Langhe e Roero si arrendono ai diserbanti

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Faccelo sapere quiIl mondo del vino è cambiato. Dopo una spinta importante verso la sostenibilità, oggi qualcosa si sta incrinando. Alcune pratiche virtuose, come l’abbandono del diserbo chimico, stanno lentamente scomparendo, e in molte vigne si assiste a un ritorno alle vecchie scorciatoie. Negli ultimi anni, infatti, molte aziende agricole che avevano scelto la via del biologico hanno fatto un passo indietro. Hanno revocato la certificazione, hanno ripreso a usare diserbanti – visibili a occhio nudo tra i filari – e pesticidi sistemici, quelli che non si vedono, ma restano.
Le aziende produttrici di fitofarmaci, che per un periodo avevano puntato sulla ricerca di pesticidi biodegradabili e sempre più selettivi, pensati specificamente per la vite, stanno progressivamente abbandonando quella strada. Dopo la pandemia e la guerra in Ucraina, l’attenzione alla sostenibilità sembra essersi affievolita. È quanto emerge dalle testimonianze dei produttori che continuano a coltivare senza fare ricorso ai pesticidi e che in passato si sono battuti – invano – per ottenere il loro divieto.
Siamo in Piemonte, nelle Langhe e nel Roero, tra le zone più virtuose non solo d’Italia, ma del mondo. Se la deriva chimica è tornata qui, c’è da chiedersi cosa stia accadendo ai vini senza denominazione d’origine e in quelle regioni dove si vende vino a pochi euro al litro.
Un tentativo fallito
Tre anni fa, nel 2021, qualcosa si era mosso proprio tra le colline del Roero. Non un diktat dall’alto, ma una spinta che veniva dai produttori: chiedere ai Comuni di vietare l’uso dei diserbanti chimici in vigna e di promuovere il diserbo meccanico. Era stato il Consorzio di tutela del Roero a portare la proposta ai diciannove Comuni del territorio, chiedendo una modifica ai regolamenti rurali. Un’iniziativa che, all’epoca, sembrava poter cambiare davvero le cose.
La proposta si è sfaldata, persa tra urgenze quotidiane e resistenze. Delle dodici aziende agricole coinvolte, solo nove continuano a lavorare senza diserbo. Quella spinta sembra essersi fermata. Addirittura “Slow Wine” – la guida che segnala solo vigne coltivate senza diserbanti – ha smesso di recensire queste e tante altre aziende.
Se ne discute poco. La giustificazione più diffusa è che non fosse più sostenibile economicamente tagliare l’erba a mano. La grandinata del 2023 è stata presa da molti come l’alibi perfetto per tornare indietro. Ma è davvero solo una questione di costi? Federico Almondo, produttore di Montà d’Alba che dal 2008 ha abbandonato la pratica del diserbo con fitofarmarci ed è stato tra i più convinti sostenitori della proposta di vietare i pesticidi nelle vigne, racconta a L’Unica: «Tagliare l’erba a mano costa il doppio rispetto al diserbo chimico, è vero, ma è altrettanto vero che per le grandi aziende queste cifre rappresentano un’incidenza minima. Piuttosto, è sulle piccole aziende familiari che il costo può fare la differenza, ma paradossalmente sono proprio queste realtà che continuano a resistere, spesso con il lavoro quotidiano del vignaiolo in prima persona, che resta fedele alla scelta di non diserbare».
Gli effetti collaterali
Il diserbo ha un impatto profondo sulla biodiversità. Una vigna coltivata senza diserbanti, nel tempo, ritrova un equilibrio: fiori spontanei, insetti utili, un suolo vivo e strutturato. Chi lavora senza diserbo da molti anni racconta che, se lasciasse la propria vigna, nel giro di poco si trasformerebbe in un bosco: il suolo sarebbe pronto, il ciclo naturale già in atto. Nelle vigne diserbate, invece, il terreno è impoverito, incapace di rigenerarsi.
