nemmeno i sindaci dei tre comuni coinvolti.
Approfondendo la conoscenza della vicenda, sono comparsi elementi sospetti che hanno originato diffidenza: la documentazione incompleta, nonostante la mole complessa e corposa di pagine da leggere ed esaminare, con carenze progettuali, imprecisioni, omissioni e passaggi non veritieri su dichiarazioni previste per legge, come lo studio di impatto ambientale, la valutazione del clima acustico, le relazioni geologica, faunistica e vegetazionale.
L’aspetto lampante è la misura delle correnti ventose: si basa su tre anemometri, gli strumenti utilizzati per misurare la velocità e la direzione del vento, ma solo uno è presente nel sito. La garanzia di avere il vento è la base per le pale eoliche. L’economicità, la sostenibilità e la durabilità nel tempo della produzione energetica lasciano molti dubbi.
La rivolta dei residenti
È stato grazie al forte legame dei residenti con la loro terra, all’assunzione di responsabilità civile, alla condivisione delle competenze espresse in poche settimane dal gruppo di lavoro nato per tutelare Monte Cerchio, che la vicenda è stata resa nota e ha generato una decisa opposizione di associazioni, enti locali e abitanti.
Numerose e puntuali osservazioni tecniche sono pervenute al Ministero dell’Ambiente per contestare, punto per punto, quello che non era considerato accettabile del progetto. Fino a costringere la ditta proponente a rivederlo, eliminando una pala e spostando l’impianto esclusivamente in Liguria, forse per evitare gli effetti delle pressioni politiche espresse da parte piemontese. Ma, prima che il cambiamento diventi definitivo, dovrà pronunciarsi ancora la commissione ministeriale.
«E pensare che mi ero avvicinata all’eolico credendo di condividerne gli intenti», dice a L’Unica Nadia Carmen Brignone, avvocata di Cairo Montenotte con una lunga esperienza in materia ambientale. «Invece si chiede al territorio di difendersi da solo: è una grande responsabilità». È iniziato tutto quando una sua vicina le ha chiesto cosa ne pensasse: «Prima di approfondire l’argomento, mi pareva persino una buona idea e adesso ho mille ragioni per dire no a quel parco eolico, che è funzionale solo a chi lo costruisce con finanziamenti pubblici: dalla carenza di vento, all’enormità degli scavi, ai chilometri di strade per raggiungerlo, all’impatto visivo su una vasta parte di due regioni».
Esaminare il progetto non è stato facile, eppure rischiava di passare sotto silenzio nell’inconsapevolezza generale. «Non appena sono riuscita a prendere visione della congerie di documenti presenti sul sito del ministero, mi sono sentita persa: io sono abituata a studiare vertenze con centinaia di allegati, ma in questo caso era il caos. Francamente, mi sono stupita di questo modo di operare: ho sempre pensato che fosse importante essere chiari e trasparenti nell’esporre i concetti, sempre che i concetti si vogliano comunicare», racconta.
Incontrare persone già impegnate nella tutela del territorio le ha aperto un mondo: vari professionisti hanno studiato gli argomenti specifici e, insieme, hanno informato le istituzioni e l’opinione pubblica locale. «Abbiamo cercato di far capire alle persone, agli abitanti ma anche a tutti coloro che possono fruire del territorio, come questo sia indifeso», spiega Brignone. Perché «le informazioni e le proposte di utilizzo e sfruttamento delle risorse ambientali sono contenute in documenti non sempre comprensibili, che si trovano solo sul sito del ministero. Ci sono termini stringenti per presentare le osservazioni. E gli stessi soggetti incaricati dalla società che procede per Monte Cerchio, con scopi di lucro, dicono che non hanno inteso palesarsi nel fare le misurazioni. Ecco, la sensazione è che ci possano calare dall’alto iniziative funzionali a interessi non collettivi e che siamo noi abitanti a doverci organizzare in prima persona».
Quale contesto locale può avere quelle capacità e quelle energie? «Abbiamo raccolto argomenti che, se condivisi e conosciuti, non possono che deporre a sfavore: ma in questa materia mi chiedo quanto pesa la logica e quanto invece la ragion di Stato, o semplicemente l’interesse economico. È questo che mi spaventa».
Questa puntata di L’Unica Cuneo termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.
👋🏽 L’Unica si fa conoscere in giro per l’Italia! Durante il Festival del Giornalismo Mediterraneo, un’iniziativa organizzata da Sicilian Post e Pagella Politica, Guido Tiberga (ex caporedattore de La Stampa), ha presentato L’Unica, di cui è attualmente coordinatore editoriale.

L’Unica è stata presentata da Guido Tiberga anche durante “Buongiorno regione” di mercoledì 11 giugno. Potete vedere la presentazione a questo link, dal minuto 10.

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