Le vigne di Federico Almondo sono testimoni di questo equilibrio: il verde è pieno, vivo, e sotto i filari crescono erbe basse, diverse tra loro, come in un piccolo prato. Almondo ha scelto di affidarsi solo al taglio meccanico: decespugliatore e fresa interfilare, due strumenti che richiedono tempo e fatica ma che lasciano respirare la terra.
Almondo sottolinea quanto sia cruciale la variabile tempo. Per cambiare davvero le cose servono almeno due anni: «Al secondo anno senza chimica il terreno trova il suo equilibrio perché le erbe imparano a convivere tra loro». Per questo, spiega, è fondamentale intervenire con il decespugliatore in modo selettivo, solo dove serve, evitando di fare tabula rasa, perché altrimenti si lascerebbe campo libero per una sola specie dominante.
In altre parole, la biodiversità va coltivata anche tra quelle piante che, abitualmente, chiamiamo “infestanti”, quando invece andrebbero intese come “spontanee”. Ne è convinto anche Edmondo Bonelli, l’agronomo che aveva curato uno studio per il Consorzio di tutela del Roero nel quale indicava proprio la necessità di regolamentare il diserbo chimico in vigna. In viticoltura, spiega, si potrebbe fare a meno del diserbo, perché la vite è un arbusto basso che non teme la competizione dell’erba: «La vite non smette di produrre solo perché il “sottofila” è ricco di vegetazione».
Tagliare l’erba rimane l’unica alternativa al diserbo. È vero: trattori e decespugliatori consumano gasolio, e il gasolio inquina, «ma i benefici per la natura sono evidenti: infatti, quando un diserbante si degrada nel terreno, attiva una serie di reazioni di cui non è nota la reale entità», dice Bonelli a L’Unica. Le sue idee sulla necessità di difendere la biodiversità delle vigne sono note da anni, e non sono cambiate. «Non conosciamo gli effetti a lungo termine delle molecole una volta entrate nel ciclo biologico», aveva detto nel 2021 ad Altreconomia. Non solo: «Eliminando le infestanti eliminiamo anche tutta una serie di animali che dipendono da queste piante, tra cui gli insetti. E a loro volta gli uccelli», che degli insetti si nutrono.
Per non parlare dei residui dei pesticidi nell’aria. Quando le condizioni meteo sono favorevoli ai trattamenti, le goccioline sospese possono rimanere a lungo nell’ambiente, nell’umidità dell’aria. In Alto Adige, le analisi sulle coltivazioni di mele hanno sollevato la questione. In Piemonte, dove i vigneti possono costare fino a tre milioni di euro per ettaro, il problema non è neppure affrontato.
Il problema, quindi, non è solo l’impoverimento del suolo. È anche ciò che resta in natura. Uno studio condotto da ARPA Piemonte e ISPRA, pubblicato all’inizio del 2022, ha rilevato nelle acque della zona la presenza non solo di glifosato, il pesticida più usato, e di un fungicida come il dimetomorf, ma anche molecole di chlorpyrifos, un pesticida così tossico per l’uomo, le api e gli organismi acquatici che l’Unione europea ne ha vietato l’uso dal 16 aprile 2020.
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Il mercato in crisi
Il paradosso è che l’inversione di rotta arriva in un momento di forte crisi per il mondo del vino. Le vendite rallentano, la produzione di uva generica – quella destinata alla grande distribuzione – è eccessiva. Ogni anno il settore si trascina il peso delle scorte invendute. Si produce troppo, spesso a scapito della qualità, ma quel vino non si vende. E ora sono arrivati anche i dazi a complicare il quadro.
Il mercato cambia: la popolazione invecchia, i consumi di vino calano, soprattutto tra i giovani. Resiste – e continua a crescere – solo il segmento del vino artigianale, biologico, di alta qualità. Proprio quel segmento che in molti, soprattutto i più “grossi”, stanno abbandonando.
E intanto, nonostante l’invenduto, si continuano a piantare nuove vigne, tanto che la Regione Piemonte sta valutando di bloccare o contingentare le nuove autorizzazioni di impianto di vigneti. I prezzi dell’uva sono saliti, ma quelli del vino sfuso no. «L’Arneis DOCG, il vino tipico del Roero, è stato interessato da un calo di prezzo dal 20 al 35 per cento», dice Almondo a L’Unica.
Ma se gli effetti nocivi sono noti, perché è così difficile vietare l’uso del diserbo chimico nei disciplinari nazionali? «Al momento non esiste uno studio che dimostri che l’uva coltivata senza diserbo sia di qualità superiore rispetto a quella ottenuta con il diserbo», ha spiegato Bonelli. Certo, tutti sanno che un enologo che si trova davanti due vini non saprà riconoscere quale dei due usa il glifosato e quale no. Ma il riconoscimento deve stare a monte: «Un’uva che cresce in un ambiente più sano deve essere di qualità superiore, è logico», ribatte Almondo.
E la stessa sorte tocca anche terreni più pregiati, come le colline del Barolo. «Negli ultimi anni la situazione è peggiorata, ma questa primavera è stata particolarmente brutale», racconta a L’Unica Carlotta Rinaldi, dell’omonima cantina di Barolo. Marta e Carlotta, figlie d’arte di papà Giuseppe “Citrico” Rinaldi, sono parte della nuova generazione del vino rispettoso dell’ambiente sulla collina di Barolo. «Vedere le vigne più celebri, come Terlo, Sarmassa, Brunate, circondate da strisce gialle di vegetazione bruciata è stato tristissimo. Una volta queste pratiche si vedevano solo in aree meno blasonate, oggi invece avvengono sotto gli occhi di tutti, senza più vergogna», dice.
L’assurdità, sottolinea Rinaldi, è che mentre spruzzare diserbanti è ancora consentito senza particolari limiti, piantare un albero in vigneto è quasi impossibile. «Ho provato ad avviare un progetto di riforestazione per reintrodurre un po’ di biodiversità, ma la normativa è incredibilmente rigida: la distanza minima da rispettare tra un albero e la vigna confinante è di 40 metri», spiega. «È una prescrizione che rende praticamente impossibile piantare alberi, a meno di avere ettari di terra, cosa rara per i piccoli produttori di questa zona. Per eliminare la vita vegetale con un diserbo chimico, invece, non ci sono regole».
Secondo Rinaldi, il Consorzio Tutela Barolo non ha mai avuto il coraggio di prendere decisioni politiche forti in questa direzione. «Nel 2024 hanno proposto una modifica al disciplinare per vietare l’imbottigliamento fuori zona, una misura giusta», dice a L’Unica. «Ma nello stesso pacchetto hanno tentato di far passare l’ampliamento della zona di produzione alle esposizioni a Nord, senza alcuna verifica scientifica sulla qualità delle uve in quelle aree. È passato il messaggio che, per contrastare il cambiamento climatico, basti spostare un po’ più in là le vigne, invece di affrontare la questione con pratiche agricole più sostenibili».
In questo scenario, la priorità dovrebbe essere quella di preservare i suoli vivi, capaci di trattenere l’acqua e di resistere alle ondate di calore. «Il rischio di desertificazione è reale, ma non vedo strategie concrete per affrontarlo – conclude Rinaldi –. Nessuno vuole assumersi la responsabilità di vietare il diserbo chimico, eppure siamo una delle aree vinicole più importanti al mondo: se non facciamo scelte virtuose noi, chi dovrebbe farle?».
Questa puntata di L’Unica Cuneo termina qui. Se ti è piaciuta, condividila! E se pensi che ci sia una storia di cui dovremmo occuparci, faccelo sapere: ci trovi a info@lunica.email.
📌 Parlano di noi! In un articolo pubblicato il 27 giugno su Prima online, una testata giornalistica che si occupa del mondo dell’informazione e della comunicazione, potete trovare il racconto del nostro progetto. Si legge qui.
📷 Il 2 luglio la redazione di L’Unica si è riunita a Torino per un incontro con le collaboratrici e i collaboratori.

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